Il Salento puntellato da pozzelle e cisterne
Arso dal sole eppure non assetato. Perché l’acqua, nel Salento, come accade per ogni bene prezioso, bisogna cercarsela. Nel sottosuolo. Tracce di pietra, oggi, testimoniano le vie d’acqua sotterranee che nei secoli hanno tracciato la mappa degli insediamenti dell’uomo. Un itinerario inedito, frutto di uno studio approfondito e appassionato
“Acqua, acqua, siamo arrivati all’acqua”. Era il grido di esultanza dei puzzari salentini, quando nei primi decenni del secolo scorso cominciarono a praticare le prime perforazioni su scala artigianale-professionale per costruire un pozzo profondo, alla ricerca dell’acqua abbondante, potabile ed inesauribile. Un grido che lanciava lu zoccaturu, ossia il picconatore, che per primo aveva affondato la punta di acciaio temperato nella platea argillosa della falda profonda carbonatica. Viene alla mente il grido di gioia e di speranza (“terra, terra” !!) della vedetta arrampicata in cima alla coffa delle navi portoghesi, quando avvistava la terraferma, dopo mesi e mesi di sofferenza in mare aperto. In entrambi i casi c’era la soddisfazione di aver raggiunto la meta del viaggio: poter garantire la disponibilità di acqua alla comunità; poter disporre dell’elemento che per la natura è vita. Dove c’è acqua c’è vegetazione, ci sono abitazioni, animali e quindi la vita. Nella penisola salentina, per la maggior parte in pianura, non vi sono corsi d’acqua in superficie, fiumi, torrenti o ruscelli. Nonostante tutto, non si parla di Salento sitibondo. Nella provincia di Lecce, l’acqua c’è, anche abbondante. Ne sono testimonianza i numerosi insediamenti nella storia; dai messapi ai bizantini, dai greci ai romani. Solo che si trova nel sottosuolo, dove si accumulano le acque piovane. Un enorme forziere che anche l’Acquedotto pugliese ha pensato di sfruttare a dovere. (Continua in edicola sul Tacco d'Italia di agosto)
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