Il bisogno di correre, mp3 nelle orecchie. Fino al dirupo. Dove il vento accarezza i capelli
Subito dopo pranzo l’ansia era divenuta insostenibile e aveva deciso di smaltirla con una passeggiata veloce. Aveva volutamente deciso di non bere per alleviare il suo dolore diuturno. Non era stato facile resistere alla tentazione di sentirla venire giù, tutta d’un fiato, quella grossa quantità di vodka alla pesca, assaporare lo scorrere della bevanda ghiacciata attraverso la faringe, con i brividi che gli causava, infine cullarsi di quel torpore, di quel lassismo che prendeva il sopravvento. Quella volta preferì correre. Uscito da casa venne investito da quella giornata gelata, da quello sferzare di vento su un viso caldo. Fece finta di a. Fece finta di a perché non riusciva ad accorgersi di quanto succedeva attorno, le tempie gli pulsavano forte e iniziava a sentire il mal di testa che lo avrebbe accompagnato per tutta la giornata. Non aveva addosso l’abbigliamento adatto per correre, non aveva addosso la voglia, solo la necessità di sopravvivere all’ansia lo spinse. All’inizio fu un passo dolente, poi accese il suo mp3 a tutto volume e iniziò ad assuefarsi con i ritmi che andavano in crescendo. Passeggiata veloce, poi corsetta. Anche il ritmo voleva il suo spazio. Iniziò a correre che non se ne accorse neppure, solo l’affanno gli diede il primo segnale. L’affanno e le lacrime che gli bagnavano il viso e gli impedivano di vedere. Aveva iniziato a muoversi a ritmo e i suoi piedi, che all’inizio si muovevano per inerzia, ormai si poggiavano solo sulle punte e ad ogni cadenza ritmata scendevano giù, quasi ballasse. La sua voce venne fuori e non era un canto, era un grido disperato, un singhiozzo malato, un addio. Davanti a lui, campi spogli, dentro di lui il deserto. Aveva necessità di vivere, sentiva impellente la voglia di essere amato. Una donna. In fondo non chiedeva molto. Certo, lui non si accontentava di una qualunque, lui cercava LEI. Negli anni era stato corteggiato più volte e più volte aveva risposto al richiamo. Le conosceva, le donne, le conosceva bene. Sapeva che era di LEI che aveva necessità per vivere. LEI e ’altro potevano farlo stare bene. Strinse i pugni e ricominciò la corsa, la musica glielo imponeva e i ricordi di lei erano da traino. A occhi chiusi riusciva a vederla e la accarezzava di continuo, come l’avesse davanti. Solo LEI riusciva a dargli ossigeno. Si diresse, come sempre quando si trovava in quelle condizioni, al dirupo. Il dirupo, una vecchia cava abbandonata, in realtà, gli dava la sensazione di vita. Gli piaceva avvicinarsi quanto più al bordo e chiudere gli occhi per sentire il vento mentre gli soffiava fra i capelli. Gli piaceva sentire il vuoto a ridosso. Il vuoto, il a, quale lui si immedesimava. Che bella sensazione ne ricavava ogni volta e ogni volta a tornarsene con la coda fra le gambe. Era sempre stato un coniglio, in fondo. Prese il cellulare e la chiamò. Voleva sentirla a tutti i costi, voleva sapere di lei. Poco gli importava se avesse risposto sua madre. Invece, dall’altro capo, udì la sua voce, la sua voce di stelle e luna. Buon san Valentino – le disse. Poi fece un passo avanti e sentì per sempre il vento cantare fra i suoi capelli.
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