Fallimentare, sei giudici baresi indagati a Lecce

Lecce. Al centro dell’attenzione della Procura leccese, una serie di “affari sfumati” nell’ambito della compravendita di immobili. Nasconderebbero giri di tangenti tra imprenditori e curatori fallimentari

LECCE – Sono sei i giudici del Tribunale di Bari indagati dalla Procura di Lecce insieme con dieci imprenditori, avvocati e commercialisti, nell'ambito di una inchiesta su presunte irregolarità avvenute nel 2009 nella sezione fallimentare del Tribunale di Bari. Le ipotesi di reato sono corruzione per atto d'ufficio, peculato e usura. Tra gli indagati figurano l'attuale presidente della sezione fallimentare del Tribunale, Franco Lucafò; il suo predecessore, Luigi Claudio, che ora guida la Sezione Lavoro; Enrico Scoditti e Anna De Simone; Maria Luisa Traversa, presidente della Terza sezione civile, e Michele Monteleone, ora a Benevento. L'inchiesta della Procura di Lecce è nata da uno stralcio dell'inchiesta sull'avvocato barese Gaetano Vignola indagato per peculato nell'ambito della sua attività di curatore fallimentare. Nelle carte che circa un anno fa la Procura di Bari ha inviato a quella leccese erano già indicati i nomi dei sei magistrati oggi ufficialmente indagati. Lo scorso agosto il pm leccese divenuto titolare del fascicolo, Antonio Negro, ha ottenuto dal gip di Lecce Alcide Maritati la proroga per sei mesi delle indagini. Il meccanismo ipotizzato prima dal procuratore capo Antonio Laudati e dal suo sostituto Ciro Angelillis, e poi confermato da Negro a Lecce, si gioca sul rapporto venditore-acquirente nel caso di una compravendita di immobile. Nello specifico, secondo la Procura barese, venivano fatti passare per “affari non andati in porto”, veri e propri giri di tangenti tra professionisti. Secondo gli inquirenti, in occasione della vendita di un immobile, venivano attivate tutte le procedure tra il privato e la fiduciaria interessata all’acquisto. Che firmava un “preliminare” e versava una caparra piuttosto consistente e, poi, all’improvviso, ci ripensava e rinunciava all’acquisto. A quel punto, il proprietario dell’immobile, magistrato, aveva dunque tutto il diritto di trattenere la caparra. Per la Guardia di finanza che ha condotto la indagini e per le due Procure, quella di Bari e quella di Lecce, questo meccanismo della rinuncia all’affare nascondeva un giro di “mazzette” tra imprenditori e professionisti, curatori di fallimenti a molti zeri.

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