L’INTERVISTA Hanno costruito un ospedale da campo di 40 posti per i malati di sars-cov2 a Jesi. Il gruppo più folto è quello dei pugliesi. Il racconto del capitano Lorenzo Beltrame, di San Giorgio Jonico e residente a Lecce
JESI – Leoni per mare e per terram. Dall’Afghanistan, per l’operazione di security internazionale Nato, a quella più recente a Jesi, ai tempi del Covid 19, per la realizzazione in tempi record – appena 72 ore – di un ospedale da campo in grado di ospitare 40 pazienti. I militari della Brigata Marina San Marco ci sono sempre. Dal 30 marzo sono impegnati contro un nemico tanto invisibile, quanto aggressivo. Mortale, alcune volte.
La guerra contro il nemico invisibile
Guerra diversa, questa. Guerra che vede impegnati in prima linea 90 militari con mascherine e guanti diventati parte integrante delle mimetiche. Sono dispositivi di protezione individuale necessari anche per i Leoni.
Nel gruppo ci sono brindisini, tarantini, baresi e leccesi, sono la stragrande maggioranza, complice la vicinanza con la “base” del San Marco, orgoglio di questo lembo di terra.
Lorenzo Beltrame, 39 anni, è capitano di Corvetta del Corpo del Genio Navale e a Jesi ricopre l’incarico di Comandante del supporto logistico. E’ figlio della Puglia che è orgogliosa del Battaglione: è nato a San Giorgio Jonico, ma vive a Lecce da 16 anni. Terminati i cinque anni di studi all’istituto tecnico industriale Augusto Rispoli di Taranto, si è imbarcato. “E’ stato amore a prima vista”, confessa in una delle brevi pause della lunghissima giornata lavorativa al servizio dell’ospedale Covid.
E’ un sentimento che non conosce limiti quello che lega i Leoni al Tricolore. Una passione difficile da spiegare. La passione che da 25 anni scandisce la vita di Aldo Sciruicchio, 50 anni, capitano di vascello, capo missione, responsabile della gestione di tutte le attività svolte dal personale del Dispositivo Posto Medico Avanzato della Marina Militare. E’ nato e vive a Bari. Dal 1995 è nella famiglia del San Marco: l’ha scelta dopo essere entrato nell’Accademia navale nel 1989.
La missione a Jesi
“Oggi combattiamo al fianco dei nostri connazionali e non solo dei commilitoni”

Dice Beltrame. “In questo caso non c’è un nemico fisico, per usare un termine propriamente militare, e non abbiamo armi convenzionali: siamo impegnati nei confronti di un nemico invisibile e aggressivo e lavoriamo con coscienza, nella consapevolezza dei rischi”, prosegue. Nel curriculum del comandante c’è anche la missione in Libia, oltre a quella in Afghanistan, per l’operazione Isaf, International security assistence. Una delle più lunghe: 186 giorni lontano da casa, dalla famiglia, dagli affetti.
Per la missione di Jesi non si conosce la data di rientro. Non c’è una fine. Non potrà esserci, sino a quando permane la situazione di emergenza sanitaria legata al Covid 19. Difficile, se non impossibile fare previsioni.
Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, ha chiesto alla Brigata Marina San Marco di allestire un Posto Medico Avanzato (in sigla Pma) presso l’ospedale Carlo Urbani di Jesi, per supportare e alleggerire l’ospedale civile, rendendo disponibili posti letto. Ad oggi in quello da campo sono ricoverati sei pazienti, risultati positivi al Covid 19.
La prima paziente dimessa

L’ultimo è stato accolto nella giornata del 21 aprile. Ventiquattro ore dopo, lo staff sanitario del posto medico avanzato ha dimesso una pensionata che proprio il 22 aprile ha compiuto 79 anni. E’ stata la prima paziente a essere stata ricoverata qui dopo che il tampone ha accertato la positività. Il compleanno più bello vissuto dalla donna: “Anna Maria è guarita e può tornare finalmente nella sua casa”, dicono i medici. Ha vinto la sua battaglia. Questo giorno speciale vissuto nell’ospedale da campo di Jesi verrà ricordato dalla foto di gruppo che la Marina Militare ha pubblicato su Facebook, nel diario della missione iniziata quasi un mese fa. La pensionata sorride, sorridono tutti dietro le mascherine.
“Lo Stato Maggiore Marina ci ha attivati il 30 marzo scorso”, racconta Beltrame. “Sono partito con una piccola aliquota di persone per una ricognizione della zona nella quale installare il Pma”. A distanza di un giorno, l’intero gruppo composto da 90 persone e 85 mezzi carichi di materiali è partita per Jesi ed è iniziato l’allestimento. In tre giorni appena la struttura è stata terminata: “E’ composta da dieci tende di cui otto per la degenza e due ad uso del personale medico di guardia, ci sono bagni, docce e percorsi sanitari, oltre ad un piccolo polo di comando logistico”. Tutto a disposizione del nosocomio di Jesi.
L’ospedale da campo

“Il Pma è una struttura mobile, caratterizzata da elevata flessibilità d’impiego e composta da shelter sanitari, che possono essere imbarcati oppure trasportati via terra tramite autocolonna”, spiega Beltrame. “All’interno vi operano normalmente medici e infermieri della Brigata Marina San Marco per garantire le operazioni di triage, primo soccorso, visite ambulatoriali e all’occorrenza degenza”. Su esplicita richiesta della direzione sanitaria ospedaliera, sono state apportate diverse migliorie, necessarie per adeguare gli standard a quelli dell’ospedale Urbani.
“La struttura può ospitare sino a 40 degenti, è elettricamente autonoma grazie ai generatori elettrici e dispone di un impianto ad ossigeno e di un impianto di termoventilazione autonomo, in grado di mantenere la temperatura costante all’interno delle tende”, prosegue Beltrame. “Attualmente, con i miei uomini, mi occupo del mantenimento in efficienza degli assetti ed apparati del campo per garantire una continuità di funzionamento costante in favore dei degenti”. All’interno sono al lavoro 35 colleghi della Marina tra medici, infermieri e operatori tecnico sanitari.
Le paure e il Battaglione come seconda famiglia
Le giornate iniziano prestissimo. E finiscono tardi. C’è sempre molto lavoro da fare. Si vive fianco a fianco, si condividono le tende, i pasti mangiati velocemente parlando di mogli, fidanzate, figli, genitori. Chissà quando potranno rientrare a casa. La nostalgia deve essere tenuta a bada, assieme alla paura. Perché sì, è vero che i militari del Battaglione sono Leoni, ma sono uomini che lasciano gli affetti per servire il Paese. Non sono possibili, per lo meno non sempre, le telefonate con la famiglia. Spesso trascorrono settimane senza chiamare, senza ricevere notizie da casa. Le fotografie sui telefonini o quelle cartacee piegate nel portafogli diventano un abbraccio nei giorni più difficili. In questi momenti, l’unione fa la forza, lo spirito di gruppo permette di guardare avanti e fornisce la giusta dose di speranza mista a ottimismo.

“Siamo addestrati e preparati per assicurare gli interessi nazionali all’estero e come forza da sbarco siamo addestrati anche per affrontare situazioni emergenziali e calamità naturali. Io stesso ho preso parte alla missione in supporto delle popolazioni terremotate ad Amatrice nel 2016”, racconta Beltrame.
“C’è sempre collaborazione, si vive e si sente lo spirito di corpo che contraddistingue il nostro Reparto, grazie al quale troviamo la forza di affrontare tutte le difficoltà che possono sorgere”, dice Beltrame. “Il reparto è la nostra seconda famiglia”, aggiunge. “L’orgoglio di svolgere la missione al servizio del mio Paese risveglia le emozioni vissute il giorno del giuramento davanti alla bandiera italiana. Lo ricordo come se fosse ieri”.
L’orgoglio di appartenere al Battaglione
“Sono sempre stato fiero e orgoglioso di far parte “de lu battaglioni”, così come ci chiamano affettuosamente soprattutto i brindisini”
Si lascia scappare Beltrame. Conosce bene l’inflessione brindisina perché diversi sono i fratelli brindisini con i quali è in missione. “E’ un lavoro che non si potrebbe fare da nessun’altra parte: unisce la vocazione per il mare con l’adrenalina della componente terrestre che permette di instaurare relazioni umane che si trasformano negli anni da rapporti tra semplici colleghi a quelli di compagni di vita, tanto da considerarsi fratelli”. Leoni sì. Anche fratelli. Per terra e per mare. Sempre.
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