La necessità di un Governo istituzionale di programma, ispirato dal presidente della Repubblica, quale percorso straordinario, per una fase difficile
Di Mario De Donatis “L’intensità straordinaria dei problemi, imponendo riforme ad alto impatto economico e sociale, non può essere gestita con il 50 virgola qualcosa di suffragio elettorale, come è invece stato finora per decenni e decenni. (…) Perché il pendolo della politica non va più da destra a sinistra, o da sinistra a destra, ma in una direzione sola: contro i governi in carica”. La citazione non è di Pierferdinando Casini. Ma è tratta dal libro, di qualche anno addietro, “La Paura e la Speranza” di Tremonti. Un Tremonti che si spinge fino a sostenere che “non si riesce a governare neanche con leggi elettorali che, artificiosamente, attribuiscono il 55% dei seggi in Parlamento sul 40% dei consensi ottenuti” ed a segnalare il successo delle “grandi coalizioni”. Tanto deve far riflettere perché, di certo, le oggettive difficoltà in cui opera Tremonti, al di là delle tante analisi, sembrano essere strettamente correlate alla linea politica governativa che, chiusa nel recinto dei propri interessi, ha ignorato questioni che oggi affiorano in tutta la loro gravità e che investono lo stesso blocco sociale di cui è espressione. Attribuire, però, ogni responsabilità al Governo è solo posizione di parte. Perché basta scorrere le cronache degli ultimi cinque anni per capire che sul ponte del Titanic c’erano proprio tutti. Anche quelli che, oggi, si ergono a censori. Senza parlare, poi, del Mezzogiorno destinatario di un “abbandono programmato”, affidato alle cure, come dice Michele Emiliano, di Ascari sostenitori del federalismo fiscale in chiave leghista. In tale scenario – in cui sembra avviarsi al capolinea non solo il Governo, ma tutta quella sub-cultura che ha espresso la classe dirigente della “Seconda Repubblica” – acquista particolare valore il recente intervento del capo dello Stato, Giorgio Napolitano che – con il richiamo al “linguaggio della verità” – ha tracciato uno spartiacque tra vocazione alla politica che è “perseguimento del bene comune” e la sua caricatura che è “ricerca del consenso per la conservazione del potere”, di certo la vera chiave di lettura del debito pubblico italiano. È necessaria una grande rigenerazione morale per esaltare il “linguaggio della verità”, per chiudere il tempo delle “cicale”, per inaugurare quello delle “formiche”. Ma un tale percorso va preparato. Un Governo istituzionale di programma, ispirato dal presidente della Repubblica, potrebbe essere vissuto quale percorso straordinario, per una fase straordinariamente difficile e complessa. Un Governo che, estraneo allo sfacelo che ci consegna la Seconda Repubblica, possa avviare, con il più forte coinvolgimento del mondo culturale, sociale ed economico, una grande riforma istituzionale del Paese, anticipando quella elettorale. Una riforma istituzionale propedeutica alle stesse politiche di risanamento e di sviluppo. In tale necessario nuovo contesto occorre rivisitare, anche, tutta quella legislazione che, nel nome del “federalismo fiscale”, sta indebolendo la coesione del Paese, marginalizzando il Mezzogiorno. Ma tale ineludibile percorso non può riguardare solo lo Stato. È la Repubblica che va rifondata, anche ridisegnando poteri e funzioni che fanno capo al Sistema delle Autonomie e rivisitando ruoli e responsabilità propri dei livelli istituzionali e burocratici. Perché il “linguaggio della verità” – per poter informare anche tali ambiti ed incidere sulle necessarie politiche di risanamento e sviluppo nella dimensione regionale – deve poter fare affidamento sulla reale applicazione del principio della separazione dei poteri e della terzietà della pubblica amministrazione. Le Regioni dovrebbero affrontare tali questioni e varare una riforma che, nell’esalare il proprio ruolo di programmazione, legislazione ed indirizzo affidi l’attuazione delle politiche di intervento, da un lato, ai Comuni, in adesione al principio di “sussidiarietà verticale” e, dall’altro, alle espressioni della società civile, per sostenere la “sussidiarietà orizzontale” quale strumento del pluralismo democratico e dell’economia sociale di mercato.
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