Grandi boschi per il Grande Salento

Le vere infrastrutture per il territorio sono i polmoni verdi. Gli ambientalisti chiedono una “riforestazione razionale e partecipata”

“Si riforesti il territorio” dicono le associazioni ambientaliste salentine nell'anno internazionale, il 2011, dedicato dall'Unione europea, ai “Grandi Boschi”. Il Coordinamento Civico per la Tutela del Territorio, della Salute e dei Diritti del Cittadino (rete coordinativa d’azione di oltre 40 associazioni, comitati e movimenti locali e non, ambientalisti, culturali e socio-assistenziali) chiede agli enti pubblici e alle autorità interpellate, dalla Comunità Europea, alla Presidenza della Repubblica e al Governo italiano, e in particolar modo al Ministro salentino, Raffaele Fitto, e al presidente, Antonio Gabellone, della Provincia di Lecce, come a quelli delle Province di Brindisi, Massimo Ferrarese, e di Taranto, Gianni Florido, insieme al Presidente, Nichi Vendola, della Regione Puglia, di preoccuparsi dei problemi più gravosi e seri, delle vere infrastrutture vitali che mancano da decenni e decenni al Salento: i boschi. “E' il Grande Salento – scrive il referente Oreste Caroppo – l’area con la maggiore percentuale di suolo cementificato e asfaltato d'Italia, la zona dello Stivale, isole incluse, con la minore percentuale di superficie boschiva. Un territorio, peraltro, a grave rischio di desertificazione naturale, come segnalato dall'Onu, cui si aggiunge oggi quella artificiale, spaventosa, terrificante, del flagello del fotovoltaico nei campi. E il Grande Salento era invece, fino a non molti decenti or sono, terra di boschi e foreste immense e pittoresche, nel leccese, nel tarantino e nel brindisino. Se oggi ciò non è più così, se il vitale tessuto connettivo forestale di questa terra è stato depauperato all'inverosimile, non si deve ai cosiddetti 'cambiamenti climatici' o a qualche altro effetto naturale, ma solo e soltanto all'azione devastatrice dell'uomo, alla barbarie del fuoco doloso e della scure indiscriminata, all' iper-infrastrutturazione, all'iper-sfruttamento del territorio, alle esigenze voraci dell'industria e dell'industrializzazione selvaggia, alla mala politica, alla speculazione, all'avidità di denaro facile, alla colonizzazione e svendita del Salento”. Ciò che chiedono gli ambientalisti per il Salento è una “riforestazione razionale e partecipata”, cioè un rimboschimento realizzato per ricostruire l’antico ecosistema e l’originario paesaggio, ma intendendo l’elemento “bosco”, “foresta”, in termini di ricostruzione del tessuto connettivo naturale in cui si inseriscono tutte le attività umane a cominciare da quelle agricolo – pastorali, nella ricerca di un equilibrio nuovo e perfetto, senza che l’elemento bosco sia visto come in un aut-aut con l’agricoltura, o con la presenza urbana. In merito, il Coordinamento ha scritto delle lettere – appello all'attenzione della Commissione Europea, del Governo Italiano e della Regione Puglia. Richiesta specifica Commissione Europea: a partire dalla costituzione della Banca Mondiale a Washington (accordi di Bretton Wood) uno dei primi obiettivi fu quello di riportare ricchezza nelle regioni meridionali italiane, greche, ungheresi, bulgare, al fine di garantire benessere diffuso e serenità sociale; tra le strategie per conseguire questo scopo, uno dei progetti più importanti prevedeva proprio la riforestazione del Salento, mediante la piantumazione massiccia di piante autoctone, ma non fu mai portato a termine! Il paradosso è che se ogni giorno sul Financial Times o sul The Guardian si parla di riforestazione inglese per combattere il “climate change”, non si riesce a capire come sia possibile che gli amministratori salentini ignorino del tutto l’argomento. Non un solo convegno è stato organizzato, ad esempio, dagli enti istituzionali per illustrare gli incentivi pubblici, esistenti, anche alla luce del Protocollo di Kyoto, per quei proprietari terrieri che volessero rimboschire o rinaturalizzare i terreni di loro proprietà, mentre la politica locale ha al contrario favorito un processo innaturale e aberrante di industrializzazione all’energia rinnovabile, eolica e fotovoltaica, dei terreni agricoli, che ha generato una speculazione da Green Economy Industriale, dagli effetti devastanti, sia dal punto di vista ambientale, sia della legalità, insostenibile economicamente ed ecologicamente, portando a forme vere e proprie di neo-colonialismo, con l’arrivo nel Salento di multinazionali e ditte da ogni parte del globo interessate ai lauti incentivi pubblici disponibili per queste produzioni d’energia. Una speculazione, in un mercato drogato di rapina, che deve essere fermata, bonificando i terreni così ignominosamente alterati, e favorendo invece l’ubicazione dei pannelli fotovoltaici sui tetti degli edifici a favore dell’autoproduzione ed autoconsumo dell’energia elettrica da fonte rinnovabile da parte degli utenti; il modello della micro-generazione diffusa dell’energia rinnovabile a impatto veramente zero, contro il modello accentrato e monopolistico industriale che tanti danni ha causato al territorio. La riforestazione del Salento ha poi anche un valore storico-sociale, nonché economico, di riscatto del meridione, per superare la retorica della cosiddetta “questione meridionale”, ponendo fine alla corsa vacua volta al raggiungimento da parte del Sud Italia di standard propri di altre realtà, ma che non appartengono e non devono appartenere al Sud, connotato da altri e differenti fulcri economici e peculiarità. In tale contesto la “riforestazione”, nella forma moderna “partecipata e razionale” qui prospettata, ha in sé anche un imperativo di riscatto anticoloniale, dato che fu dopo l’Unità d’Italia, inizi seconda metà del ‘800, che le foreste salentine subirono la definitiva accelerata volta alla loro quasi totale distruzione, al fine di fornire legno e carbone per le esigenze di “sviluppo vorace” di altre realtà extra-meridionali, con la conseguente rottura definitiva degli equilibri millenari uomo-natura evolutisi nel Salento e il passaggio verso economie agricole da vero e proprio territorio colonizzato, pur se appartenente alla stessa nazione, aspetto quest’ultimo che ne ha stemperato l’intrinseca conseguente miseria, drammaticità e dipendenza forte da dinamiche e volontà esterne, un’economia decapitata di ogni auto-determinazione locale, che oggi è invece necessario favorire. Richiesta specifica al Governo Italiano: al Governo si chiede di orientare in Puglia, ed in particolare nel Salento, nel sud deforestato barbaramente della regione, quei progetti di piantumazione di migliaia di alberi, promessi dal Presidente del Consiglio all’Italia nel marzo 2010, che parlò del progetto di piantumazione in tutt’Italia di ben 100 milioni di alberi, ma in merito al quale ancora nessun decreto attuativo è stato varato. Chiediamo che il Governo inizi quest’opera, tanto strategica per il bene del paese quanto virtuosa, dal Grande Salento, la terra più bisognosa di alberi di tutta la nostra Nazione. Ovviamente non comprando alberi ovunque e piantandoli in Salento, ma creando dei vivai o sfruttando quelli già esistenti pubblici (del Settore Foreste regionale e del Corpo Forestale dello Stato) e privati, per procurare il germoplasma dalle essenze forestali autoctone presenti nella Regione Puglia, ricorrendo per essenze del tutto scomparse in loco al massimo a regioni peninsulari sempre del meridione d’Italia. Coinvolgendo anche le aziende agricole locali in questa operazione che deve essere si statale, pubblica, ma “partecipata” da tutti gli enti pubblici e privati locali, come degli enti scientifici e agronomici del territorio, e in ultimo, ma non per ultimo, da tutti i cittadini! Richiesta specifica alla Regione Puglia: alla Regione Puglia si richiede che la maggior parte dei progetti e dei finanziamenti che saranno elargiti in seno al nuovo Piano Paesaggistico Territoriale Regionale siano indirizzati proprio verso quelle idee progettuali volte alla rinaturalizzazione-bonifica del territorio e alla riforestazione razionale della Puglia, e non dispersi in speculativi progetti spesso connotati dal vuoto e vacuo concetto di “fruizione”, o mera “valorizzazione” di beni già esistenti, che finiscono talvolta per creare più danni che benefici a beni ambientali già esistenti, mentre i beni ambientali devono essere incrementati proprio a partire da quelli esistenti, da considerarsi come banche ecologiche genetiche da cui partire! Così come, i PSR, i Piani di Sviluppo Rurale devono promuovere e privilegiare quei progetti che prevedono il recupero di colture, cultivar e varietà zootecniche locali, o comunque tipiche del meridione d’Italia, e le filosofie di pratica agricola ispirate dalla massima salubrità e rientranti nella grande famiglia del cosiddetto “biologico”. Interventi da accompagnare con azioni di make-up paesaggistico, incentivato laddove possibile e comunque promosso, volto a favorire le architetture che riprendono tecniche, materiali, forme e stili tipici della ruralità locale, il restauro dell’esistente, ed il rifacimento dei muretti a secco, in sostituzione, previa demolizione e bonifica, dei muretti in cemento che deturpano da alcuni anni in accettabilmente il volto della terra Salentina. Nella Provincia di Lecce poi, tutti questi interventi e nuovi approcci alla gestione del territorio regionale bene si sposano con il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, approvato nel marzo 2008, che definisce il Salento come parco naturale e culturale, in un mosaico costituito dai suoi molteplici comuni, interconnessi dalla rete di ruralità e naturalità del paesaggio salentino!

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