Per amore si fa di tutto, anche andare al mare e sorridere all’estate.
L’amore è l’unico nonsenso che da un senso alla vita.
E a giugno l’universo me lo ha voluto ricordare.
Ho capito di aver subito uno shock solo due giorni dopo essere tornata a casa; allora ho realizzato che, dalla sera in cui ho portato mia figlia al pronto soccorso fino a quel momento, avevo vissuto in una sorta di tempo sospeso e irreale. Non davvero consapevole.
E’ stato tutto molto veloce e inaspettato. Ma la vita non accade forse sempre così?
La morte arriva improvvisa, così come una gravidanza, così come ogni evento significativo.
Tutto ciò che ci costringe ad uscire dalla nostra routine e svegliarci dal torpore delle illusioni quotidiane è vita. Ed è sempre improvviso.
Ogni tanto, in ospedale, prendevo appunti.
——
Sento
le urla di un bambino piccolissimo. Non avrà più di un anno. Non lo vedo, ma si capisce dalla vocina stridula. Urla senza sosta. É straziante.
Sento
le bollicine che si agitano nell’ampolla dell’ossigeno.
Sento
il respiro corto e faticoso della mia cucciola, che ha finalmente preso sonno, qui, su un letto bianco esageratamente grande, che la fa sembrare ancora più piccina.
Sento
delle voci che cercano di calmare il bimbo, sono lontane, usano nomignoli, ripetono con tono dolce: ’no, no, amore’
Sento
gli occhi che mi bruciano
Sento
odore di vomito
è sulla mia maglia, sui miei pantaloni, forse anche un po’ nei miei capelli, sicuramente su di lei.
Non le ho cambiato i vestiti. Era già così provata da tutto il resto…
Sento caldo.
Ma senza maglione la dottoressa ha dato per scontato fossi incinta (anche nelle situazioni tragiche devo fare i conti con l’imbarazzo del mio corpo).
Siamo in ospedale,
hanno ricoverato la mia cucciola.
E’ stato tutto così veloce
non me l’aspettavo.
Non riusciva a mangiare la pizza e mi ha voluto accanto.
Si è stesa accanto a me, era stanca ma non riusciva a dormire, non si sentiva bene.
Poi l’affanno, il respiro corto, il torace che si alzava e si abbassava senza tregua.
Emetteva suoni striduli e faceva tanta fatica a respirare.
Non l’avevo mai vista così.
Ho chiamato il pediatra: per emergenze chiamare questo numero.
Ho chiamato il numero delle emergenze: spento.
Non mi piaceva.
Pronto soccorso:
due tamponi, una radiografia al torace, prelievi del sangue, flebo alla manina destra e saturimetro alla sinistra, mascherina dell’ossigeno sul suo piccolo volto e 4 medicine amare.
Ha vomitato
una volta
due volte
tre volte
era pallida e provata.
Solo 5 anni
ma forte, coraggiosa, bravissima.
Poi è finalmente crollata
qui
nella stanza ‘neutra’,
tutta sporca di vomito.
Io ascolto il suo respiro, ascolto il mio cuore (batte ancora?), mi guardo intorno cercando un perché.
Domani mattina sapremo l’esito del secondo tampone
se è negativo verrà ricoverata in pediatria,
altrimenti non lo so, non ci voglio nemmeno pensare.
Non so quanto resteremo
non so perché tutto ad un tratto lei stia così male
non so cosa sarebbe accaduto se non fossi venuta qui subito stasera.
Ad ogni respiro le si alza tutto il torace.
E’ venerdì sera:
domani niente scuola,
dovevamo mangiare la pizza e vedere il bello film tutte insieme sul lettone.
Invece siamo qui,
tra vomito e amuchina,
Frida sicuramente spaventata e preoccupatissima, lontana da noi.
Mi concentro su quanto siamo fortunate
(perché siamo ancora fortunate, vero? Prego di sì).
5 giorni dopo
macchie sospette, valori alti, fischi nei polmoni, infermiere dai sorrisi gentili, pranzi alle 11, ’signora stiamo cercando di capire’, ‘mamma quando torniamo a casa?’, nessuna visita permessa, meglio evitare il contatto con altri bambini ricoverati, ‘restate nella vostra stanza’, tante stanze e altrettanti mondi isolati, ha preso la medicina delle 6?; ha già fatto la cacca?; dobbiamo fare un altro prelievo del sangue’; nottate di emergenze e parecchi ricoveri in reparto, pianti e urla di bambini, un’altra radiografia, varie ipotesi, un bimbo con un robot in mano che mi guarda e sorride, i medici che si contraddicono, l’incontro casuale e furtivo con lo sguardo compassionevole e solidale di un’altra mamma, l’infermiera che sbaglia la dose, il corridoio colorato ma triste, nessuna certezza
(siamo ancora fortunate, vero?)
9 giorni dopo
Il giorno che sarebbe stato il compleanno di mia mamma, siamo finalmente tornate a casa.
Non era grave come sembrava.
(Siamo ancora fortunate!)
—-
Ero tutta immersa nello stress pre-trasloco, che non chiedo mai aiuto a nessuno e voglio fare sempre tutto da sola. Anche un trasloco epocale, nel periodo più caldo dell’anno, quando finalmente hanno riaperto i teatri e posso lavorare e le bambine hanno finito la scuola!
Dormivo poco ed ero sempre più irascibile, troppe cose da fare tutte insieme, troppe poche ore in un giorno.
Poi la vita ha deciso di riportarmi con i piedi per terra e centrata sull’unica cosa davvero importante: l’amore.
La mia cucciola stava male e, magicamente, niente aveva più importanza.
Solo lei, stesa su quel grande letto con tutti quei tubi e tubicini, solo io che dovevo essere forte per lei e la mia primogenita, lontana da noi e impossibilitata a raggiungerci. Solo noi.
Vivere l’ospedale in tempi di COVID? Fatto.
Mia nonna Ornella, che era stata adottata e cresciuta da una coppia di pescatori gallipolini e usava esprimersi a suon di detti salentini, quando aveva la fortuna di sopravvivere ad una sventura, diceva sempre: ‘la putimu cuntare’, ’lo possiamo raccontare’ come a dire: è andata bene!
E’ così posso fare io con la mia esperienza in pediatria.
Per una serie di storie diverse, giugno è sempre maledettamente impegnativo per me. Ma questo giugno 2021 lo ricorderò per aver sfiorato da vicino il mio più grosso incubo in assoluto.
La nostra esperienza è durata solo poco più di una settimana, il tempo di tornare a ricordarci cosa sia davvero importante e sentire profonda gratitudine per la nostra immeritata e casuale fortuna.
Non lo racconto perché è capitato a me, ma perché capita a tante mamme, a tanti papà, a tanti bambini ogni giorno.
E poi, in fondo, è solo una storia.
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