Stefano Guarascio: Lequile – Golfo Persico, andata e ritorno

GUIDA ALL’ASCOLTO: HAYDN, RAVEL, LISZT-BUSONI

L’esordio discografico del giovane pianista per l’etichetta Workin’ Label, della musicista e talent scout Irene Scardia. La Guida all’ascolto del Tacco d’Italia

di Fernando Greco

 

Irene Scardia: musicista e talent scout dell’etichetta Workin’ Label

 

Le imminenti festività natalizie vedranno il ritorno in terra natia del giovane pianista Stefano Guarascio, originario di Lequile e residente a Doha, capitale del Qatar, città in cui insegna pianoforte in seno al prestigioso Doha College. Il Salento è la terra in cui Guarascio ha scelto di compiere l’esordio discografico, pubblicando il 7 dicembre scorso il suo primo CD uscito per l’etichetta Workin’ Label gestita dall’infaticabile musicista e talent-scout leccese Irene Scardia. Il Salento sarà anche la terra in cui il talentuoso pianista presenterà dal vivo i brani contenuti nel disco attraverso due serate a cui concittadini e appassionati potranno intervenire gratuitamente per applaudirlo. Nella serata del 22 dicembre (ore 20,00) Guarascio inaugurerà a Lecce la XVI edizione della rassegna “Le mani e l’ascolto” organizzata dal Fondo Verri mentre il 26 dicembre sarà la volta del Comune di Lequile (Istituto Andrioli, ore 19,00).

 

IL RICCO CURRICULUM

Stefano Guarascio

Curiosando qua e là in un curriculum quanto mai ricco, scopriamo che Stefano Guarascio si è diplomato a soli 18 anni presso il Conservatorio Tito Schipa di Lecce con il massimo dei voti, lode e menzione speciale sotto la guida del maestro Carlo Scorrano. Nel 2008, in rappresentanza del Conservatorio di Lecce, ha partecipato al Premio delle Arti organizzato dal Ministero dell’Università e Ricerca nella città di Bolzano. Nel 2009 gli è stata conferita la Menzione d’Onore assegnata dal 13° International Master Class and Piano Festival Leonel Morales per partecipare alla successiva edizione in Granada (Spagna). Nel giugno 2016 ha conseguito il diploma di perfezionamento in pianoforte con il massimo dei voti e lode all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma sotto la guida del maestro Benedetto Lupo. Nonostante la giovane età ha al suo attivo numerose esperienze con orchestre: nel 2015 ha eseguito con l’orchestra Filarmonica “M. Jora” il Concerto per Pianoforte e orchestra n° 2 op 18 di Rachmaninov.

Premiato al 10th Sydney International Piano Competition of Australia 2012, è stato selezionato per partecipare nel 2012 al Leeds International Piano Competition in Inghilterra, all’ VIII Hamamatsu International Piano Competition in Giappone, al 10° Seoul International Music Competition e al 3° Takamatsu International Piano Competition 2014 in Giappone. Nello stesso anno ha suonato nella Sala Argenta di Santander in Spagna con Nobuko Imai, considerata tra le migliori violiste al mondo.

GUIDA ALL’ASCOLTO

HAYDN: SONATA IN DO MAGGIORE HOB XVI/50

Franz Joseph Haydn: compositore austriaco, considerato il “padre” della sinfonia e del quartetto d’archi

Formidabile innovatore del repertorio strumentale, padre della forma-sonata quale nuovo linguaggio fondato sul dialettico divenire, Franz Joseph Haydn (1732 – 1809) concepisce la Sonata in Do maggiore n. 50 in un’atmosfera di rinnovato entusiasmo. Quando, sul finire del Settecento, il musicista giunge a Londra, vi scopre un’attività musicale densa di novità e di fermento, un mondo molto differente dall’inamidata corte degli Esterhazy che lo ha ospitato e onorato per un trentennio. Una nuova giovinezza si prospetta per il maestro che, oltre a comporre e dirigere con successo le sue Sinfonie, si interessa alle sonorità del moderno pianoforte costruito da John Broadwood nel 1780, strumento protagonista dei Professional Concerts organizzati da Muzio Clementi (1752 – 1832) insieme con il suo nutrito stuolo di allievi. Pertanto Haydn infonde una singolare originalità alle sue ultime tre Sonate per pianoforte (n. 50, 51 e 52) scritte per il pubblico londinese.

In particolare la Sonata in Do maggiore n. 50, composta nel 1794, manifesta già nell’ Allegro iniziale delle importanti novità. Contrariamente all’abitudine di presentare due temi consecutivi nella stessa tonalità, il brano si presenta monotematico: la sonata inizia con un primo semplicissimo tema di tre note discendenti dell’accordo di Do maggiore (do – sol – mi) che diventa secondo tema attraverso il cambio di tonalità, ovvero le tre note (sol – re – si) dell’accordo di Sol maggiore. Le stesse tre note innescano un ordito estremamente virtuosistico di ipnotiche modulazioni, secondo quel dialettico divenire che per il compositore ha maggiore importanza del materiale tematico in sé, meccanismo che in Beethoven sarebbe divenuto ancor più esplicito. Da sottolineare inoltre l’uso del pedale nella ripresa, quell’open pedal prescritto in partitura che tanta importanza avrebbe acquisito nel repertorio Romantico. L’umbratile Adagio trasmette un senso di riflessivo riposo, un’oasi di pacatezza che trascende in una matura serenità, prima che il frizzante Allegro molto, ulteriore prova della minimale monotematicità haydniana, ci faccia schiudere le labbra a un franco e limpido sorriso.

 

RAVEL: GASPARD DE LA NUIT

Maurice Ravel: compositore, pianista e direttore d’orchestra francese

All’alba del Novecento, la retorica altisonante che aveva caratterizzato l’epoca Romantica si parcellizza nella sensibilità impressionista di Claude Debussy, la cui arte “si sforza di cogliere sensazioni preziose ed evanescenti, profumi, riflessi, ebbrezze sottili …” (Massimo Mila), sensazioni che Maurice Ravel (1875 – 1937) struttura in forme rigorose e robuste, cesellando un pentagramma “… sfiorato dall’atonalismo schonberghiano e investito dal dinamismo ritmico e dalla policromia di Stravinskij” per giungere alla vertigine ritmica del “Boléro” (1928) definito dal suo stesso autore come “composizione per orchestra senza musica”.

Avido lettore di Edgar Allan Poe (1809 – 1849) e del genere gotico, Ravel si ispira al poemetto in prosa “Gaspard de la nuit”, scritto da Aloysius Bertrand (1807 – 1841), per l’omonima suite pianistica scritta nel 1908. Si tratta di “Storie tarlate e polverose del Medio Evo” di cui il musicista sceglie tre momenti per creare a suo stesso dire una “caricatura” del Romanticismo attraverso un’opera che fosse tecnicamente più ardua dell’ ”Islamey” di Balakirev, composizione nota per la sua proverbiale difficoltà. Di fatto il libero e immaginifico incedere della musica ruota sulle due parole presenti nel titolo: la parola Gaspard, di origine persiana, traducibile come “tesoriere”, evoca un esotismo magico e misterioso, occulte profondità che attengono al mondo ancestrale dell’inconscio, alla paura della morte che si appalesa nell’incubo, nell’oscurità della notte, la nuit appunto, seconda parola del titolo.

 

Come già Vivaldi nelle Quattro Stagioni e Liszt nei poemi sinfonici, Ravel appalesa l’intento narrativo inserendo in partitura il relativo testo letterario.

La protagonista del primo brano, “Ondine”, è una ninfa che con il suo canto notturno cerca di sedurre l’ascoltatore per attirarlo a sé nelle profondità del lago in cui vive, mentre arabeschi sonori descrivono il moto dell’acqua, come in “Jeux d’eau” e “Une barque sur l’Océan” composti da Ravel in precedenza.

… Mi pareva di udire una vaga armonia che ammaliava il mio sonno, un mormorio simile all’incerto canto di una voce triste e tenera: “Ascolta! Ascolta! Sono io, è Ondina che sfiora con le sue gocce d’acqua la tua finestra illuminata da mesti raggi di luna; ed ecco la castellana che in abito nero contempla dal suo balcone la notte stellata e il bel lago addormentato. Ogni flutto è un’ondina che nuota nella corrente, ogni corrente è un sentiero che serpeggia verso il mio palazzo, e il mio palazzo è di fluida materia, in fondo al lago, nel triangolo di fuoco, terra e aria. Ascolta! Ascolta! Mio padre scuote l’acqua con un verde ramo d’ontano, le mie sorelle accarezzano con braccia di schiuma le fresche isole verdeggianti o scherzano col salice piangente che pesca con la lenza”.

Dopo aver mormorato la sua canzone, ella mi supplicò di infilare al dito il suo anello per diventare il re dei laghi. E poiché le risposi che amavo una donna mortale, ella imbronciata e indispettita pianse qualche lacrima, ma poi scoppiò in una sonora risata e scomparve in uno scroscio di pioggia.

 

Nel brano “Le gibet” (La forca) un perentorio pedale di Si bemolle evoca il lugubre e periodico ondeggiare di un impiccato alla penombra del crepuscolo, mentre già gli insetti popolano il suo corpo inerte.

Ah! Ciò che ascolto sarebbe la brezza notturna che ulula o l’impiccato che esala un sospiro? Sarebbe forse un grillo che canta annidato nel muschio e nella sterile edera di cui per pietà si riveste il bosco? Forse una mosca che suona il corno mentre assale quelle orecchie sorde alla guerresca fanfara? Oppure uno scarabeo che afferra nel suo volo ineguale un capello insanguinato? O forse un ragno che ricama una cravatta intorno a quel collo strangolato? E’ la campana che rintocca fra le mura di una città, all’orizzonte, e la carcassa di un impiccato avvampata dai raggi del sole morente.

 

La suite si conclude con “Scarbo” ovvero un nano dispettoso, un fastidioso folletto che assilla il sonno per poi scomparire all’improvviso: l’eloquio musicale rende con efficacia il senso di un’apparizione ambigua, sospesa tra il grottesco e il maligno, che all’apice dell’agitazione si dilegua in un inatteso silenzio, una cesura improvvisa che contraddistingue il finale del brano.

Oh! Quante volte l’ho sentito e visto, Scarbo, quando a mezzanotte la luna brilla nel cielo come uno scudo d’argento su una bandiera azzurra cosparsa di api dorate! Quante volte ho udito il ronzio della sua risata nell’ombra dell’alcova, e lo stridore delle sue unghie sulla seta delle cortine del mio letto! Quante volte l’ho visto piroettare su un piede e volteggiare per la stanza come il fuso caduto dall’arcolaio di una strega! Lo credevo sparito? Allora il nano s’ingigantiva tra la luna e me come il campanile di una cattedrale gotica, mentre un campanellino d’oro si agitava in cima al suo berretto a punta! Ma presto il suo corpo diveniva diafano come la cera di una candela, il suo viso come la cera di un lumicino … e all’improvviso scompariva!

 

 

LISZT-BUSONI: FANTASIA SU DUE TEMI DA LE NOZZE DI FIGARO

Ferruccio Busoni: compositore e pianista italiano naturalizzato tedesco

La Fantasia su due temi da Le Nozze di Figaro, spesso denominata “Fantasia Figaro”, viene eseguita nel 1911 da Ferruccio Busoni (1866 – 1924) per essere poi pubblicata nel 1912. Composta come trascrizione breve della parafrasi lisztiana denominata “Fantasia su Temi delle Nozze di Figaro e del Don Giovanni di Mozart”, la Fantasia Figaro denota la predilezione per Liszt da parte di Busoni, non per nulla definito “… il più aperto ed entusiasta epigono di Liszt all’inizio del XX° secolo” (James Deaville). Tale simpatia si inserisce nel più esteso concetto di Nuovo Classicismo teorizzato dall’autore che, dinanzi al fiorire delle avanguardie musicali europee, si propone di “ricercare il nuovo senza rinnegare il passato”. In particolare, dopo che Liszt per primo aveva creato il genere della parafrasi intesa non come facile e frivolo florilegio a uso e consumo delle signorine dell’alta società, ma come brano di intrinseco valore tecnico e artistico, Busoni continua sul sentiero da lui tracciato giocando con formidabile virtuosismo sui temi delle celebri arie “Non più andrai farfallone amoroso” e “Voi che sapete”, con la certezza che quella della trascrizione sia l’arte in cui si realizzi “l’accomodamento delle idee altrui alla personalità di colui che trascrive”.

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