La sentenza della Cassazione secondo Giovanni D’Agata dimostra l’esistenza nell’ordinamento italiano delle tutele alle vessazioni che molti lavoratori continuano a subire
La Cassazione torna ancora una volta sull'argomento stabilendo i paletti in cui il dipendente può utilizzare il cellulare aziendale per chiamate private. La sentenza è la n. 41709/2010 è della Corte di Cassazione Sesta sezione penale che indica le modalità di utilizzo del telefono in ufficio. Prima regola: poche chiamate e, soprattutto, brevi! Gli ermellini hanno precisato con la sentenza che sono ammessi anche sms ad amici sempre che siano numericamente contenuti e diluiti nel tempo. Il caso è scaturito da un procedimento che vedeva imputato per peculato e abuso d'ufficio il dirigente di un Ufficio tecnico comunale. L'imputato aveva utilizzato il cellulare aziendale per contatti privati ed aveva inviato 276 sms ad amici e fatto 625 telefonate con un costo complessivo di 75 euro. Questa spesa però era “diluita” in due anni e per questo l'accusa di peculato era stata archiviata dal gup. Insomma le telefonate erano state poche e anche i costi molto modesti. La Suprema Corte ha inoltre sottolineato che non sono stati configurati quindi “atti appropriativi di valore economico sufficiente per la configurabilita' del delitto di peculato”. Il tecnico comunale aveva anche navigato in intenet ma il Comune aveva un abbonamento a costo fisso per la navigazione sul web. La sentenza della Cassazione secondo Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” dimostra l’esistenza nell’ordinamento italiano dei rimedi e delle tutele alle vessazioni che molti lavoratori continuano a subire ed invita a non demordere chi si ritiene vittima d’ingiustizie ed illegittimità sul luogo di lavoro. Giovanni D’AGATA Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore”
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