Quindici anni fa moriva assassinato a colpi di coltello per mano di ignoti Peppino Basile, consigliere comunale d’opposizione al Comune di Ugento e consigliere provinciale di maggioranza.
Il Tacco d’Italia avviò un esperimento unico in Italia e, per l’epoca, visionario e straordinario.
Aprimmo la possibilità ai cittadini di dialogare direttamente con la redazione, creando una piattaforma on line ad hoc per inviare segnalazioni, commenti, scambiarsi idee anche in forma anonima.
Peppino Basile era una nostra fonte riservata e attendibile, un rompiscatole che fiutava il marcio. Magari non riusciva ad andare a fondo alle questioni, ma il puzzo della corruzione gli faceva drizzare le antenne, si procurava le carte, dall’interno delle Istituzioni, e ce le passava. Con la sua collaborazione avevamo pubblicato diverse inchieste investigative.
E così, mettemmo insieme i mille tasselli delle piste che stava seguendo in quel periodo, scoprendo altrettanti potenziali moventi e altrettante zone d’ombra nella gestione della cosa pubblica.
Furono arrestati due innocenti, si costruì un castello di carte sul racconto di una bimba di cinque anni. Il parroco che organizzava fiaccolate contro l’omertà fu minacciato e intimidito e trasferito lontano, in isolamento. Anche la Curia aveva deciso da che parte stare. E non era quella nostra.
Un piccolo paese, una strada chiusa di periferia, un giorno d’estate, il caldo del Salento, le finestre aperte, il silenzio della campagna, ma nessun aveva visto o sentito nulla.
Appena chiuse le indagini presi le oltre 300 testimonianze raccolte dagli inquirenti e realizzai una mappa situazionale, stabilendo chi stava facendo e che cosa, all’ora del delitto, quella maledetta notte tra il 14 e il 15 giugno del 2008, individuando le contraddizioni, i punti oscuri.
Emergeva con chiarezza che i due accusati, uno dei due minorenne all’epoca dei fatti, non potevano essere responsabili dell’assassinio.
Emergevano anche l’omertà, la paura, una cappa di piombo sulla città e alcune piste, non approfondite. Pubblicai tutto.
Realizzai diversi speciali e un libro-inchiesta. Arrivarono le minacce, i segnali che mi dovevo fermare. Ero abituata, devo ammetterlo.
Ecco, per me c’è un prima e un dopo l’assassinio di Peppino.
Il dopo, è fatto anche di bellezza. E’ nata una comunità, un comitato, “IO conto”, un movimento civico, un citizen journalism ante litteram, amicizie, fratellanze.
I cittadini di Ugento e Gemini mi hanno fatto da scorta civica: tante volte mi hanno accompagnato a casa la sera (abitavo in campagna) e “bonificavano” l’area con me, come mi avevano insegnato a fare i Carabinieri: “Arriva nei pressi della strada di casa tua, rallenta, guarda, vai avanti, fai il giro dell’isolato, chi è con te deve guardare la strada di casa tua e controllare se cambia qualcosa, una luce?, un movimento?, se si, ci chiami, se no, torna davanti alla strada di casa, imboccala, procedi piano, luci spente, arrivi al cancello, accendi le luci, aspetta, controlla se vedi qualcosa, se no, entra. Tieni il cellulare a portata di mano col 113 pronto sul display”.
Le indagini hanno portato ad un nulla di fatto: sconosciuti i mandanti e gli esecutori.
Con alcuni attivisti, abbiamo costruito il dossier su Peppino Basile perché venisse riconosciuto, almeno da Libera, quale vittima innocente di mafia.
E così ogni anno, il 21 marzo, nella giornata della memoria e dell’impegno, organizzata da Libera di don Ciotti, il nome di Peppino viene letto dai ragazzi e dalle ragazze delle scuole pugliesi, salentine, italiane, insieme ai nomi delle 1069 vittime innocenti di mafia.
E ogni anno senza clamori una “corriera” parte da Ugento con un carico di cittadini e cittadine che si riuniscono attorno al prete, che è ancora lì, in isolamento. Il loro modo per ricordare che un tempo sono stati comunità è assistere alla messa da lui celebrata (oggi può, un tempo gli è stata negata questa possibilità).
La memoria è impegno contro la mafia.
E noi non dimentichiamo.
Siamo fastidiosi e rompiscatole. Come Peppino.
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