Non chiamateli eroi

Agli investimenti dell’Italia per mantenere le truppe all’estero non corrispondono quelli per garantirne la sicurezza

Tra le tante incongruenze della politica economica italiana, spicca il caso dei feroci tagli alle forze dell’ordine e del contestuale mantenimento degli insostenibili stanziamenti per missioni militari internazionali. Mentre a carabinieri e finanzieri mancano i soldi per il proverbiale pieno di benzina, i colleghi delle forze armate costano tra primo e secondo semestre 2011 oltre un miliardo e mezzo di euro. Per non cadere nella demagogia va ovviamente valutato il ritorno in termini geopolitici di queste spese militari. Dal secondo dopoguerra ad oggi, l’Italia ha partecipato ad oltre cento missioni, conquistandosi nei decenni un ruolo centrale nella risoluzione delle controversie internazionali, specialmente in quelle con protagonisti i paesi islamici. L’elevatissima professionalità dei soldati italiani, l’umanità e competenza dei nostri uomini in uniforme è unanimemente riconosciuta ed apprezzata. Al “peacekeeping all’italiana” si è sempre affiancata una forte e autorevole politica estera, improntata sul pragmatismo e la capacità di dialogo; basti pensare ad alcuni leader del recente passato (Andreotti, Craxi, Prodi e D’Alema). Attualmente l’Italia è impegnata in 28 missioni con oltre 7 mila soldati sul campo. Il contingente più numeroso è in Afghanistan, seguono poi Libano, Balcani e Somalia. Il costo in vite umane dalla strage di Nassirya ad oggi è di 69 morti. A fronte di questo impegno, qual è oggi il ruolo dell’Italia e la sua credibilità internazionale? Purtroppo è ai minimi storici. L’appiattimento del Ministro Frattini su posizioni atlantiste non ha giovato all’Italia, che si è accomodata alla fine della lunga coda dei filo-Americani, perdendo il rapporto privilegiato col mondo arabo. Agli investimenti per mantenere le truppe all’estero non corrispondono quelli per garantirne la sicurezza. Le ambiguità e le bugie nella vicenda dell’uranio impoverito, sono un coperchio ustionante sollevato sulla cattiva gestione del budget militare. “Disinvestire” nelle missioni militari non può quindi essere un tabù. Missioni che, va ricordato, sono solo formalmente rispettose degli stretti vincoli costituzionali che hanno nel “ripudio della guerra” un caposaldo spesso dimenticato. A livello locale, brillanti operazioni come “Augusta”, per smantellare le organizzazioni criminali mafiose che si stanno riorganizzando attorno ai traffici internazionali di droga, o “Sarafi”, per smembrare i nuclei criminali che trafficano esseri umani e che hanno la Puglia e il Salento quale epicentro degli affari, dimostrano che le spese militari necessitano di essere razionalizzate: attribuire maggiori somme da destinare alle indagini compiute da carabinieri e finanzieri, sarebbe come dare all’antimafia una bella maserati, anzi 4, nuove di zecca su cui volare verso l’obiettivo. Se l’Italia spedisce all’estero in braghette i suoi militari preoccupata di mantenere alta la reputazione internazionale, quale nuovo smalto darebbe all’immagine del Paese smantellare importanti pezzi delle nuove mafie? Obiettivo dichiarato, sì, salvo poi disattenderlo nei fatti. Dei fatti, il Governo lascia che se ne occupino i militari comuni, quelli che nessuno chiama eroi, a bordo di vecchie carrette, con stipendi inadeguati, senza straordinari retribuiti e togliendo tempo e denaro alle proprie famiglie.

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