Lucille degli Acholi, medica degli ultimi

Intervista ad Ilaria Ferramosca, sceneggiatrice del graphic novel “Lucille degli Acholi”, un volume corredato dai disegni di Chiara Abastanotti, edito da Il Castoro (2022)

Medica in Uganda, fondatrice insieme al marito, il pediatra Piero Corti, dell’Ospedale di Lacor, morta per contagio da HIV dopo aver prestato servizio senza risparmiarsi, risulta certamente una figura meritevole di maggiore attenzione.

Già Rita Levi-Montalcini aveva affermato: “Lucille rimane il più fulgido esempio di dedizione all’attività medica, svolta con eroismo fino alla fine del suo percorso, eppure di lei poco si conosce”.

Una esemplare storia da ricordare e da raccontare: ne è nato perciò un graphic novel, scritto da Ilaria Ferramosca, che ha curato la sceneggiatura, ed illustrato dalle accattivanti tavole a colori di Chiara Abastanotti.

Tante sono state le difficoltà e i pregiudizi di genere contro cui ha dovuto lottare, nel corso della sua avventurosa vita, Lucille Teasdal, nata a Montreal, 1929. Iscriversi a Medicina e specializzarsi in chirurgia, svolgere la professione medica, affrontando numerosi ostacoli sociali in un contesto ambientale deprivato e tormentato da guerre civili e regimi dittatoriali come quello dell’Uganda, non sono state per lei barriere insormontabili, sorretta com’era dalla sua costante tenacia.

Il suo obiettivo di prodigarsi per coloro che hanno maggiore bisogno di assistenza sanitaria trova una felice e costruttiva soluzione, grazie all’efficace lavoro svolto in sinergia con il marito Piero Corti. Insieme riescono a fondare un ospedale pubblico, nel tempo reso autonomo ed aperto alla formazione di personale specialistico di origine africana; oggi quello di Lacor è uno dei più importanti nosocomi no-profit in Uganda, proprio lì dove l’emergenza medico-sanitaria è più avvertita .

Nel restituirci un personaggio dalla vita avventurosa e dalla elevata professionalità, l’autrice si sofferma dapprima sui condizionamenti causati dalle barriere di genere che può trovare una medica nel contesto degli anni sessanta. Delinea il carattere volitivo di una ragazza che vuole fare la medica già a dodici anni, diventando così una studentessa di medicina tra poche (otto), ed in seguito una laureata che vuole specializzarsi in chirurgia, nonostante i rifiuti alla sua richiesta.

Condizionamenti che non inficiano la determinazione e la passione per il proprio lavoro, inteso come aiuto da destinare a chi ne ha più bisogno.

Nota – Per raccontare la sua storia, Ilaria Ferramosca, ricorre all’espediente della narrazione esterna: una giovane ragazza che ha appena superato la maturità, ne parla con un compagno di studi. Lei si chiama Atim (“nata lontano”), ha la stesso nome della figlia della dottoressa Lucille che ha guarito e salvato sua madre in Uganda, fa sapere al suo amico e vuole iscriversi a Medicina.

Si snoda così un racconto dal ritmo sempre vivace e avvincente, che continua attraverso le lettere che Lucille scrive alla sorella Lise. Le fa sapere del carente aspetto educativo-sanitario nel prendersi cura di circa 300 pazienti al giorno, soprattutto bambini colpiti da malaria, trasmessa dall’acqua spesso infetta. La informa sui casi particolari: malattia più frequente è la schistosomiasi provocata da una larva che diffonde le sue uova attraverso il sistema circolatorio delle donne più esposte a malattie tropicali.

Ecco la necessità di formare delle Infermiere ugandesi con la guida delle suore comboniane, in un ospedale in cui la luce elettrica è disponibile fino alle dieci, motivo per il quale il dott. Piero Corti fa richiesta ai benefattori per avere un generatore a benzina. Sempre dalle lettere sono desunte le pratiche dei guaritori che incidono la parte dolorante dell’addome per far uscire il male. Ricorrendo agli stregoni, gli abitanti dei villaggi tentano di fare prima, evitando il lungo viaggio fino all’ospedale.

Quotidiana perciò la lotta contro l’ignoranza e la superstizione in un contesto in cui vengono usati punte di freccia e perfino chiodi arrugginiti con rischio di setticemia, e le gengive delle bambine con febbre da dentizione vengono incise per estrarre le gemme dai canini, per non dire delle donne Acholi che lavorano fino al giorno del parto e poi riprendono subito dopo.

Ilaria Ferramosca

Rivolgiamo alcune domande ad Ilaria Ferramosca, autrice della sceneggiatura.

Quello di Lucille Teasdale è un personaggio da far scoprire alle giovani generazioni, e da recuperare alla memoria, di quale documentazione e testimonianze si è servita per ricostruire le varie vicende ospedaliere ed il contesto socio-ambientale del villaggio ugandese di Lacor?

Raccontare la vita di Lucille non è stato facile, sia per gli innumerevoli episodi che l’hanno caratterizzata nonostante la sua brevità, sia per il contesto storico e culturale che le ha fatto da sfondo, tanto in Canada quanto in Uganda.

Ho avuto, però, la fortuna di ricevere grande supporto dalla Fondazione Piero e Lucille Corti (costituita da Piero a sostegno del Lacor Hospital e oggi gestita dalla loro figlia Dominique Atim Corti). Nello specifico, la responsabile della comunicazione Daniela Condorelli (giornalista per “L’Espresso” e “Repubblica D”, che ha lasciato l’attività per dedicarsi completamente alla causa della Fondazione e del Lacor Hospital) mi ha fornito libri e documentari sulla vita di Lucille e sulla storia dell’ospedale; a questi si sono unite mie personali ricerche sulla storia dell’Uganda e sulle guerre civili che l’hanno martoriata. Durante la stesura del trattamento e della sceneggiatura, man mano che avevo dei dubbi o necessità di comprendere come fossero fatti determinati ambienti, o visualizzare la fisionomia di alcuni personaggi, ho chiesto aiuto a Dominique, che con grande pazienza e dedizione mi ha procurato foto e altri documenti privati. Si è resa disponibile anche ad approfondire le tradizioni Acholi, le vicende legate all’ospedale e ai profughi che esso accoglieva, gli episodi di continue invasioni da parte dei guerriglieri (con rapimenti e furti che divenivano di anno in anno più frequenti). Preziose, inoltre, sono state le lettere che Lucille scriveva alla sorella minore Lise: inizialmente una corrispondenza fitta, diradatasi nel tempo proprio a causa delle guerre civili.

L’idea del fumetto, tra l’altro, nasce proprio dalla Fondazione Corti, che ha poi contattato la casa editrice milanese Il Castoro per realizzarlo. L’intento iniziale era destinarlo alla Scuola Infermiere del Lacor Hospital, caparbiamente voluta da Lucille, è infatti in corso di traduzione in lingua inglese. Poi l’Editrice Il Castoro ha ritenuto la storia di Lucille così importante, come messaggio alle nuove generazioni, da decidere di diffonderla anche sul mercato editoriale italiano ed è in trattative con una editrice svizzera per l’acquisizione dei diritti di traduzione sui mercati francofoni (Svizzera francese, Francia, Belgio, Canada – Quebec).

Il genere del graphic novel si caratterizza per l’adesione a temi e vicende reali. Anche in quest’ ultimo lavoro si conferma la sua forte sensibilità alle problematiche sociali, alla mancanza di diritti, alle ingiustizie, al valore dell’impegno civico. Rispetto ai graphic novel precedenti (Nostra madre Renata Fonte, Lea Garofalo una madre contro la ‘ndrangheta, Charlotte Salomon, ecc.) ci sono elementi innovativi nella grafica e nella sceneggiatura?

Le storie a carattere sociale da me sceneggiate sono numerose, in effetti. Da “Nostra madre Renata Fonte” a “Ragazzi di scorta. Rocco, Vito, Antonio, gli agenti di scorta di Giovanni Falcone”, da “Lea Garofalo una madre contro la ‘ndrangheta” a “Francesco Marcone, un uomo onesto”, passando per “Charlotte Salomon, i colori dell’anima”. Graficamente si tratta di storie diverse, perché mi sono avvalsa di co-autori (disegnatori) differenti. Con Chiara Abastanotti il sodalizio era nato con “Lea Garofalo una madre contro la ‘ndrangheta”, che narrava la terribile vicenda della testimone di giustizia Lea Garofalo, vissuta per anni sotto protezione per aver scelto di sottrarsi all’ambiente malavitoso in cui era nata suo malgrado. Per donare a sua figlia Denise una vita sana, all’insegna della legalità e non del sangue delle faide, si ribellò alla subcultura ‘ndanghetista, rimanendo vittima della vendetta spietata del suo compagno, fedele solo alle leggi mafiose.

In quel caso, la scelta grafica fu raccontare la storia attraverso il bianco e nero della cronaca, con l’uso da parte di Chiara della matita grassa, con tratti più decisi o più sfumati a seconda del piano narrativo: rispettivamente il presente e i ricordi.

Anche l’espediente narrativo fu diverso, la storia di Lea è lì ricostruita come un puzzle durante il processo, attraverso le diverse testimonianze: quella della figlia Denise (ancora oggi sotto protezione come testimone di giustizia), Marisa Garofalo (sorella di Lea), Carlo Cosco (compagno e assassino di Lea) e Carmine Venturino (complice e in seguito collaboratore di giustizia).

La storia di Lucille, invece, è interamente a colori, in matita e acquerello. Con i pochi tratti essenziali che caratterizzano lo stile di Chiara Abastanotti, sono ricostruiti personaggi e ambienti. Il tratto di Chiara rende alla perfezione ciò che il “media” fumetto veicola per eccellenza: la sintesi grafica a prescindere da quanto dettagliata possa essere o meno ogni tavola. Il fumetto è arte sequenziale ma anche sintesi, uno strumento di comunicazione che si completa grazie alla costante inferenza del lettore: nei dialoghi, negli spazi bianchi tra una vignetta e l’altra, in tutto ciò che volutamente è lasciato all’intuizione di chi legge, che personalizza in tal modo la propria esperienza di acquisizione della storia.

Le barriere di genere costituiscono un contesto fondamentale. Fin da piccola L. Tuesdale non fa giochi da bambina, ma hockey su ghiaccio, e poi non si mette a studiare “la complessità della letteratura o i comportamenti dei conigli”. A Marsiglia, quando si specializza in chirurgia, ci si rivolge a lei, chiamandola signorina o signora mademoiselle, non dottoressa. Significative a questo proposito le parole della madre: chi si fiderebbe di una medica? Quali riflessioni si possono fare rispetto alla realtà odierna ?

Circa un secolo fa, Lucille è stata in grado di contribuire a una vera e propria rivoluzione culturale. Ha lottato contro una società maschilista che voleva le donne relegate solo a determinati ruoli e con la sua ostinazione e determinazione è andata avanti. Si è opposta al contesto familiare e a quello sociale: del Canada inizialmente, internazionale poi (in Europa e in America quasi nessun ospedale voleva ammettere al tirocinio in chirurgia una donna). Da allora sembra che molti passi avanti siano stati compiuti per la parità di genere, invece non è del tutto così; molti ruoli dirigenziali, cariche politiche, discipline sportive, sono precluse alle donne o considerate di minor valore. Il fumetto su Lucille è nato anche con tale intento: un messaggio soprattutto alle giovani donne, affinché divengano consapevoli che il loro coraggio, la loro determinazione, talvolta quella che è considerata pura testardaggine, possono essere in grado di cambiare il mondo.

Con una copertina dal forte impatto visivo, le pagine del libro prendono risalto per la suggestiva colorazione che richiama il paesaggio dell’ambiente africano. I colori dell’Africa, resi efficacemente, danno perciò una connotazione forte al volume. A questo proposito si è scritto che la disegnatrice è stata la giusta interprete dei suoi testi.

Come ho avuto modo di spiegare poc’anzi, Chiara Abastanotti ha uno stile efficace, pittorico, addirittura poetico, come qualcuno l’ha descritto. Nelle tavole di “Lea Garofalo, una madre contro la ‘ndrangheta”, la definivo spesso la Marjane Satrapi italiana, paragonando il suo tratto a quello della disegnatrice iraniana di “Persepolis”. Nel fumetto “Lucille degli Acholi” ha mostrato una crescita che va al di là dell’uso del colore, servito certamente a rendere al meglio le ambientazioni africane e a restituire loro la giusta suggestività; ogni volta che vedevo una nuova tavola e la sceneggiatura prendere vita, restavo sempre più ammaliata. Credo si tratti di una giusta e naturale evoluzione di ogni ottimo disegnatore, che spesso cerca di adeguarsi anche alle tendenze del mercato editoriale e al gusto attuale dei lettori (di graphic novel, in questo caso). Però quella di Chiara, a mio parere, va ben oltre tutto ciò ed è frutto della sua particolare sensibilità, della capacità di mettersi “al servizio” del personaggio rappresentato e della sua personale storia. Chiara è senza dubbio una dei “compagni d’avventura” del mondo del fumetto di cui ho grande stima e con la quale spero di poter collaborare ancora per più e più volte.

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