Crisi, plurale di crisi

Quando la crisi si cantava al grammofono

Rodolfo De Angelis, che con Marinetti aveva inventato il teatro sintetico futurista scrivendo nel 1921 il Manifesto del Teatro della Sorpresa, fu una di quelle soavi intelligenze prestate al fascismo, anche se i fascisti marcianti su Roma gli sospesero uno spettacolo a Firenze e praticamente gli stroncarono la carriera teatrale. Si diede al vinile. La sua canzone più famosa, del ‘33, è la madre di tutte le chiacchiere da bar sulla crisi. Il bicchiere è sempre mezzo vuoto o mezzo pieno, a seconda di chi può bere e chi no. Ma cos’è questa crisi se il riccone avaro e vecchio non sgancia una banconota e il gagà Nicodemo se le gioca tutte al casino (senza l’accento) di Sanremo? Il falsetto, il parlato, i parapà-perepè e i quadretti di sensualità provinciale (come in “Bubù Babà Bebè”) ne fanno un campione dell’ironia d'autore, più vicino a Palazzeschi che al rumorismo guerresco di Marinetti; più Petrolini (e magari Charles Trenet) che faccetta nera. Ma quando arrivarono le sanzioni all'Italia fascista cantò “Sanzionami questo”. L’umorismo più greve e la retorica sull’Italietta felix rivelano che la partita volgeva al termine. Come andrà a finire? Si chiedeva sussiegoso il riccastro della prima canzone… Oggi lo sappiamo.

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