Tre giorni di fuoco

Novoli prepara la pira dei record per il suo santo protettore

Novoli dedica tre giorni a Sant’Antonio abate. Eremita nel deserto, guaritore delle malattie e dell’influsso malefico del demonio. Le celebrazioni religiose sono iniziate sabato 5 gennaio. Quelle civili “infiammeranno” la città dal 16 al 18 gennaio

L’edizione 2007 della “focara” di Novoli sarà l’edizione dei record. Già gli organizzatori della festa del fuoco, che si terrà in piazza Schipa nelle tre giornate dal 16 al 18 gennaio in onore di Sant’Antonio, hanno fatto sapere che la pira composta da migliaia di fascine di tralci di vite, quest’anno toccherà i 22 metri di altezza (la base sarà ampia 18,50 metri). E a filmare lo spettacolo che prenderà vita davanti agli occhi dei novolesi ma anche dei numerosissimi, come da tradizione, devoti e curiosi, ci saranno le telecamera di Edoardo Winspeare, che già ha annunciato di voler dedicare proprio alla festa della cittadina salentina il suo prossimo impegno cinematografico. Le celebrazioni religiose hanno preso il via sabato sera, quando il parroco don Giuseppe Spedicato ha dato inizio al solenne “novenario”. Per quelle civili bisognerà aspettare ancora un po’, ma tutto lascia immaginare che le attese saranno ben ripagate. // Sant’Antonio del deserto Antonio nacque a Coma in Egitto (l'odierna Qumans) intorno al 251, figlio di agiati agricoltori cristiani. Rimasto orfano prima dei vent'anni, con un patrimonio da amministrare e una sorella minore cui badare. Ma, distribuiti i beni ai poveri e affidata la sorella ad una comunità femminile, decise di segure la vita solitaria nei deserti attorno alla sua città, vivendo in preghiera, povertà e castità. Si racconta che ebbe una visione in cui un eremita come lui riempiva la giornata dividendo il tempo tra preghiera e l'intreccio di una corda. Questo sogno gli svelò che oltre alla preghiera, doveva dedicarsi a un'attività concreta. Da ciò deriva quello che divenne il famoso motto “Ora et labora”, della regola benedettina. Così ispirato condusse da solo una vita ritirata, dove i frutti del suo lavoro gli servivano per procurarsi il cibo e per fare carità. Nei primi anni fu molto tormentato da tentazioni fortissime e da dubbi sulla validità della scelta di una vita solitaria. Altri eremiti lo esortarono a perseverare e, anzi, a staccarsi ancora più radicalmente dal mondo. Allora, coperto da un rude panno, si chiuse in una tomba scavata nella rocca nei pressi del villaggio di Coma. In questo luogo venne aggredito e percosso dal demonio; senza sensi venne raccolto da persone che si recavano alla tomba per portagli del cibo e fu trasportato nella chiesa del villaggio, dove si rimise. In seguito Antonio si spostò verso il Mar Rosso sul monte Pispir dove esisteva una fortezza romana abbandonata, con una fonte di acqua. Vi rimase per 20 anni, nutrendosi solo con il pane che gli veniva calato due volte all’anno. Con il tempo molte persone vollero stare vicino a lui e, abbattute le mura del fortino, liberarono Antonio dal suo rifugio. Questi allora si dedicò a lenire i sofferenti. Il gruppo dei seguaci di Antonio si divise in due comunità, una a oriente e l'altra a occidente del fiume Nilo. Nel 311 Antonio tornò ad Alessandria per sostenere i cristiani perseguitati. Visse i suoi ultimi anni nel deserto della Tebaide dove pregando e coltivando un piccolo orto per il proprio sostentamento, morì, ultracentenario, il 17 gennaio 357. Venne sepolto dai suoi discepoli in un luogo segreto. // Sant’Antonio “te lu focu” Molti erano i malati che accorrevano per chiedere grazie e salute. Molti di questi erano afflitti dal fuoco sacro o male degli ardenti conosciuto anche come fuoco di Sant'Antonio che è una malattia provocata da una intossicazione alimentare. La segale era spesso contaminata da un fungo, l'ergot o segale cornuta, che provocava negli intossicati febbri altissime, accompagnate da allucinazioni, deliri e bruciori insopportabili. Queste intossicazioni toccavano intere collettività e provocavano nelle stesse delle vere e proprie stragi.

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