Roma. Il neo senatore pugliese, eletto come indipendente con Sinistra Ecologia e Libertà, pur stimando Letta non ha fiducia sulla tenuta del governo
“Proprio in queste ore Enrico Letta ha affermato di non essere in grado di stabilire quanto durerà il suo governo, a conferma di una condizione di incertezza che gli stessi protagonisti non riescono a superare”. Dario Stefano, ex assessore alle politiche agricole della Giunta Vendola, eletto a Palazzo Madama nelle fila di Sinistra Ecologia e Libertà, predica pessimismo sulla tenuta del Governo. “Un esecutivo – continua Stefano – nato sotto l’illusione di grandi intese ma che va ad incrociare interessi diversi, obiettivi troppo differenti”. E sulla freddezza che caratterizza gli attuali rapporti con il Partito Democratico, dopo il fallimento del progetto “Italia Bene Comune”, dichiara di essere “convinto che ci sia lo spazio politico per tentare di recuperare la traccia identitaria che era all’origine di quella alleanza”. Da probabile forza di governo, quando si dava quasi per certa la vittoria alle scorse elezioni da parte del centrosinistra, al ruolo di opposizione al Governo Letta. Lo scenario per il suo partito è completamente cambiato in poche settimane. Non crede sia stato un errore allearsi con il PD rinunciando così a fornire un contributo importante a sinistra dei Democratici, per intenderci tra le forze politiche rimaste fuori dal parlamento? Assolutamente no. La scelta di candidarmi al Parlamento nelle liste di Sinistra Ecologia e Libertà, all’interno dell’alleanza Italia Bene Comune, perseguiva l’obiettivo di contribuire direttamente ad una proposta di governo che avrebbe dovuto dare attenzione ad alcune tematiche chiave. Una proposta che poneva al centro una idea di governo riformista e progressista, in linea peraltro con l’esperienza vissuta qui in Puglia, in cui Vendola ha praticato la strada dell’assunzione di responsabilità, mettendo insomma le “mani in pasta”. Purtroppo non è andata come immaginavamo, anche perché, forse, non siamo stati sufficientemente bravi in campagna elettorale, considerando come è andata a finire. Con la stessa onestà e autocritica sono convinto che ci sia lo spazio politico per tentare di recuperare la traccia identitaria che era all’origine di quella alleanza e che gli elettori, oggi ancor più e meglio di qualche mese fa, hanno compreso. La prima iniziativa legislativa del suo mandato parlamentare è stata la presentazione di un Disegno di Legge per la valorizzazione delle aree agricole ed il contenimento del consumo del suolo. Può spiegarci meglio i contenuti del provvedimento? L’avevo detto anche in campagna elettorale: il mio impegno in Parlamento cercherà certamente di valorizzare il lavoro svolto in questi anni in Puglia ma anche di recuperare i contenuti della esperienza vissuta all’interno del sistema delle Regioni. In questa ottica, il Disegno di Legge raccoglie il frutto di un impegno a più voci, espresso da tutte le regioni, per dare uno strumento di natura legislativa alla volontà comune di porre un freno alla cementificazione, con l’obiettivo ambizioso ma perseguibile di valorizzare le aree agricole, una delle straordinarie risorse del nostro paese, importanti non solo in chiave produttiva ma anche in termini di tutela del territorio e del paesaggio. Veniamo al governo. Il discorso di insediamento del Premier Letta è stato il frutto di un incredibile e faticosissimo esercizio di equilibrio tra la crescita economica che gli italiani attendono ormai da troppi anni ed il rigore imposto dall’Europa, dando la sensazione che la forza e la stabilità di questo esecutivo sia pari a quella di un vaso di cristallo. Fra un anno si tornerà alle urne? Proprio in queste ore Enrico Letta ha affermato di non essere in grado di stabilire quanto durerà il suo governo, a conferma di una condizione di incertezza che gli stessi protagonisti non riescono a superare. Piuttosto, proprio il discorso di insediamento del Presidente del Consiglio, nel quale non nego di aver trovato anche qualche spunto di interesse, mostra tutta la vulnerabilità di un governo nato sotto l’illusione di grandi intese ma che va ad incrociare interessi diversi, obiettivi troppo differenti e che già registra l’amarezza e la delusione della stragrande maggioranza dell’elettorato di centrosinistra che immaginava di poter definitivamente chiudere una lunga pagina di berlusconismo. In quel discorso non vi è traccia di come si voglia abbinare il tema dello sviluppo a quello dei diritti o, per rimanere sempre allo sviluppo, al tema non più rinviabile della ri-ambientalizzazione dei cicli produttivi. Insomma io credo che quella domanda di cambiamento proveniente dal paese non trova alcuna prospettiva nella “ricetta” che il premier non ha “potuto“ indicare il giorno del suo insediamento. Quali sono le altre questioni, oltre a quelle legate all’agricoltura, che porterà in Parlamento? Certamente quella dell’equità e del lavoro, che rimane la vera grande priorità del paese. Tema, quello del lavoro, che in questi anni purtroppo è stato inquadrato con la chiave sbagliata ed illusoria della precarizzazione dei diritti, immaginando che questo avrebbe spalancato le porte alla ripartenza. Senza considerare, invece, che lo sviluppo si persegue solo se concentra la sua attenzione sulla stabilità dei processi. Certo, c’è di fondo il tema del rigore, che rimane sacrosanto ma che io credo, per non essere alibi e cappio al collo, che lo stesso vada necessariamente associato a quello della crescita, anche attraverso, ad esempio, un protagonismo maggiore del nostro Paese in Europa. Un protagonismo che faccia recuperare all’Italia un ruolo di attore principale e non più di comparsa come è stato negli ultimi anni in cui abbiamo troppe volte assecondato diktat che ci hanno fatto perdere competitività anche negli spicchi produttivi in cui siamo storicamente leader, come ad esempio il turismo e l’agroalimentare.
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