Negli anni 80, il clan Padovano si aggregò in quegli anni attorno alla figura di Salvatore Padovano che, collegato a Luigi Giannelli, entrambi già affiliati alla Scu fondata dal più noto Pino Rogoli, operarono a capo dei rispettivi gruppi egemonizzando le attività illecite poste in essere nel basso Salento
L’esistenza del clan “Padovano”, operante a Gallipoli e nei paesi limitrofi, era già stata riconosciuta da numerose sentenze ormai irrevocabili (sentenza n. 1/92 del 17.04.1992 della Corte di Assise di Appello Lecce a carico di Giovanni De Tommasi + 104 – sentenza n. 2/97 della Corte di Assise di Lecce a carico di Raffaele Gianfreda + 76 – sentenza n. 3/96 del 22.05.1996 della Corte di assise di Appello di Lecce a carico di Marco Barba + 28) che avevano documentato la nascita del sodalizio mafioso dalla metà degli anni ’80. Il clan si aggregò in quegli anni attorno alla figura di Salvatore Padovano che, strettamente collegato a Luigi Giannelli, entrambi già affiliati alla Sacra Corona Unita fondata dal più noto Pino Rogoli, operarono a capo dei rispettivi gruppi egemonizzando le attività illecite poste in essere nel basso Salento (in particolare nelle zone di Gallipoli, Taurisano, Parabita e Matino), conservando una certa autonomia rispetto anche al più noto Antonio Dodaro. Dopo la morte di Dodaro e la contrapposizione tra i gruppi “De Tommasi” e “Tornese”, i gruppi “Padovano” – “Giannelli” continuarono ad intrattenere rapporti con il solo gruppo “Tornese”. Nel 1989, a seguito dell’arresto di Salvatore Padovano, la leadership del gruppo venne esercitata dal fratello minore Pompeo Rosario Padovano che riuscì a mantenere inalterate le capacità del clan avvalendosi di un folto gruppi di aderenti, per la quasi totalità gallipolini. Pompeo Rosario Padovano venne strettamente coadiuvato dal padre Luigi Padovano (ormai defunto), vecchio e rispettato pregiudicato della zona, in grado di assicurare la riconducibilità del clan alla famiglia anche quando, nel 1991, il giovane Pompe Rosario venne arrestato perché partecipe di un organizzato traffico di stupefacenti sull’asse Salento – Milano. Nel periodo che segue, le attività criminali del clan vennero garantite da un agguerrito gruppo di affiliati legati allo stesso Pompeo Rosario Padovano, tra questi Marco Marba, Silvio Della Ducata e Massimiliano Scialpi. Dopo l’arresto del gruppo riconducibile a Pompeo Rosario Padovano (da cui scaturì la richiamata sentenza di condanna del 22.05.1996) la permanenza dell’associazione – seppure notevolmente ridimensionata – continuò ad essere garantita e riconosciuta dalle organizzazioni federate ai “Padovano”, in primo luogo dal clan “Tornese”. Nello stesso periodo, tuttavia, ebbero inizio i dissidi, databili dal 1994, tra i due fratelli Padovano. La motivazione era ascrivibile a questioni di carattere familiare, tuttavia le controversie avrebbero in seguito riguardato, anche e soprattutto, i dissidi per una diversa presa di posizione nella gestione del clan. Tutto ciò emerse in maniera netta nel 2006, quando, nel giro di pochi mesi, Salvatore e Pompeo Rosario tornano in libertà. Le indagini avviate dal Ros, all’atto della scarcerazione dei due fratelli (sin da allora monitorati dai militari), hanno documentato sin da subito uno stato di tensione tra i due fratelli dovuto alla suddivisione – nel periodo della detenzione – dei guadagni di attività economiche (operanti nel settore ittico) che i familiari avevano gestito. Si è rilevata contestualmente una netta contrapposizione nell’atteggiamento dei due fratelli con gli affiliati del clan gallipolino, come detto sostanzialmente riconducibili a Pompeo Rosario Padovano. Quest’ultimo, infatti, aveva immediatamente ripreso i contatti con i vecchi adepti (fra i quali Scialpi e Barba) ma anche stretto rapporti con pregiudicati emergenti della zona, al contrario di Salvatore che si era totalmente distaccato dall’ambiente delinquenziale gallipolino mantenendo, in ambito criminale, solo rapporti con i familiari del clan “Tornese” e dedicandosi in maniera quasi esclusiva ad iniziative di natura economica. Le attività di indagine hanno documentato in particolare che i fratelli Padovano e le rispettive famiglie – durante la detenzione – avevano beneficiato dei proventi economici di attività commerciali a loro riconducibili, ossia le società operanti nel settore ittico. La gestione di tali attività economiche era oggetto di controversie tra i due fratelli, che comunque avevano apparentemente raggiunto un accordo per una equa distribuzione dei guadagni. La maggiore operatività di Pompeo Rosario Padovano nelle vicende associative del clan si è rilevata in occasione di un tentato omicidio avvenuto in Gallipoli il 29.10.2007, ai danni di Cristian Pisanello, genero di Giuseppe Barba. È emerso, in tale fattispecie, che, durante la detenzione dei fratelli Padovano, le frange dell’organizzazione avevano talvolta operato per la gestione delle attività illecite in modo autonomo e contrapposto, tra cui quella riconducibile a Giuseppe barba e quella composta da Massimiliano Scialpi e da altri soggetti gallipolini. Rosario Padovano, dopo il delitto, era intervenuto per tutelare la posizione di Cristian Pisanello, genero di Giuseppe BARBA, affiliato al clan ed in stretto contatto con Pompeo Rosario. Dalle indagini è emerso che Padovano era riuscito a ricomporre il dissidio tra i due gruppi, avvalendosi del suo ruolo carismatico e verticistico, consolidando il carattere unitario del gruppo. È emersa, in tale contesto, anche la disponibilità – da parte del gruppo di BARBA – di più armi da fuoco di cui Pompeo Rosario Padovano aveva preso immediata cognizione, organizzando abilmente il rinvenimento di alcune di esse da parte alle Forze dell’Ordine (per accreditare un totale cambiamento della sua condotta), ma trattenendo le altre per le esigenze operative del “gruppo”. Le risultanze investigative emerse a seguito del suddetto tentato omicidio hanno di fatto rilevato una serie di condotte “tipizzanti” l’associazione di stampo mafioso, ovvero: – il ruolo verticistico ricoperto da Pompeo Rosario Padovano nell’ambito delle cellule criminali operanti in Gallipoli, tanto da neutralizzare in tempo il sottogruppo “ScialpiI” dando l’ordine di non reiterare ulteriori episodi di sangue nei confronti del gruppo contrapposto (in tale contesto si rilevano incontri con alcuni soggetti fra i quali Massimiliano Scialpi e Marco Della Rocca, quest’ultimo uno degli autori materiali del delitto che, su disposizione di Pompeo Rosario, era anche disposto, come atto di rispetto verso il “capo”, a confessare la sua partecipazione all’evento criminoso; – il vincolo associativo esistente tra Pompeo Rosario Padovano e Giuseppe Barba il quale – dal carcere – attraverso i familiari, continuava a mantenere i contatti con il capo, informandolo delle dinamiche associative e ricevendo dallo stesso Pompeo Rosario il sostentamento per le spese legali; – la disponibilità del sottogruppo “Barba” e di Pompeo Rosario Padovano di più armi da fuoco, alcune delle quali venivano fatte appositamente rinvenire dallo stesso Pompeo Rosario per rivalutare la propria immagine agli occhi delle Forze dell’Ordine, mentre il restante arsenale veniva custodito dagli altri affiliati. Il periodo successivo ha rinsaldato ulteriormente i contatti tra Pompeo Rosario Padovano ed il resto degli affiliati, così come contestualmente si è documentato che i familiari che gestivano le attività economiche del clan si erano aggregati attorno alla sua posizione, isolando il fratello Salvatore che non perdeva occasione per rivendicare le proprie spettanze, ritenendole – nonostante diversi chiarimenti – non adeguate al suo “rango”. Inoltre, Pompeo Rosario aveva iniziato ad instaurare contatti per avviare ulteriori attività economiche (sia in Gallipoli che nella zona di Milano) avvalendosi della collaborazione di altri affiliati, ma estromettendo il fratello Salvatore. Il comportamento di Pompeo Rosario Padovano ha rilevato, in tale contesto, ulteriori elementi che connotavano la mafiosità del clan, ovvero esercitare un controllo sulle attività economiche lecite, finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto dei delitti. Oltre alle attività di commercializzazione di prodotti ittici (costituite nel periodo di detenzione dei capi dell’organizzazione per reinvestire i proventi delle attività illecite e conseguentemente garantire guadagni all’organizzazione), Pompeo Rosario, avvalendosi della forza di intimidazione e del conseguente stato di omertà nella zona di Gallipoli, ha manifestato mire espansionistiche in vari settori economici, tanto che si aveva traccia di una percentuale di guadagni che gli era stata riconosciuta dalla gestione del mercato ittico di Gallipoli e di contatti con soggetti pregiudicati operanti nel milanese, per attività nel settore ittico, nonché per la compravendita di abbigliamento e motoveicoli. Anche in queste iniziative, tuttavia, è stato rilevato un tentativo da parte del fratello Salvatore di osteggiare tali attività economiche (ciò emerge in particolare a proposito dei proventi del mercato ittico). Un segnale evidente dello stato di contrapposizione tra i due fratelli è emersa anche da alcune conversazioni intercettate tra il giugno e luglio 2008 all’interno dello studio del commercialista Giancarlo Carrino (consulente nelle attività economiche di Pompeo Rosario). Nei dialoghi tra Pompeo Rosario Padovano, il cugino Giorgio Pianoforte e lo stesso Giancarlo Carrino, si faceva infatti riferimento all’astio profondo nei confronti di Salvatore, tanto da rivelare propositi, poi posti in essere, di una sua “eliminazione”. Nelle stesse conversazioni intercettate nello studio di Carrino è emerso un altro elemento fortemente caratterizzante l’associazione mafiosa, ossia la capacità, attraverso persone insospettabili – in quel caso proprio Carrino – di venire a conoscenza e quindi di eludere le attività investigative condotte nei confronti del clan. Nel quadro delle dinamiche associative fin qui delineate, lo stesso omicidio di Salvatore Padovano, ucciso il 6.09.2008 davanti alla pescheria di famiglia “Il Paradiso del mare”, è da ritenersi strumentale ai fini perseguiti da Pompeo Rosario Padovano di giungere alla leadership del clan, eliminando la scomoda presenza del fratello. Significativo è infatti il comportamento di Pompeo Rosario Padovano che, dopo il delitto, rinsaldava notevolmente il vincolo associativo con gli affiliati ed espandeva ulteriormente, essendo ormai libero da vincoli gerarchici, le attività economiche. In tale contesto, in Milano, aveva raggiunto accordi per la distribuzione di prodotti ittici mediante costituzione di una cooperativa; in Gallipoli, oltre a continuare in maniera esclusiva l’attività commerciale di vendita di prodotti ittici nella pescheria “Il Paradiso del Mare”, garantendo una percentuale di 1.000 € mensili ai familiari del fratello, aveva avviato la gestione di ulteriori attività, stretto rapporti con famiglie operanti nel settore alberghiero, frequentato in più occasione lo stabilimento balneare “Varadero”, ove era solito riunirsi con l’affiliato Cosimo Cavalera. In tale contesto, le attività investigative hanno fatto emergere sin dalle prime battute elementi fortemente indizianti sulle figure di Padovano Pompeo Rosario e Giorgio Pianoforte, anche in ordine ad un loro coinvolgimento diretto nel delitto di Nino Padovano. Le attività tecniche condotte dal Ros a seguito dell’omicidio hanno delineato infatti a più riprese come anche i familiari della vittima addebitassero la responsabilità del delitto a Pompeo Rosario Padovano e Pianoforte, sospetti che traevano origine non solo dalle pregresse controversie economiche e familiari, ma anche dalle stesse modalità con le quali era stato perpetrato l’omicidio.. Un ulteriore dato investigativo emerso era rappresentato dalla mancata approvazione del delitto da parte dei vertici del clan “Tornese” di Monteroni, il cui legame con Salvatore Padovano – documentato da numerose sentenze – era stato confermato, anche dopo la scarcerazione dello stesso PADOVANO, dagli esiti delle investigazioni condotte dal Ros. La successiva collaborazione dell’autore materiale del delitto, Carmelo Mendolia, ha confermato le ipotesi investigative acquisite sino a quel momento, riferendo infatti egli di aver agito su mandato di Pompeo Rosario PADOVANO, con la complicità anche di Giorgio Pianoforte (del tutto consapevole del piano omicidiario) e di altri soggetti legati a Pompeo Rosario Padovano, con i quali aveva mantenuto contatti nelle fasi organizzative del delitto, tra i quali Fabio Della Ducata. Le propalazioni rese da Carmelo Mendolia hanno confermato anche e soprattutto l’esistenza di una struttura gerarchicamente organizzata, diretta da Pompeo Rosario Padovano. Si è accertato che il clan aveva organizzato la propria base operativa in un’abitazione sita in Gallipoli Via Lepanto), dove Pompeo Rosario Padovano si incontrava con gli affiliati per la gestione delle attività illecite (nella stessa abitazione era peraltro stato pianificato l’omicidio di Salvatore Padovano). In quell’abitazione, con un blitz di un’unità speciale del R.O.S. è stato catturato proprio Pompeo Rosario Padovano la notte del 24.10.2009. Pompeo Rosario Padovano in sostanza era riuscito definitivamente a riorganizzare le fila del clan attraverso una ripartizione dei ruoli dei vari affiliati. Da un punto di vista delle attività criminali, Pompeo Rosario Padovano si era avvalso della stretta collaborazione degli affiliati Massimiliano Scialpi (già condannato ex art. 416/bis), Cosimo Cavalera e Fabio Della Ducata. È emersa in tale contesto la disponibilità per il “gruppo” di più armi da fuoco, sia di quelle utilizzate per l’omicidio, che il collaboratore aveva permesso di rinvenire, ma anche di altre che il Mendolia ha indicato essere nella disponibilità anche di altri soggetti contigui al clan. Come sopra accennato, Pompeo Rosario Padovano aveva avviato rapporti per la gestione di attività economiche, iniziativa che, dopo l’omicidio del fratello, aveva messo in atto in differenti settori commerciali. Dopo l’arresto del 24.10.2009 a carico di Pompeo Rosario Padovano, Giorgio Pianoforte e Fabio Della Ducata, per l’omicidio di Salvatore Padovano, le attività investigative di natura tecnica hanno consentito di rilevare che gli attuali referenti sul territorio sono il citato Cosimo Cavalera e Giuseppe Barba. Il vincolo associativo è ulteriormente comprovato dal fatto che sono proprio i predetti – nonostante non abbiano mai svolto attività di natura economica – a contribuire fattivamente all’avviamento della cooperativa per la distribuzione dei prodotti ittici a Milano; inoltre sono coloro che stanno “tutelando” la famiglia di Pompeo Rosario da eventuali atti di ritorsione. In tal senso si evidenziano ancora ulteriori elementi che connotano la permanenza dell’associazione mafiosa, ovvero: – l’attuale contrapposizione tra i familiari ed altri soggetti legati a Pompeo Rosario Padovano con la famiglia del defunto Salvatore Padovano sostenuta dal clan “Tornese”; – l’atto intimidatorio documentato il 4.11.2009, dopo pochi giorni dall’arresto, con il rinvenimento di una testa di maiale recisa davanti all’abitazione di Pompeo Rosario; – la continuità nella gestione delle attività economiche, che a lui fanno capo, in grado di garantire all’intero clan un adeguato sostentamento.
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