La dissolvenza di un mito.
Se, nonostante gli orridi e imbarazzanti terzo e quarto capitolo siete tra quelli che, giovinetti, hanno amato Rocky, forse potete concedervi una visione di questo capitolo conclusivo, pellicola sufficiente con un paio di piccole sorprese.
Stallone non azzecca un film dai tempi di Tango & Cash. Quello che decide di fare per fronteggiare la crisi è una delle operazioni più lineari e al contempo folli che si siano mai viste… ritorna ai due personaggi che gli hanno dato successo e fama: Rocky e Rambo (atteso per l'anno prossimo) e si badi, lo fa come regista/scrittore/attore. Fa il furbo, Stallone. Con questo Rocky Balboa, Sly, torna alle origini. Al primo film, quello più amato e apprezzato, quello in cui combatte un incontro senza speranze, quello in cui solo la volontà di fare almeno un'altra ripresa lo fa arrivare alla fine. Quello in cui, alla fine, perde di poco, ai punti. Ecco lo schema è ancora questo, paro paro. E per buon peso gioca sulle autocitazioni e sui ricordi dei fan. Però sono passati trent'anni. Quella generazione, quel cinema sono praticamente scomparsi. Se allora tutto era speranza, giovinezza, ora abbiamo dolenza, vecchiaia, ricordo e saggezza. Ma non rimpianto. Rocky/Stallone è ancora forte buono e giusto, il mito è vecchio, ma intatto. Inaspettatamente, l'ultima inquadratura, però, rivela un significato metafilmico che non mi aspettavo e che, assieme al sentimento dolente della prima parte, è sicuramente la cosa migliore di un film altrimenti banale e a stento sufficiente. Alla fine, a pensarci bene, raccontato in uno stile così semplice ed elementare da risultare a tratti puro, quasi bello nel suo essere datato, abbiamo un racconto dolce/amaro metafora di un attore/autore (e di un cinema) oramai fantasma (bella, in questo senso, la sopracitata ultimissima inquadratura, al cimitero). PS Da appassionato di serie Tv, non posso non segnalare l'ennesima bella prova di Milo Ventimiglia (Una mamma per amica, Heroes)