Quando i depuratori sono un rischio per l'ambiente

Il dossier del Centro servizi volontariato Salento

E' stato presentato oggi il dossier sui depuratori salentini realizzato dalla redazione di “Volontariato Salento”. Un viaggio tra i 49 depuratori presenti in territorio provinciale. Non sempre in regola

E' stato presentato stamattina presso la sede di Lecce del Csv Salento (Centro servizi volontariato) un dossier sui depuratori in provincia di Lecce realizzato dalla redazione di “Volontariato Salento”. Un viaggio tra le condotte lecite ed illecite del sistema dei 49 depuratori salentini. Oggi, infatti, è difficile ricostruire il quadro reale del sistema di depurazione salentino. La problematicità nella conoscenza dei dati e nell’accesso agli atti – anche perché è in corso l’adeguamento dell’intero parco depurativo regionale –, la frammentazione esasperata della geografia dei depuratori, troppi strumenti legislativi, nazionali e locali, che non riescono a dare un quadro unico e certo. Nel 1995 esistevano 7 impianti attivi che, oltre a servire la fognatura dinamica dei rispettivi abitati, accoglievano i bottini di tutto il Salento (Lecce-Surbo, Galatina-Soleto, Matino, Poggiardo, Specchia, Ugento e Uggiano La Chiesa). Oggi il numero degli impianti è cresciuto in modo esponenziale, passando da 7 a 42 depuratori funzionanti (sei volte di più rispetto a 14 anni fa) su un totale di 49 (contando i 7 non ancora a regime di Alliste, Carmiano, Carpignano Salentino, Casarano nuovo, Porto Cesareo, Uggiano La Chiesa nuovo e Vernole). Di questi, 38 hanno una potenzialità inferiore ai 30.000 abitanti equivalenti (unità di misura stabilita dall'articolo 74 comma 1 lett. a) del D.Lgs. 152/06). E il “Piano di interventi urgenti a stralcio del Piano di Tutela della Acque” della Regione Puglia, ha evidenziato che, in provincia di Lecce, il trattamento del carico organico potenziale delle acque reflue viene garantito solo per il 39%. Perché? Molti impianti risultano sottodimensionati rispetto alla reale portata dei reflui, e solo 10 sono “terziari”, dotati cioè di una capacità di abbattimento del carico inquinante maggiore rispetto ai primari e secondari. Per quanto riguarda i recapiti finali per lo smaltimento dei reflui depurati, dei 49 impianti esistenti in provincia, ufficialmente ad oggi 8 continuano a recapitare nel sottosuolo (esclusi quelli già dismessi di Cutrofiano e Sogliano Cavour), 17 sul suolo, soprattutto in trincee disperdenti, per cui si sono a volte utilizzate ex cave riempite di materiale drenante, 16 in corpi idrici superficiali, cioè canali, spesso opere di bonifica di terreni paludosi o letti di torrenti di acque pluviali, 6 hanno recapito diretto in mare, di cui solo due, quello di Lecce e il nuovo di Santa Cesarea Terme, sono provvisti di condotta sottomarina. Al di là dei dati ufficiali dall'indagine emerge che i numeri degli scarichi in mare, come quelli in falda, sono di gran lunga superiori. Nello specifico, gli scarichi in falda sono vietati già da dieci anni con il Decreto Lgs n.152/99, ma dalla Relazione del Tavolo Tecnico Interagenziale Gestione sostenibile delle risorse idriche di Arpa Puglia, emerge che nel 2002 erano ancora 24 su 42 gli impianti salentini che immettevano le acque depurate direttamente in falda. Un numero ridotto a 16 nel 2006 ed oggi ufficialmente ad 8. Ma, in realtà, spesso i reflui riversati in corpi idrici superficiali vengono convogliati in vore, con seri rischi di inquinamento della falda: dagli 8 recapiti ufficiali si passa quindi ai 19 reali. Le acque reflue, pur incanalandosi in corpi idrici superficiali più o meno lunghi, quando non sono convogliate in vore, solitamente raggiungono la costa riversandosi comunque in mare: ecco che dai 6 depuratori che ufficialmente recapitano in mare si passa ai 18 effettivi. Il risultato? Sui 261 km di costa salentina, il 5% (pari a 13,05 km) presenta un divieto permanente di balneazione a causa dell’inquinamento, in corrispondenza dello sbocco dei depuratori che recapitano in mare direttamente o indirettamente. Molto spesso, però, i divieti o non vengono evidenziati con cartellonistica adeguata o non vengono rispettati dai cittadini, anche in virtù del fatto che ufficialmente lo scarico avverrebbe attraverso corpi idrici superficiali e quindi senza l'obbligo di affiggere divieti. L’adeguamento dell’intero sistema depurativo regionale ha previsto investimenti cospicui. Tra gli altri, 108 milioni di euro sono stati attribuiti con delibera CIPE n.35/05, che nello specifico ha stanziato 38milioni di euro per il “potenziamento e/o adeguamento dei sistemi di depurazione”. Ma si tratta di passi in avanti o da gambero? In realtà con la delibera n.1497 del 1 agosto 2008, la Giunta Regionale ha definanziato questi interventi, poiché il termine ultimo per l'impegno delle somme era fissato al 31 dicembre 2008. Proprio per non perdere i fondi a fine dicembre 2008, la Regione piuttosto che velocizzare i tempi per gli interventi già individuati nel 2006, ha preferito il loro definanziamento, destinando queste risorse ai progetti delle fogne pluviali. Nel Salento quindi non verranno attivati gli oltre 5milioni di euro previsti per i lavori programmati sugli impianti provinciali più grandi di Copertino, Gallipoli, Lecce e Maglie. Insomma una corsa all'incuria e all'indifferenza di tutti. Significativo anche il cambiamento di rotta degli ultimi tempi, con la prospettiva di una netta inversione di tendenza. A pochi anni dalla loro realizzazione, si sta già verificando la chiusura di 2 impianti (Cutrofiano, Sogliano Cavour), la dismissione di altri 7 e la creazione di depuratori consortili medio-grandi. La politica dissennata della corsa ai depuratori ha portato allo spreco di risorse, ad un'esigua manutenzione degli impianti, alla non controllabilità del loro funzionamento. Allora che fare? Se non cresce la consapevolezza e la coscienza civica per fronteggiare e reprimere dal piccolo la logica legata al mondo del malaffare, se non si mettono a punto strategie integrate di controllo della spesa pubblica, se affianco a interventi di ripristino e risanamento ambientale non si avviano politiche dal basso di risparmio e di utilizzo razionale delle risorse, non c'è via di scampo: il degrado e lo scempio ambientale diventano inarrestabili e saranno i cittadini e le generazioni future a pagarne i costi. Ma non basta. Occorre presidiare il funzionamento degli impianti attraverso un coordinamento tra i soggetti predisposti al controllo, con l’ausilio delle associazioni che sul territorio si occupano di salute e tutela ambientale. Una corretta e puntuale informazione con l'istituzione di osservatori civici locali è certamente un contributo importante per tenere alta la soglia di attenzione e fare rete nel sostenere quel cambiamento culturale e morale ormai doveroso nella tutela e nella gestione della res publica.

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