Lo dice Rocco Panico, quarantaduenne tricasino. Lui, operaio da sempre, racconta una storia di licenziamenti e riassunzioni nell’universo Adelchi
“La cassa integrazione è un cancro. Ti entra nelle ossa e non ti abbandona più. Logora dal di dentro te e la tua famiglia. Porta a frantumare i rapporti famigliari, perché non tutti, non tutte le famiglie, possono reggere alla quotidiana paura che ti da lo spettro della disoccupazione. E i rapporti familiari diventano ancor più sfilacciati se arriva una disabilità a gravare su una stabilità inseguita a tutti i costi”. Comincia così il suo racconto Rocco Panico, di Tricase, classe 1968, operaio Adelchi da sempre. Da quando, Rocco? “Dal congedo militare. Avevo 20 anni”. La vita di Rocco Panico, due figli di 12 e 7 anni, si divide in due: tutto ciò che è successo prima del posto “fisso” nella costellazione Adelchi, e tutto ciò che è successo dopo. Prima, la giovinezza, dopo, la maturità, il matrimonio, i figli. Il mutuo? “No, per fortuna quello no”. Avere un posto fisso a 20 anni, subito dopo il congedo miliare, sembrava un miraggio, mica roba da niente. Significava costruirsi un futuro per sé e per i propri figli. Poter sognare di averli, dei figli. Così Rocco si sposa nel 1994 e dopo qualche anno entra nel perverso meccanismo dei licenziamenti e riassunzioni, passaggi da un’azienda ad un’altra, sempre dell’universo Adelchi. E se le passa in rassegna tutte: tutte lo assumono, poi lo licenziano, poi lo “passano” ad un’altra, come un pacco o un vestito che ha fatto il suo tempo. Invece l’unico elemento ‘scaduto’, in quest’assurda storia, erano i finanziamenti statali. Perché una volta finiti, gli operai venivano licenziati e passati ad un’altra azienda che, con le loro assunzioni, riceveva altri premi dallo Stato. La Guardia di finanza coordinata dal colonnello Patrizio Vezzoli dopo indagini approfondite sui bilanci, le assunzioni, le carte delle agevolazioni statali, ha chiuso le indagini e inviato il fascicolo in Procura con l’ipotesi di reato di truffa. Gli operai, e tra loro Rocco, sarebbero stati al centro di un cinico gioco di scatole cinesi con l’unico obiettivo di spremere al massimo le borse statali. “Sono stato sballottato da un’azienda di Adelchi all’altra: prima Nuova Adelchi, poi KnK, poi Sky, poi Crc. Ma ce lo chiedevano e noi ci stavamo”. Che cosa vi dicevano? “Che dovevano licenziarci, che era necessario perché così avremmo mantenuto il nostro posto di lavoro”. E voi lo facevate… “Ma si, avevamo fiducia. Prima si era tutti una grande famiglia. I primi anni, a Natale, c’erano i pacchi regalo per le famiglie, li dava direttamente il titolare. Poi tutto è andato logorandosi. I rapporti con l’azienda, i rapporti famigliari”. Fino a che, colti dalla disperazione e dall’ostinazione di non voler perdere il posto di lavoro, Rocco insieme ad altri, fecero lo sciopero della fame. Era il 2005. Il 21 ottobre 2005. Rocco porta scolpite nella mente date, nomi, persone. Quel giorno l’azienda, la Sky, una delle tante che si palleggiavano gli operai, non mantenne fede agli impegni assunti sui “carichi famigliari”: avrebbe dovuto cioè riprendere a lavorare chi aveva famiglia e figli a carico. Invece alcuni operai come Rocco furono scavalcati che persone più giovani e senza figli. Così, per scongiurare la fame, stettero 15 giorni a digiuno: “Fu difficile. Per noi, ma anche per chi ci stava accanto”. Alla fine la spuntarono e furono riassunti dalla Crc. L’ennesima azienda del gruppo, l’ultima. Dal 16 marzo 2009 dopo 22 anni di lavoro, di cui 17 al montaggio, e neanche un grazie, Rocco è in cassa integrazione straordinaria regionale. E ora? “E ora sono 750 euro al mese di cassa più gli assegni famigliari”. Ma per averli, quei soldi, dopo lo sciopero della fame, insieme ad altri compagni, è salito sul tetto del Comune di Tricase, vivendo lì giorno e notte, accampati. Era il 23 settembre del 2009 e quando scesero dai tetti occuparono l’azienda per due mesi. E da lì si spostarono in piazza Pisanelli a Tricase, con un presidio ininterrotto di undici mesi. Sotto un gazebo Rocco e i suoi fratelli di lotta hanno passato le feste comandate: Natale, Capodanno, Pasqua. Amici e parenti portavano viveri e sostegno. Pane e rose. Sulla loro storia, eroica, perché no, è appena uscito anche un libro, a firma di Mario Fracasso, che l’ha auto-editato: Adelchi, la storia operaia del sud Salento raccontata dai protagonisti. ([email protected]). Il 31 dicembre scadrà il sostegno regionale e il braccio di ferro tra istituzioni e impresa non lascia presagire a di buono. L’11 novembre prossimo è fissata l’udienza per il “concordato preventivo” tra Adelchi e i suoi creditori. Primi della lista, dopo le banche, gli operai. Tra di loro molti devono ricevere il tfr ,anche di vent’anni di lavoro. Che cosa cercate, Rocco? “Cerchiamo giustizia”. La risposta è disarmante. “Lottiamo per avere il lavoro, non per avere la cassa integrazione. Non la vogliamo. Adesso siccome la nostra cassa integrazione arriva dalla Regione Puglia, dobbiamo dimostrare di avere la volontà di ‘riposizionarci’, di voler apprendere un mestiere nuovo, diverso. E’ obbligatorio seguire dei corsi base di informatica, sulla sicurezza sul lavoro. E noi li facciamo, mica ci tiriamo indietro. Stiamo sostenendo colloqui presso il Centro per l’impiego, dove ci chiedono che cosa vogliamo fare nella vita. Qual è il nostro sogno, oltre le scarpe”. Qual è il tuo sogno oltre le scarpe? “Non essere costretto ad andare all’estero. Non voglio essere de localizzato anch’io”.
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