All’anima, 310 € per un blue – jeans!

Rocco Boccadamo, pone l'attenzione sui costi “esagerati” di un blue jeans

Si voglia perdonare la pochezza e la marginalità dello spunto, in funzione di base per un pensiero ponderato. Certo, a di trascendentale, e però, di questi tempi, forse, non deve sembrare peregrino, può al contrario rivelarsi utile, appuntare e richiamare l’attenzione su fatti e vicende della quotidianità in dettaglio. Transitando accanto alla vetrina di un negozio d’abbigliamento in centro città – a onor del vero, non l’esercizio ritenuto il tempio più lussuoso e con prezzari ovviamente proporzionati – si verifica un autentico strabuzzare degli occhi di fronte ad un blue jeans per uomo lì in bella mostra e, soprattutto, all’impatto con la cifra stampata sul relativo cartellino prezzo: 310. In lettere, trecentodieci euro. In un baleno, nella mente dell’involontario e occasionale spettatore – fuor d’ogni dubbio, persona semplice, non à la page, con la testa sulle spalle – s’ingenera un marasma da confusione e suggestione. Su un angolo dell’immaginario schermo è come se scorressero le figure della mitica carica dei trecentouno, nella sezione opposta, un’infilata serie di 31, 31, 31…, ossia la quantità di scansioni numeriche di cui si faceva il conto nel parimenti mitico gioco “a nascondino”, al buio delle serate estive nelle viuzze del proprio rione al paesello. Da 1 a 31, con ritmo non forzato nella proclamazione ad alta, per opera del partecipante che “pagava pegno”, di un cardinale dietro l’altro, risultava un intervallo lungo, notevole, sufficiente a che gli altri soggetti dell’adolescenziale intrattenimento riuscissero a sgaiattolare di corsa e ad acquattarsi a ridosso di un angolo o schiacciati sul limitare di un uscio dei dintorni. Lontanissimo, in tutti i sensi, l’anzi richiamato svago, nel canovaccio della casuale competizione datata novembre 2010, dunque, non 31 (numeri), bensì dieci volte tanto in soldoni (euro). Il passante, un po’ stordito e nondimeno incuriosito, si determina a varcare l’entrata del negozio di che trattasi e, al primo impiegato venditore che gli si muove incontro, domanda di botto, con il dito a indicare il blue jeans dello scandalo: “Scusi, s’intendeva forse scrivere 31?”. Per risposta, inaspettatamente, un sorriso accompagnato dalla precisazione: “Caro signore, il capo da Lei scorto reca impresso un marchio famoso (nota dello scrivente, inizia con PR…), il che già significa raddoppio e passa del prezzo di vendita che ci sarebbe stato altrimenti”. Aggiunge, quindi, il compito collaboratore del museo del lusso, dimostrando di aver bene appreso e assimilato un ritornello, una lezione che è soprattutto leziosa: “Poi, veda, il problema non è tanto e soltanto della famosa casa che impone un prezzo elevato, ma, parimenti, della notevole domanda da parte dei consumatori di tal genere di capi griffati”. Non c’è che dire, autentiche parole sante, o, dal punto di vista opposto, bestemmie del diavolo. Per un blue jeans, l’equivalente del 60% di un assegno mensile di pensione sociale. E, addirittura, in periodo di crisi e, per quel che conta, qui al Sud, dove, senza calcare la mano, di lavoro e di fonti di reddito n’esistono notoriamente meno che altrove. Esagerazioni, contraddizioni, realtà poco comprensibili e accettabili dalla gente comune. Nella lista degli interventi e correzioni enumerati di qua e di là, non si dovrebbero trascurare questi aspetti: per poter andare avanti, per un futuro non di pochi privilegiati e/o eletti, ma di tutti. Lecce, 7 novembre 2010 Rocco Boccadamo

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