Bicicletta, una scelta di vita: mobilità sostenibile da esportare dopo la pandemia

La storia personale e il progetto professionale di Simona Larghetti, 36 anni, bolognese d’adozione, sposata, madre di 2 figli, presidente della Consulta comunale della bicicletta nel capoluogo emiliano: ha fondato Dynamo Velostazione e l’ha realizzata in un sottoscala che nella Seconda guerra mondiale è stato rifugio. E’ la prima struttura in Italia pensata per i ciclisti della città e per i turisti, in cui ci sono 150 posti per le due ruote, officine per le riparazioni, il noleggio, bar, deposito bagagli e corner per vendita anche di accessori

di Stefania De Cristofaro

BOLOGNA – La prima pedalata a 5 anni tra il verde del Monte Carpegna, in provincia di Pesaro e Urbino, dove è nata. Lì il pirata Marco Pantani si allenava. Forse una semplice coincidenza, chissà. Forse destino. Fatto sta che Simona Larghetti, 36 anni, project manager di Dynamo Velostazione, la bicicletta l’ha scelta per la vita, come compagna quotidiana: innanzitutto per necessità ai tempi dell’università per frequentare la facoltà di Lettere, poi è arrivato l’amore, conoscendo un sostenitore delle due ruote conosciuto pedalando che ha raggiunto in bici per sposarsi (e come sennò?), e infine ha inventato un lavoro, nella convinzione che la bicicletta possa restituire alle città la vivibilità tanto desiderata e spesso maltrattata da auto, moto e ritmi frenetici. Mobilità sostenibile riscoperta nel periodo del lockdown, conseguente alla pandemia da Covid 19.

IL PROGETTO DYNAMO VELOSTAZIONE: PRIMO IN ITALIA PENSATO PER I CICLISTI

A Bologna, dove vive da quando aveva 21 anni, nel 2015 ha tenuto a battesimo Dynamo Velostazione, la prima area in Italia pensata per i ciclisti.

“C’è tutto, dal parcheggio custodito, per un totale di 150 posti, all’officina per le riparazioni, al noleggio, ai corner per la vendita, non solo di bici ma di abbigliamento per chi si sposta pedalando, sino al punto ristoro. E’ un’area aperta 365 giorni l’anno, ricavata in un sottoscala che nel periodo della Seconda Guerra mondiale è stato usato come rifugio”, racconta la project manager.

L’intuizione che si è rivelata vincente nella sua vita, prima ancor che nella vita della città di Bologna, è arrivata dopo aver saputo che il comune aveva indetto un bando per under 35 finalizzato al recupero di spazi abbandonati attraverso progetti portatori di innovazione sociale.

“Il bando si chiamava IncrediBol: abbiamo immaginato una velostazione e l’abbiamo tenuta a battesimo con il nome Dynamo, dal greco energia in movimento, parola che tra l’altro richiama quella della bici”, spiega Simona Larghetti. “L’abbiamo pensata come uno spazio interamente dedicato alle bici e ai ciclisti, sia quelli della città che quelli in visita. Evidentemente non eravamo poi tanto sognatori, se quel progetto è piaciuto al punto da farci vincere il bando e così il comune ci ha assegnato lo spazio sotto al Parco della Montagnola, proprio di fronte alla stazione ferroviaria di Bologna. Siamo riusciti a ripulirlo grazie a un centinaio di volontari. E’ stato un salto nel buio bellissimo: all’inizio eravamo cinque persone, al lavoro dalle 6 alle 24”.

LE TAPPE DELLA PEDALATA A PARTIRE DAGLI ANNI DELL’UNIVERSITA’

Accanto a lei, il marito Federico Fasol, detto Faso. “Ci siamo conosciuti parlando di bicicletta nell’ambito della rete di attivisti a Bologna”, racconta. Ora sono un famiglia, hanno due figli. “Pensare che tutto è iniziato quando ero una studentessa di Lettere: è stato in quel periodo che ho preso coscienza delle problematiche di chi usa la bici per muoversi in città, perché le biciclette e i pedoni sono considerati generalmente elementi di disturbo per le auto e la circolazione stradale. Io stessa sono stata investita due volte, fortunatamente senza gravi conseguenze”.

Il primo impegno di Simona Larghetti è stato con l’associazione l’Altra Babele in ambito universitario.

Il secondo step è arrivato  nel 2010 quando ha organizzato il Bike Pride: “L’obiettivo era la celebrazione della bicicletta e di chi ne faceva uso, soprattutto con riferimento ai cosiddetti ravaldoni che a Bologna sono le bici vecchie, da cantina, quelle che usano gli studenti”, spiega. “Volevamo che anche gli studenti fossero orgogliosi dei loro ravaldoni e che non si sentissero di serie B non avendo grandi disponibilità economiche per comprare bici nuove”.

La terza tappa è datata 2012 con il movimento Salvaiciclisti, nato su iniziativa di 38 blog come manifesto per la sicurezza stradale, sull’onda anche emotiva scaturita dalla storia di una giornalista del Times investita da un camion.

“L’obiettivo era ed è la riappropriazione dello spazio pubblico: un problema culturale”, dice Larghetti. “Quello stesso anno su Facebook è nato  il gruppo Salvaiciclisti e mi sono ritrovata dentro, aggiunta probabilmente da qualcuno, ma ad oggi non so chi. E’ a questo punto che ho focalizzato la questione e mi sono attivata per creare anche a Bologna un gruppo nel quale confrontarci sulle problematiche quotidiane ed è nato l’appuntamento settimanale, ogni sabato, in piazzetta San Giuseppe, vicino al primo centro sociale occupato negli anni Novanta, un luogo simbolico. Subito dopo abbiamo iniziato a lavorare per un evento di respiro nazionale, chiamato Bici Senza Frontiere sostenuto dall’associazione con sede a Bologna che oggi conta circa 500 soci”, spiega.

Da qui alla quarta tappa, la distanza è stata breve. “E’ in questa fase che abbiamo coinvolto la rete di volontari e attivisti con cui abbiamo posto le fondamenta del progetto della velostazione, grazie a un ragazzo che era un po’ il capo cantiere del gruppo, Federico: sentivamo la necessità di realizzare uno spazio per le bici in città”. Hanno iniziato a pedalare in tandem e non si sono più lasciati. Dopo aver pronunciato il fatidico sì, hanno festeggiato proprio a Dynamo.

DALLA RISTRUTTURAZIONE DEL SOTTOSCALA ALL’ESPORTAZIONE DELLA CICLOSTAZIONE

“Adesso sono in corso lavori di ristrutturazione che ci aiuteranno a migliorare il progetto che qualche altra realtà, come Cesena, ci ha chiesto di conoscere: in questo periodo stiamo lavorando per esportare la nostra esperienza”, dice la project manager di Spazio Dynamo. “Credo che questo sia il momento cruciale per progettare o meglio, ripensare, il futuro delle nostre città perché arriva dopo un periodo che ci ha permesso di fare una serie di riflessioni sul nostro stile di vita in città”, prosegue Simona Larghetti.

“Ci stiamo per lasciare alle spalle la pandemia che, con tutte le restrizioni per evitare il diffondersi dei contagi, ha fatto apprezzare la bicicletta per gli spostamenti. E’ un mezzo di trasporto che garantisce un distanziamento naturale e infatti stando al monitoraggio condotto dal Comune di Bologna assieme all’università, è emerso che nell’ultimo anno l’uso delle biciclette è aumentato del 40 per cento”, spiega.

“E’ un dato certamente incoraggiante per chi come noi sostiene l’importanza della bicicletta come mezzo per vivere la comunità. A Bologna siamo stati impegnati nella campagna Andràtuttinbici, nata dallo slogan Andrà tutto bene coniato durante le prime settimane di lockdown, allo scopo di promuovere l’uso della bici”, racconta.

L’Amministrazione cittadina di Bologna ha avviato la sua pedalata lungo la pista della sostenibilità e ha istituito la figura della Consulta Comunale della Bicicletta, di cui Larghetti è Presidente. E’ al secondo mandato.

“Quando sono arrivata a Bologna la realtà era diversa: ho trovato una città che viveva un momento difficile sotto ogni punto di vista e probabilmente questo mi ha stimolato nel senso che non mi sono sentita più figlia che aspettava che qualcuno facesse qualcosa per cambiare la situazione, ma mi sono sentita io stessa responsabile e quindi in dovere di darmi da fare”, racconta Larghetti.

“Ho respirato subito l’aria dell’accoglienza e credo sia proprio questo il punto di forza di Bologna che sento come la mia città, anche se non ci sono nata. Me la sento cucita addosso”. Non è finita qui. Nella vita di Simona Larghetti ci sono altre tappe, tutte da scrivere: “Stiamo avviando iniziative su una serie di tematiche che si legano a quella della mobilità sostenibile: dai rifiuti al razzismo alla parità di genere. Di cose da dire e da fare ce ne sono molte”.

foto di Silvia Franzoni
Foto di Roberto Taddeo

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