Emigrazione della nostra epoca. Ed esclusione sociale
Molti di noi, se vogliono tornare, è proprio perché il successo a distanza l'hanno trovato ma non gli basta più. Tornare è la voglia di non vedere più sul Tuttomercato, la domenica, offerte di lavoro precarie, per i call center o per quei “lavori da casa”. Perché ingegnere non significhi solo costruttore, perché il posto a scuola non sia l'unico lavoro sicuro
Il “caso” è scoppiato in Salento nel febbraio scorso e a rileggere quei giornali sembra già preistoria: tutto morto e sepolto e la vita va avanti. Dichiarazioni, convegni, proposte, rimbalzi mediatici, i politici pronti a parlare di “emergenza”: circa 35mila giovani con un’istruzione medio-alta negli ultimi tre anni hanno lasciato la loro terra d’origine, la Puglia, per lavorare al nord o all’estero. Emigranti. Colti, preparati, le valige non sono di cartone, ma sono emigranti. Sul Taccoditalia.net, il quotidiano on line curato dalla redazione del Tacco d’Italia, la lettera di un giovane e brillante ingegnere aerospaziale leccese con lavoro prestigioso ad Amburgo ha squarciato il velo di Maya: “Vogliamo ritornare ma è il sistema-Salento che non ci vuole”, questo il senso del suo intervento. Sono seguiti, sempre più numerosi, gli interventi dei tanti “cervelli fuori”: esperienze di studio e lavoro all’estero; tentativo di ritorno; scontro con un sistema socio-politico-economico dalle maglie strette, che si allargano solo per far passare chi è già parte della “rete”, della catena; decisione di ritornare al nord o all’estero. (Continua sul Tacco d'Italia n.40 in edicola)