Di Avv. Maria Luisa Lelli (Polizia Municipale di Montesilvano)
È uno degli aspetti più controversi che si configura negli omicidi stradali. Tanto controverso da costituire un impedimento alla giusta corresponsione della pena ed elemento affidato ad una lettura del giudice di natura individualistica. Secondo la giurisprudenza, nella colpa cosciente l’agente, pur sapendo che un determinato evento mortale possa verificarsi, non accetta il rischio della sua verificazione attraverso il processo mentale della contro rappresentazione, mentre nel dolo eventuale vi è l’accettazione del rischio di verificazione dell’evento come conseguenza della condotta.
Il discrimen tra le due imputazioni soggettive è in funzione della personale accettazione del rischio: nel primo caso l’evento è immaginato come potenzialmente realizzabile, seppure concretamente non voluto dall’agente, convinto che quell’evento non si verifichi come effetto della propria condotta; nel secondo caso, invece, l’evento è rappresentato dall’agente come concretamente possibile e perciò si ritiene che questi accetti il rischio che avvenga (il che equivarrebbe ad averlo sostanzialmente voluto).
Il problema non è solo teorico, ma ha rilevanti effetti nella prassi giurisprudenziale, vista la necessità di accertare in sede processuale il contegno psicologico dell’agente, oltre che comportamentale.
Le condizioni emerse dall’analisi di numerosi casi di incidenti stradali mortali hanno imposto a difesa della società un atteggiamento più severo da parte del legislatore rispetto a quanto sinora attuato nei confronti del reo.
La legge 23 marzo 2016, n. 41, varata dopo quasi 2 anni di analisi e perfezionamenti legislativi, sintetizza l’inasprimento sanzionatorio del fenomeno. Il problema s’era posto all’attenzione della Comunità Europea già all’inizio degli anni 2000, allorquando si ritenne urgente armonizzare la fattispecie in seno ai paesi membri e favorire norme e misure che mirassero al dimezzamento delle vittime stradali. Le soluzioni, tuttavia, erano orientate ad agire sul comportamento dei guidatori e, quindi, in funzione delle regole della circolazione stradale, insistendo sulle buone pratiche e favorendo l’introduzione di nuove tecnologie per la sicurezza. Solo a partire dal 2006, con la crescita del fenomeno infortunistico, si è passati ad una valutazione dell’omicidio colposo commesso in violazione delle norme del Codice Stradale. Nel 2008 furono introdotte diverse novità, fra cui l’aumento del limite massimo di pena per l’omicidio colposo aggravato da trasgressione alle norme di sicurezza stradale, portato da 5 a 7 anni di reclusione e da 3 a 10 anni per incidenti causati in stato di ebbrezza (oltre 1,5g/l) o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, portandolo da 12 a 15 anni. L’inasprimento delle sanzioni ha prodotto evidenti benefici: riduzione degli incidenti in genere e del numero delle vittime. La “criminalizzazione” del reato ha trovato il consenso popolare in piena armonia con il legislatore. La pubblica opinione era scandalizzata della mitezza delle pene, specie quando la morte giungeva a seguito di comportamenti irriguardosi delle leggi e del valore etico della vita. Con la legge 41 il legislatore ha di fatto classificato l’omicidio stradale come omicidio doloso.
Questa impostazione desta però forti perplessità già di tipo strutturale. Come ben noto, infatti, per definire dolosa una condotta sono necessarie sia “la previsione e rappresentazione della condotta criminale, sia la volontà di perpetrare la condotta rappresentata”. Quanto sopra darebbe per scontate circostanze che possono verificarsi o meno in dipendenza dell’atteggiamento volitivo di accettazione nei confronti dell’evento di morte di qualcuno. Pertanto, la natura delittuosa di chi, ubriaco, sfoga la sua ira su un rivale, uccidendolo, non può essere la stessa di chi, ubriaco, per l’eccessiva velocità provoca un morto in seguito ad incidente automobilistico: il primo risponderà di omicidio doloso, il secondo di omicidio colposo. Nell’analisi di queste condotte emerge che la componente casuale ha una rilevanza preponderante, considerato che chi guida sotto l’effetto di alcool o sostanze stupefacenti non è detto che ogni qualvolta si metta alla guida debba causare la morte di un individuo, rendendo così inadeguata la fattispecie dolosa nell’inquadramento dell’omicidio stradale.
Alla luce di queste considerazioni e a seguito della trattazione in Commissione giustizia sui D.D.L. unificati, il legislatore ha dunque preferito lasciare l’inquadramento della fattispecie di omicidio stradale nell’alveo della responsabilità colposa. Si è arrivati, così, all’attuale configurazione della norma incriminatrice dell’omicidio stradale.
L’articolo 1, comma 1, della L. 23 marzo 2016, n. 41 ha modificato il codice penale con l’inserimento del nuovo articolo 589bis c.p., composto da ben 8 commi. Esso prevede l’ipotesi base di omicidio stradale, per la quale rimangono ferme la figura astratta e la pena già previste dal previgente art. 589 co. 2 c.p.:
“Chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da due a sette anni.”
La norma sembra punire solo la colpa specifica e non quella generica. La nuova disciplina prevede due fasce di pena aggravata in relazione al delitto base previsto dal primo comma: la prima da 8-12 anni (commi 2 e 3) e la seconda da 5- 10 anni (commi 4 e 5).
Ai commi 4 e 5, dunque, si punisce con la reclusione da 5 a 10 anni l’omicidio stradale colposo commesso da conducenti in stato di ebbrezza con tasso alcolemico tra 0,8 e 1,5 g/l (comma 4) nonché da rei imprudenti: superamento di limiti di velocità, attraversamento di incroci con semaforo rosso; circolazione contromano; inversione di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi; sorpassi azzardati (comma 5).
Il comma 4 completa la graduazione della risposta sanzionatoria in rapporto al livello di alcolemia del soggetto, modificando quanto previsto dalla normativa previgente che sanzionava con la stessa pena, compresa fra 2 e 7 anni di reclusione, tutte le situazioni esaminate.
Nel comma 5, invece, la colpa incriminata si riferisce ad alcune violazioni del codice della strada fra quelle più gravi. Tuttavia, il criterio che ha guidato il legislatore in questa selezione non è di immediata percezione, in quanto sembrerebbe escludere altre condotte parimenti gravi. Non si tratta di azioni aventi la stessa gravità, ma anche differente natura: la circolazione contromano, l’inversione del senso di marcia, il sorpasso e l’eccesso di velocità sono manifestazioni tipiche della colpa cosciente, l’attraversamento dell’incrocio semaforizzato con la luce rossa, invece, può rientrare nella mera distrazione, e configurarsi, quindi, come colpa incosciente.
Forse l’individuazione di una pena intermedia, fra il comma 4 (violazioni in stato alcolemico) e il comma 5 (violazioni per inosservanza del codice stradale) sarebbe stata più coerente. Per quanto sia complicata la lettura di un incidente mortale e per quante variabili esso possa presentare, probabilmente era lecito attendersi dalla nuova legge una più ordinata classificazione delle condizioni che l’hanno determinato e un più rigido inquadramento delle violazioni a carico dell’agente.
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