Dittatori, rivolte, guerre, immigrati e dintorni

Da che mondo è mondo, i dittatori sono figure, non appaiono degni dell’appellativo di persone, odiose e spregevoli, che soverchiano, anano e sotterrano la volontà e le opinioni altrui, adottando provvedimenti e compiendo azioni feroci, crudeli, sino alla distruzione e allo sterminio di vite umane, senz’ombra di ritegno e di pietà. Così recita il documento d’identità tradizionale. Purtroppo, nei decenni appena trascorsi, detti loschi individui, hanno impinguato il loro già nefasto palmares con la medaglia di ladroni: basta soffermarsi sugli ultimi dittatori alla ribalta e, per fortuna, usciti dalla scena, tutti distintisi per patrimoni e ricchezze inimmaginabili e immensi, accumulati durante il loro regime e, in genere, astutamente celati in casseforti lontane. Tali e tante ruberie, consumate, per giunta, in concomitanze di condizioni d’estrema miseria e fame, in capo alle popolazioni tenute in pugno. Caso di stringente cronaca, gli averi, svariati miliardi d‘euro, che sarebbero da ricondurre al colonnello Gheddafi. Altro cambiamento fra i tempi andati e il giorno d’oggi, si ha la sensazione che le rivolte, le guerre e gli eventi calamitosi non suscitino, attualmente, eco e risonanza in misura direttamente e strettamente proporzionale ai lutti e alle perdite di vite umane. Richiamando gli accadimenti in corso nella Libia, oscillando, mediamente, da 8 a 15 le pagine di principali giornali quotidiani su cui se ne parla, mentre clamore e resoconti assai più contenuti ebbe, ad esempio, la terribile carestia che, a metà degli anni novanta, s’abbatté sull’Etiopia, con otto milioni di persone gravemente colpite e danneggiate e oltre un milione di morti. Si vede proprio che, ora, la notizia è tanto più propagata, quanto più è spia intrinseca d’interessi economici e finanziari: nel caso della Libia, riserve di petrolio e di gas. Siffatta è la realtà, triste, in fondo, doverla constatare e ammettere. Nel frammento d’un servizio televisivo testimoniante gli effetti delle incursioni aeree dei paese cosiddetti “volenterosi” sul teatro di guerra nord africano in atto, si notavano i resti, sbrindellati e anneriti, di un carro armato di Gheddafi, con qualche intraprendente intento a montarvi sopra. Particolare curioso ed eccezionale, nel durante della zoomata, ecco presentarsi zampettando, al cospetto dello strumento di distruzione reso innocuo, una gallina, esemplare in tutto identico ai pennuti che beccano nei nostri comuni pollai. Un caso, un dettaglio banale, pur tuttavia un segno che barlumi d’esistenza permangono, sempre e comunque, anche al di là della guerra e della morte. Reazione diffusa e intensa scaturisce dal drammatico stato degli immigrati, a migliaia, e della stessa popolazione locale nell’isola di Lampedusa, un incomparabile paradiso naturale di quiete e di pace, che, al presente, risulta letteralmente stravolto e che deve essere, urgentemente, riportato alla sua autentica essenza, accogliendo altrove, in sistemazioni dignitose da reperirsi in ogni regione italiana, gli amici africani e ridando serenità, tranquillità, fiducia e speranza alla gente del posto. Lampedusa merita d’essere conosciuta, ammirata e visitata esclusivamente alla luce delle sue spiagge d’incanto, come quella della Guitgia e quella prospiciente l’isola dei Conigli, nido e dimora delle fantastiche tartarughe caretta caretta. Lecce, 25 marzo 2011 Rocco Boccadamo

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