Essere onesti ed apparire onesti. Secondo il senatore servivano entrambe le cose. Per questo cercò sempre di salvaguardia la sua dignità politica
Ho ascoltato il racconto delle lotte del senatore Giuseppe Di Vittorio direttamente dalla bocca dei contadini che occuparono le terre d’Arneo negli anni Cinquanta. Venne anche lui, qui, nel Salento, al fianco dei braccianti che lottarono e morirono per strappare ai latifondisti le campagne che avevano già strappato all’arsura e alle pietre. Un personaggio eroico, amatissimo, integerrimo. Da senatore, dormì con i contadini nei nascondigli e fu nascosto dalle loro famiglie mentre i compagni erano sulle barricate. Venne nel Salento per dare forza alla lotta, per condividere. Mentre gli altri occupavano le terre e le staffette rischiavano la vita per portare sui campi un tozzo di pane, lui, non mangiava ostriche né beveva champagne. Era sì primus inter pares, ma era davvero uno di loro. Non era solo onesto, appariva tale. Come la moglie di Cesare. Per questo, mi ha profondamente colpito l’episodio (segnalato a Repubblica-Bari dalla Fondazione Casa di Vittorio) della restituzione del pacco dono, ridato indietro per salvaguardare la sua “dignità politica”. Al contrario, non c’è dignità a scherzare e minimizzare su twitter su cozze pelose e astici, né c’è dignità politica ad ammettere che si ha un debole per il pesce e i frutti di mare. Che beffa del destino. La primavera di Emiliano che puzza di pesce già alle Idi di marzo. Qui il carteggio http://www.casadivittorio.it/lettera1920.html Ecco la lettera li 24 Dicembre 1920 Egregio Sig. Preziuso. In mia assenza, la mia signora ha ricevuto quel po' di ben di Dio che mi ha mandato. Io apprezzo al sommo grado la gentilezza del pensiero del suo Principale ed il nobile sentimento di disinteressata e superiore cortesia cui si è certamente ispirato. Ma io sono un uomo politico attivo, un militante. E si sa che la politica ha delle esigenze crudeli, talvolta brutali anche perché – in gran parte – è fatta di esagerazioni e di insinuazioni, specialmente in un ambiente – come il nostro – ghiotto di pettegolezzi più o meno piccanti. Io, Lei ed il Principale, siamo convinti della nostra personale onestà ma per la mia situazione politica non basta l'intima coscienza della propria onestà. E' necessaria – e Lei lo intende – anche l'onestà esteriore. Se sul a si sono ricamati pettegolezzi repugnanti ad ogni coscienza di galantuomo, su d'una cortesia – sia pure nobilissima come quella in parola – si ricamerebbe chi sa che cosa. Si che, io, a preventiva tutela della mia dignità politica e del buon nome di Giuseppe Pavoncelli, che stimo moltissimo come galantuomo, come studioso e come laborioso, sono costretto a non accettare il regalo, il cui solo pensiero mi è di pieno gradimento. Vorrei spiegarmi più lungamente per dimostrarle e convincerla che la mia non è, non vuol essere superbia, ma credo di essere stato già chiaro. Il resto s'intuisce. Perciò La prego di mandare qualcuno, possibilmente la stessa persona, a ritirare gli oggetti portati. Ringrazio di cuore Lei ed il Principale e distintamente per gli auguri alla mia Signora. Dev.mo Giuseppe Di Vittorio
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