Droga, attentati ed estorsioni silenti: cupola mafiosa a Manduria, 23 arresti

“Base gerarchica con quattro uomini al comando: Giovanni Caniglia, Walter Modeo, Nazareno Malorgio ed Elio Palmisano”. Le intercettazioni ambientali e telefoniche svelano summit in diretta per il controllo del territorio: “Tutti devono tremare”. Armi micidiali. La nuova inchiesta della Dda nel solco di quella che portò allo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose. Alleanza con gruppi attivi a Mesagne, Oria e Francavilla Fontana, nel Brindisino

 

Di Stefania De Cristofaro

 

MANDURIA (TARANTO) – Cupola a quattro teste. A Manduria, in provincia di Taranto, la mafia ha cambiato pelle dopo il pentimento di Massimo Cinieri, alias “Massimino Molletta”, modificando il metodo: non più solo intimidazioni violente, ma silenti per non dare nell’occhio, fermo restando l’obiettivo del controllo assoluto del territorio. “Tutti devono tremare”, dicevano durante i summit per organizzare gli affari. Le intercettazioni, anche ambientali, hanno svelato l’esistenza del gruppo di potere costituito da Giovanni Caniglia, Walter Modeo, Nazareno Malorgio ed Elio Palmisano, in rappresentanza dei boss storici della frangia jonica della Sacra corona unita. Erano quelli della cupola, appunto.

LE INDAGINI DELLA SQUADRA MOBILE DI TARANTO E IL BLITZ: 23 ARRESTI

L’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso è stata mossa sulla base degli elementi raccolti dalla Squadra Mobile di Taranto, nei confronti di 13 persone, destinatarie di ordinanza di custodia cautelare firmate dal gip Michele Toriello, su richiesta del sostituto procuratore Milto Stefano De Nozza. Ventisette sono indagati a piede libero.

Milto Stefano De Nozza

In carcere, oltre ai quattro, sono finiti: Alessandro Andrisano, Alessandro Domenico Andrisano, Gianluca Attanasio, Mario Buccolieri, Giuseppe Filardo, Maurizio Malandrino, Raffaele Malandrino, Pietro Spadavecchia e Michele Antonio Trombacca, tutti accusati di aver fatto parte del sodalizio di stampo mafioso.  In carcere anche: Pierluigi Chionna, Gregorio Destratis, Cosimo Iunco, accusati a diverso titolo di narcotraffico ed estorsioni.

Arresti domiciliari, invece, per gli indagati: Emidio Carella, Mirco Destratis, Teresa Dimitri, Luigi Mitrangolo, Gianvito Modeo, Antonio Pangallo e Dario Portogallo, in relazione alle imputazioni provvisorie per traffico e spaccio di droga.

L’ASSOCIAZIONE MAFIOSA NEL COMUNE DI MANDURIA, SCIOLTO SEI ANNI FA PER INFILTRAZIONI

Per il gip del Tribunale di Taranto, “le indagini delegate alla Mobile hanno permesso di aggiungere un ulteriore tassello al patrimonio di conoscenza relative al fenomeno dell’associazionismo mafioso nella provincia e segnatamente nel comune di Manduria, a breve distanza (poco più di sei anni) dai fatti alla base dell’inchiesta chiamata Impresa, nel corso della quale c’è stato l’arreso di numerosi appartenente al clan di stampo mafioso riconducibile ad Antonio Campeggio, riconosciuto come tale dalla sentenza di primo grado emessa dal gup del tribunale tarantino”.

L’inchiesta chiamata Cupola, quindi,  costituisce la prosecuzione del lavoro investigativo sul territorio manduriano e sull’evoluzione del sodalizio dopo gli arresti degli uomini del gruppo di Campeggio il quale “era riuscito a stringere un patto di scambio politico mafioso con Nicola Dimonopoli, in vista della competizione elettorale comunale a Manduria, il 26 e il 27 maggio 2013, riuscendo nell’intento di far eleggere il presidente del Consiglio comunale e inserendo, in seguito, nel governo cittadino un proprio diretto accolito, cioè Massimiliano Rossano”. Rossano, stando a quanto si legge nell’ordinanza del gip, venne “nominato assessore allo Sport, alla Cultura, al Turismo e allo Spettacolo. “Per le risultanze emerse nel corso dell’indagine Impresa, il consiglio comunale di  Manduria, venne sciolto per infiltrazione mafiosa dal presidente della Repubblica”.

L’ossatura dell’accusa è costituita da “numerosissime conversazioni intercettate che possiedono – sottolinea il gip – in elevato grado di intelligibilità – la Squadra Mobile è riuscita a delineare l’esistenza e la operatività di un’associazione finalizzata al traffico di eroina, cocaina e hashish, caratterizzata dalla ripartizione di nuovi ruoli e sovraordinazione gerarchica”. Associazione

“strettamente connessa con quella di stampo mafioso, poiché il narcotraffico costituisce la principale finalità di tale sodalizio, nonché la sua principale fonte di finanziamento”.

LE FIGURE DI VERTICE: I SUMMIT PER LA GESTIONE DELLE ATTIVITA’ E IL CONTROLLO DEL TERRITORIO

L’inchiesta ha permesso di ricostruire innanzitutto quanto accaduto prima dell’arresto di Antonio Campeggio nel 2017: per rafforzare la propria egemonia sul territorio di Manduria, “aveva cercato di colpire Giovanni Caniglia presso il suo domicilio, rifiutando qualsiasi tentativo di comporre bonariamente i contrasti all’epoca insorti”. E’ lo stesso Caniglia, nelle ambientali, a raccontare il 28 dicembre 2018, l’episodio in cui era riuscito a disarmare Campeggio, picchiandolo e decidendo di graziarlo.

Il materiale indiziario acquisito, per il gip “consente di contestare una serie di reati fine, posti in essere da quella che può definirsi una vera e propria associazione mafiosa la quale si prefigge – tra le altre cose – il raggiungimento del totale controllo del mercato degli stupefacenti, con una marcata propensione alla contaminazione dell’economia legale”.

Tra le figure ritenute al vertice, spicca quella di “Walter Modeo, il quale gestendo il narcotraffico è riuscito nel tempo ad assumere un ruolo di primordine, funzionale a promuovere l’amalgama tra i vari gruppi manduriani e il riferimento è soprattutto alla batteria di Giovanni Caniglia”. A Caniglia “Modeo riesce a garantire, attraverso Elio Palmisano, continue forniture di cocaina”. Allo stesso tempo, sempre secondo l’accusa, “riesce a consolidare il sodalizio, peraltro mai interrotto con Nazareno Malorgio, nipote del boss Vincenzo Stranieri promuovendo a fusione tra componenti mafiose diverse e persino ulteriori rispetto a quelle di Caniglia e Palmisano”. C’è stata una “alleanza con i gruppi criminali di Sava riconducibili a Giovanni Battista Bernardi e Luigi Ricchiuti, fino alla scarcerazione di Giuseppe Buccoliero che ha immediatamente ripreso il controllo della zona”.

A  Manduria, con il ritorno in libertà di Nazareno Malorgio, “si è dato corso a un nuovo assetto organizzativo dell’associazione mafiosa e sono state ridisegnate le posizioni di vertice”. Le intercettazioni hanno dato dimostrazione del modus operandi del nuovo sodalizio armato: “questioni di interesse comune vengono trattate nel corso di riunioni indette dai capi”. Al tavolo siedono: “Walter Modeo che, in alcune circostanze precisa di presenziare anche a nome di Nazareno Malorgio, Giovanni Caniglia ed Elio Palmisano, in rappresentanza del clan Mazza facente capo a Pietro Tondo, detto Pierino,  oltre che Alessandro Andrisano, detto Mollone”. Si parla soprattutto del controllo del mercato delle sostanze stupefacenti.

“Ai trafficanti storici, i fratelli Giuseppe, Carlo e Teresa Demitri, Luigi Mitrangolo alias Giggione, Emidio Carella e Anna Laura Montrone, operanti presso le palazzine della periferia di Manduria, vengono imposte regole precise da rispettare

Si legge nel provvedimento di arresto. Fra queste, “l’obbligo di approvvigionarsi solo dal canale dettato loro dall’organizzazione criminale”. La violazione comporta l’adozione di spedizioni punitive, anche mediante il “ricorso all’uso di armi da fuoco, come è avvenuto ai danni della coppia Teresa Demitri e Antonio Zanzarelli”, per mano di Walter Modeo. I due erano “colpevoli di essersi ribellati agli ordini del clan, ritenendo erroneamente di potersi avvalere degli Sciabola, termine con il quale sono conosciuti gli Zanzarelli a Oria”.

I METODI MAFIOSI DI ULTIMA GENERAZIONE: MINACCE VELATE E SILENTI

Secondo l’impostazione accusatoria, l’organizzazione mafiosa della cosiddetta cupola, “rappresenta l’unione di due gruppi criminali di stampo mafioso, un tempo in conflitto tra loro e tuttavia entrambi riferibili alla più grande associazione mafiosa pugliese costituita dal mesagnese Pino Rogoli, ‘frangia manduriana della Scu’”. I clan erano quelli di Vincenzo Stranieri e Massimo Cinieri. “Dda ciò ne consegue che, pur risultando diretta prosecuzione dei due clan, dai quali mutua la fama mafiosa e la conseguente forza di intimidazione, il sodalizio risulta caratterizzato da elementi di novità, inserendosi in un contesto criminale più ristretto, Manduria-Sava, ma in collegamento con paesi della provincia di Brindisi, Mesagne e Oria, e Lecce”.

L’evoluzione storica dell’associazione, con tutte le modifiche avvenute nel tempo, sanzionate in sede processuale, ha spinto i personaggi più carismatici dal punto di vista criminale, già affiliati e liberi, a esprimere nuovi gruppi organizzati in ambiti territoriali più ristretti.

“Se è vero, che l’azione manifesta e normalmente cruenta, rappresenta univoco sintomo della forza di intimidazione della compagine associativa, a un livello riconosciuto come rudimentale nella scala dell’evoluzione del fenomeno mafioso, altrettanto vero è che la minaccia velata di violenza costituisce uno stadio più evoluto nella progressione del metodo, parimenti idonea a dare la sicura dimostrazione della esternalizzazione della forza di intimidazione derivante dal vincolo, seppur diversamente atteggiata rispetto alle tradizionali e ormai obsolete forme di manifestazione”, ha scritto il giudice per le indagini preliminari per sottolineare il cambiamento di pelle dei metodi mafiosi a queste latitudini. Metodi di ultima generazione. Ma con identica finalità: imporre e mantenere stabilmente il comando.

“Chi c’è che comanda, dico, chi c’è alla cupola a Manduria”, si sente nelle intercettazioni allegate agli atti. “Gli ho detto, siamo quattro teste, queste quattro teste debbono essere alla pari e d’accordo, quattro persone sono a Manduria, tre sono già presenti qua, più Reno”.

E ancora: “Walter (Modeo, ndr), insomma, ora lasciamo stare quello, lui sa, abbiamo sempre fatto tutto per tutti, in che senso, nel senso che il pane lo abbiamo mangiato insieme un pezzetto”. “A dimostrazione – scrive il gip – della comunanza di interessi, strategie e obiettivi che accomunano il gruppo di comando”.

Più esattamente, ogni unità di vertice, è espressione di uni storico boss tarantino: “Caniglia e Malorgio”, come si diceva, di “Vincenzo Stranieri”, mentre “Walter Modeo di Massimo Cinieri ed Elio Palmisano di Pietro Tondo”. Ognuno dei quattro è “al comando di una batteria composta da uomini che, per accordi di vertice, devono essere accettati da tutti gli altri quattro componenti del gruppo e ciò a tutela dell’intero clan, il cui senso di appartenenza è dimostrato dal fatto che gli associati, nel corso delle conversazioni intercettate, parlano del gruppo esprimendosi abitualmente con il termine noi”.

Per rafforzare l’egemonia, i quattro sono arrivati a patti con “Giovanni Donatiello di Mesagne”, alias Cinquelire, arrestato alla fine dello scorso mese di settembre dagli agenti della Squadra Mobile di Brindisi, nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Lecce chiamata Old Generation, sulla vecchia guardia della Sacra corona unita. Donatiello è accusato di essere tornato al vertice della frangia, in coppia con l’ergastolano Francesco Campana.

Accordi anche con “Giuseppe Buccoliero e Giovanni Bernardi di Sava” e con “Angelo Soloperto di San Marzano di San Giuseppe”, con i quali venivano “concordato il rispetto reciproco dei confini territoriali, così creando le condizioni di un sistema di piena e totale pax mafiosa podromica al controllo in esclusiva del territorio di Manduria”.

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