La terra rossa diventa opera d'arte per l'artista bavarese: fino all'otto dicembre in mostra i suoi lavori nella Chiesa di S.Francesco della Scarpa a Lecce
Dopo aver conosciuto il Salento, non l'ha lasciato più. Anzi, ne ha fatto un'opera d'arte. Storia dell'incontro tra la Baviera e la terra rossa del Sud.
Dopo aver conosciuto il basso Salento, non solo ha deciso di viverci per il maggior tempo possibile, ma ha fatto in modo che anche la terra rossa, le conchiglie di mare in frantumi, le erbe di palude, le selci e le ceneri d’ulivo entrassero a far parte del suo mondo e dei suoi lavori. Helmut Dirnaichner, artista bavarese nato a Monaco nel 1942, salentino d’adozione,vive in una masseria nell’entroterra del Capo di Leuca, nei pressi di Gemini. Qui prendono forma le sue opere che dalla natura salentina traggono materia d’ispirazione. È riuscito infatti a trovare una originale ed autentica espressione di creatività, utilizzando nelle sue opere elementi primari tratti dalla natura, sedimenti connessi all’eterno ciclo della vita e della morte. Attinge quindi al “libro” della natura, creando un suo “ libro” della natura, con codici e materiali di diversa provenienza, reperiti nel suo viaggio alla scoperta dell’essenziale e alla ricerca dei processi di trasformazione “attraverso, lontano e fuori dallo spazio”. Il suo incontro con la terra salentina è stato fecondo e decisivo per le scelte esistenziali e artistiche che ne sono derivate: “Sono venuto in Italia con una borsa di studio –ricorda Helmut- Da Milano sono arrivato nel Salento alla ricerca della luce mediterranea. Mi sono fermato per gli amici che qui ho incontrato”. Da quel momento sono entrate nelle sue opere non solo le terre rosse locali e l’esperienza della vita a contatto con la natura, ma anche le impressioni del modo di vivere dei salentini, della loro storia culturale e artistica. Le sue installazioni, composte di materiali geologici o vegetali, sono stratificate in sottili fogli di varie dimensioni geometriche dai colori puri e fissate con la cellulosa. Apprezzato dalla critica contemporanea per le sue esposizioni in varie parti d’Europa e del mondo, ha recentemente partecipato all’Arte-Fiera di Basilea ed ha presentato a Colonia un suo nuovo ciclo di lavori intitolato “L’ombra delle pietre” . Tra gli interpreti della sua concezione estetica, Antonio Prete, docente di Letterature comparate all’Università di Siena, gli ha dedicato prestigiose e personali letture critiche, sottolineando l’originalità e la forza espressiva delle sue opere. Sono nati così i saggi per “Oltremare e cenere”, “Il libro, la luce”, “Il libro,la pietra, la luce” pubblicati a Norimberga nel ’93, nel’97 e nel 2001, poi raccolti in “ Palude,azzurro” (Leucasia, Presicce, 2003). Tra le sue mostre, occupano un posto significativo quelle realizzate con lo scultore Norman Mommens a Casarano (Costellazioni Terra e Pietra,Palazzo D’Elia, 1986) e a Matera (Materia Sorgente, Circolo “La Scaletta”, 1989). Nel 2005 ha tenuto uno stage presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce.
Quali insegnamenti hai dato agli studenti dell’Accademia di Belle Arti? “Trovo molto utile sensibilizzare a ciò che ha valore personale, a qualcosa che appartiene alla propria individualità, non a modelli precostruiti. Il nostro è un mondo caratterizzato da scadenze sociali che ci porta a perdere il valore originario dell’umano, anch’esso scaduto. Bisogna “praticare” per poter rendere visibile il proprio modo di vedere le cose. Per lavorare sulla percezione, si può cominciare dai materiali che abbiamo sotto mano. Così ho proposto agli studenti di creare una nuova struttura con il materiale che trovano nel loro ambiente per far diventare significativo ciò che è poco appariscente. Le materie non sono per sempre, così ho invitato i giovani a rendere visibile questo passaggio, , questa transitorietà, eseguendo dei lavori che rendessero visibile il passaggio del ricreare ciò che è distrutto o lasciato da parte”. A quali opere hai fatto riferimento? Ad esempio alla cappella di Mark Rothko in Houston, Texas. Un luogo di contemplazione e di meditazione per i credenti di ogni fede, senza riferimento oggettuale, solo attraverso il colore. A Hamish Fulton, un artista che cammina sulle vette della montagne per percepire la dimensione mentale del cielo e della terra nello stesso tempo. A Duchamp, al Ready made. Lo scultore Tinguely ha costruito macchine che lavorano, fanno rumore senza effetto, senza funzione. Un movimento meccanico che non serve a a. Il contrario del Futurismo. Ho fatto riferimento anche a Damiem Hirst che ha realizzato un armadio pieno di farmaci, perché le pillole sono il nuovo rosario della gente. Oggi sono questi gli oggetti trovati, mentre Duchamp ha lavorato con altri oggetti del suo tempo. Le materie trovate hanno una vita passata, hanno subito un cambiamento nel tempo. Le forme, come la natura, si trasformano. L’artista può intervenire sulla materia, prendere gli elementi della natura, creare una forma. Ad esempio con i ciottoli, come ha fatto Richard Long, con la sua Land art. “Vengono in mente i tuoi lavori realizzati con le conchiglie di mare,le erbe di palude, la terra di Puglia….” Nel Salento la natura è forte; se usi la terra, la materia diventa colore. I colori sono puri, naturali, non complementari, hanno una forza interiore”. Di quali altri materiali ti sei servito, durante i tuoi viaggi? “ Il blu lapislazzulo dell’ Afganistan, le terre del Messico, il cinabro in Spagna. L’ azzurrite, l’argento e il rame di una cava in Austria”. Quali sono i tuoi ricordi delle mostre di Matera e di Casarano insieme a Norman Mommens? “Il segreto della nostra comunicazione artistica stava nell’intenderci senza parole, avendo lo stesso modo di approcciarci all’opera da eseguire, poiché ci importava non per se stessa, ma per ciò che da essa si irradiava. Sia il palazzo D’Elia a Casarano, sia la Scaletta a Matera (un luogo adibito, in passato, a cappella) erano luoghi adatti all’esposizione dei nostri lavori, che entravano in corrispondenza con la storia, con lo spazio che le ospitava e con la loro materia: i lavori di Norman in pietra leccese e tufo, le mie terre e i miei minerali, come la malachite e la azzurrite, si riconoscevano negli affreschi dipinti sulle volte. In questo modo si è sviluppato tra di noi un proficuo dialogo artistico, che ha finito col coinvolgere i visitatori. Le loro riflessioni sulle mie installazioni e sulle sculture di Norman portavano dibattito sull’arte contemporanea. Durante il periodo della mostra infatti eravamo sempre presenti riuscendo a creare un contatto con gli abitanti di quelle due città, dapprima improntato alla curiosità poi sempre più familiare. Credo che molti presenti abbiano varcato in quella occasione per la prima volta la soglia dell’incontro con le arti visive, grazie anche all’ottimo vino di Spigolizzi e all’Aglianico del Vulture di Matera, sempre offerto insieme ai taralli”.
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