Il venticello, il libero pensiero e l’omicidio Basile

Ugento. Storia di una verità processuale che non sapremo mai. Ecco come le voci di paese entrano nell’indagine irrisolta di un omicidio

UGENTO – Don Stefano è in ritiro presso la Madonna dello Iaddico a Brindisi. Lì ha appreso della notizia della sua archiviazione. Non vuole rilasciare dichiarazioni alla giornalista, ma il tono sollevato, è di chi si è svegliato finalmente da un incubo. A volere leggere nelle pieghe della vicenda giudiziaria, si trovano passaggi inquietanti. L’indagine su don Stefano è nata come stralcio di quella sull’omicidio di Peppino Basile: nel fascicolo ci sono gli interrogatori di centinaia di compaesani, le cui dichiarazioni ora si confermano a vicenda ora si contraddicono. Sul rumorìo delle voci di paese da subito se ne è alzata una, quella di don Stefano Rocca, a chiedere verità e giustizia, senza evitare scontri frontali con il sindaco Eugenio Ozza e altri esponenti politici ugentini. Una voce scomoda e fastidiosa, da zittire, meglio, ricoprire di fango. E nei paesi, sia sa, la migliore strategia è quella del venticello. La calunnia. Così alcune persone che vanno a rendere dichiarazioni spontanee ai pm parlano di molestie, violenze in parrocchia, subite quando erano minorenni. Si spegne il faro sull’omicidio del consigliere dell’Italia dei Valori, sulla pista politica, e si accende sulla moralità di chi chiedeva verità. Sono i mesi in cui l’immagine della Chiesa è inginocchiata da indagini per pedofilia in Italia, Europa e Stati Uniti. Uno spettro che ricade come un macigno su don Stefano. Non può più chiedere la verità per Basile, perché deve pensare a far valere la sua, a difendersi. A lui viene intimato dal Vescovo di star zitto, tacere, poi sparire. Ai suoi parrocchiani, 5.000 compatti ugentini che si contrappongono anche all’orientamento di centrodestra della Giunta comunale, un gruppo dei quali fonda il comitato “Io Conto”, il Vescovo intima altrettanto: basta striscioni, basta cortei, basta presidii presso la chiesa. Zitti e obbedienza. I parrocchiani ci stanno, chinano il capo, vanno a messa, ma perdono l’entusiasmo di fare di quella chiesa la loro casa. Don Stefano va in ritiro forzato in Umbria, poi lo manderanno a Brindisi. Non ha una parrocchia. I preti che a Ugento arriveranno dopo di lui non organizzeranno i celebri gruppi estivi che riescono ogni anno a strappare i ragazzi dalla strada e a portarli al fresco dei pini della parrocchia e magari, qualche volta, tutti insieme, al mare. Le educatrici che con don Stefano organizzavano le attività di catechesi, l’Azione cattolica, i tornei, i giochi estivi, quando la scuola è chiusa, lo Stato assente e il caldo una prigione, non fanno più alcuna programmazione. Quella maledetta parrocchia sovversiva di don Bosco è spenta. Ce l’hanno fatta. Non era la prima volta tra l’altro che si cercava di disinnescare la bomba (quella del libero pensiero e del libero culto, intendo): anni fa su don Stefano la stessa strategia, quella del venticello della calunnia, aveva soffiato forte. Si parlava di spaccio di droga in chiesa e del prelato che avrebbe organizzato i traffici. Celebre lo striscione “l’oratorio non si tocca”, salito alla ribalta della cronaca anche nazionale. Nel frattempo sono andate avanti anche le indagini della giustizia canonica e nell’attesa del giudizio del Vaticano, don Stefano aspetta in Umbria. La Chiesa archivia l’indagine, perché il fatto non sussiste, molto tempo prima della giustizia ordinaria, ma vuole aspettare a darne notizia perché è in attesa dei tempi della Procura. Non si vuole dare l’impressione che si voglia esercitare una certa pressione sui pm. Intanto le indagini passano da un’ipotesi di reato per pedofilia a quella di violenza sessuale, perché chi lo accusa all’epoca dei fatti sarebbe stato consenziente e maggiorenne. Poi tutto si risolve in un a. Chi ha affermato di aver subito violenza non ha sporto querela, quindi il pm tecnicamente non può andare avanti, perché non c’è la denuncia di un reato. Nel momento in cui si querela invece il pm va a fondo, scava, verifica. Chi ha affermato di aver subito violenza questo lo sa. E se si prova che la querela è infondata, chi ha subito il danno ha la certezza, se a sua volta ha controquerelato, che il primo sarà condannato per calunnia. Se la querela non c’è, dunque, che cosa rimane? Il venticello. Punto. Che in un paesino diventa un ciclone. Che vuole spazzare via come sabbia nel vento quei 5.000 parrocchiani e il loro pastore d’anime, don Stefano Rocca. Don Stefano ha sempre respinto le accuse, assistito dall’avvocato Silvio Caroli che, raggiunto ieri telefonicamente, non ha voluto rilasciare dichiarazioni. 30 settembre 2011 Don Stefano, il pm chiede l'archiviazione: non c'è querela di Andrea Morrone LECCE – Si chiude con un’archiviazione, seppur tra molti dubbi e polemiche, la vicenda giudiziaria legata alla figura di don Stefano Rocca, l’ex parroco della chiesa di San Giovanni Bosco a Ugento al centro di un’indagine su presunti abusi sessuali e molestie compiute su alcuni ragazzi che frequentavano l'oratorio della chiesa di cui il sacerdote era parroco. Ieri, infatti, il gip del Tribunale di Lecce, Annalisa De Benedictis, ha accolto, per mancanza della condizione di procedibilità, la richiesta di archiviazione avanzata dal sostituto procuratore della Repubblica Stefania Mininni, titolare del procedimento nei confronti del religioso. La mancanza di procedibilità è dovuta al fatto che gli abusi farebbero riferimento a episodi avvenuti negli anni scorsi e per cui non è mai stata presentata alcuna denuncia nei termini previsti dalla legge. Il nome del sacerdote è stato iscritto nel registro degli indagati a seguito di un'inchiesta per presunte violenze sessuali scaturita dagli elementi raccolti nel corso delle indagini sull'omicidio di Peppino Basile, il consigliere dell'Idv assassinato a Ugento la notte tra il 14 e il 15 giugno del 2008. Quattro ragazzi, sentiti dagli inquirenti come persone informate sui fatti nel corso delle indagini, avrebbero esposto, in alcuni dei verbali poi stralciati e celati dagli omissis, le accuse rivolte al parroco. Pagine che sono poi confluite, assieme ad altre testimonianze e lettere anonime recapitate direttamente negli uffici giudiziari del capoluogo salentino, in un unico fascicolo. Dichiarazioni scottanti, in cui le quattro presunte vittime avrebbero fatto riferimenti precisi e dettagliati, che sarebbero poi stati suffragati da elementi investigativi, ad atti sessuali non completi commessi all’interno dell’ex parrocchia. Il sacerdote originario di Taurisano, sentito a fine maggio scorso in qualità di indagato, avrebbe ammesso, nelle oltre quattro ore di interrogatorio dinanzi al magistrato, di aver avuto approcci di natura sessuale con i suoi accusatori, spiegando che si è però sempre trattato di rapporti consenzienti. Un’ipotesi che scatenerà polemiche e ripercussioni sia all’interno del clero sia nella comunità ugentina. A ottobre scorso don Stefano aveva lasciato la parrocchia di Ugento per un periodo di riposo e preghiera da trascorrere in Umbria, al termine del quale era stato trasferito. Figura carismatica e controversa, don Stefano si è sempre battuto per la ricerca della verità sulla morte di Peppino Basile, ricevendo minacce di morte e accuse anonime. Accuse che hanno sollevato lo sdegno da parte della stessa comunità ecclesiastica e dei fedeli, pronti a difendere ed esprimere solidarietà nei confronti del sacerdote. Almeno fino a oggi. 29 settembre 2011 Violenza sessuale. Archiviata l’inchiesta su don Stefano LECCE – E’ stata archiviata l’inchiesta per violenza sessuale su minori a carico di don Stefano Rocca, ex parroco di Ugento. Il gip Annalisa De Benedictis ha accolto la richiesta formulata dal sostituto procuratore titolare del procedimento, Stefania Mininni. L’avvocato di don Stefano, Silvio Caroli, non vuole entrare nel merito dell’archiviazione; ha comunque dichiarato che, se deciderà di replicare, lo farà in termini giudiziari. Caroli si è sempre detto sicuro della totale estraneità del suo assistito alle accuse che gli sono state rivolte le quali, secondo il legale, avrebbero avuto l’unico fine di strumentalizzare uno dei principali testimoni del processo sull'omicidio Basile. L’inchiesta su don Stefano Rocca è infatti nata come stralcio dell'indagine sull’omicidio del consigliere ugentino dell'Italia dei valori ucciso la notte tra il 14 e il 15 giugno 2008. Il sacerdote è sempre stato molto attivo nel chiedere ai cittadini di Ugento di rompere l’omertà e raccontare ciò che sapevano in nome della verità e delle corretta ricostruzione dei fatti. 4 aprile 2010 Abusi in oratorio. Don Stefano non sarà interrogato di Andrea Morrone Non sarà interrogato, almeno per il momento, don Stefano Rocca, il parroco di Ugento iscritto nel registro degli indagati a seguito di una presunta indagine per molestie nata dagli elementi raccolti nel corso dell’inchiesta sull’omicidio di Peppino Basile, il consigliere dell’Idv assassinato la notte tra il 14 e il 15 giugno del 2008. Nei giorni scorsi era stato lo stesso avvocato del sacerdote, Silvio Caroli, a chiedere, in un’istanza, che il suo assistito fosse ascoltato. Una richiesta che il sostituto procuratore titolare del caso, la dottoressa Stefania Mininni, non sembra ritenere opportuna in questo momento. L’avvocato Caroli è comunque sicuro del fatto che possa presto emergere la totale estraneità di don Stefano a qualunque accusa. Accuse che tenderebbero semplicemente a strumentalizzare uno dei principali testimoni del processo sull’omicidio Basile. 3 aprile 2010 La Procura indaga su don Stefano La notizia, anticipata dai giornali nei giorni scorsi, trova i primi riscontri negli ambienti della Procura. Il nome di don Stefano Rocca, parroco di Ugento, sarebbe stato iscritto nel registro degli indagati con le accuse di molestie. Nella mattinata di ieri il legale del sacerdote, l’avvocato Silvio Caroli, si è recato in Procura per depositare in un’istanza in cui il suo assistito chiede di essere interrogato, in base alle notizie apprese dalla stampa, sui fatti e le ipotesi di reato che lo vedrebbero coinvolto. Quella su don Stefano sarebbe un’inchiesta nata da uno stralcio di quella sull’omicidio di Pepino Basile, il consigliere dell’Idv assassinato ad Ugento la nottte tra il 14 e il 15 giugno del 2008. E’ proprio nei verbali e nelle testimonianze raccolte dagli inquirenti negli ultimi mesi vi sarebbero, celate dagli omissis, le accuse rivolte al parroco. Pagine che sono confluite, assieme ad altre testimonianze e lettere recapitate direttamente negli uffici giudiziari del capoluogo salentino, in un fascicolo di cui è titolare il sostituto procuratore della Repubblica di Lecce Stefania Mininni. Il magistrato mantiene comunque il più stretto riserbo sulla vicenda, preoccupata e infastidita da una fuga di notizie che rende ancor più teso e triste il clima nella cittadina jonica, ancora scossa dalla morte del vescovo Vito De Grisantis. Saranno le indagini dei Carabinieri, con ogni probabilità, a fare luce su una vicenda ancora oscura e piena di interrogativi. Non è la prima volta, del resto, che don Stefano è oggetto di accuse tanto infamanti quanto false. In passato lo stesso parroco fu descritto, sempre da fonti anonime, addirittura come spacciatore (tanto da sfiorare il grottesco). Vi sono state poi negli anni le minacce: è Il 17 settembre del 2008, quando, facendo seguito ad alcune lettere minatorie, una telefonata anonima giunge al 113, minacciando di morte il sacerdote con poche parole pronunciate in dialetto: “Stasira ‘ccitimu don Stefano quiddhu ca cunta mutu”. Minacce seguite spesso agli appelli perché venisse fatta luce sull’omicidio Basile. Il 27 febbraio scorso, invece, il giorno dopo la lunga deposizione presso la Procura minorile, un plico con esplicite accuse di pedofilia viene recapitato presso la parrocchia di San Giovanni Bosco. Non bisogna poi dimenticare come sia stata la stessa comunità ecclesiastica e dei fedeli a difendere ed esprimere sempre solidarietà a don Stefano. A favore del sacerdote si sono ripetute le manifestazioni di solidarietà degli abitanti di Ugento.

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