Il decimo anniversario del sequestro degli impianti siderurgici Ilva

Di Daniela Spera

A dieci anni dal sequestro senza facoltà d’uso degli impianti ex Ilva, voluto dal giudice Patrizia Todisco, gli attivisti sono tornati in piazza a ricordare l’esito della conclusione delle indagini preliminari.

Nel 2012 due perizie, una chimico ambientale e l’altra epidemiologica, convinsero il magistrato a ordinare, il 26 luglio dello stesso anno, la fermata degli impianti pericolosi per la salute pubblica.

A inchiodare l’Ilva fu la perizia chimico ambientale che fece emergere una situazione di assoluta illegalità degli impianti.

La perizia epidemiologica, di supporto alla prima, non fece altro che confermare una situazione di emergenza sanitaria riconducibile all’attività del siderurgico. Per la prima volta veniva messo nero su bianco che «l’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e morte».

Immediata la reazione del gip che senza mezzi termini espose chiaramente le motivazioni della fermata degli impianti, concludendo: «Non un altro bambino, non un altro abitante di questa sfortunata città, non un altro lavoratore dell’Ilva, abbia ancora ad ammalarsi o a morire ad essere comunque esposto a tali pericoli, a causa delle emissioni tossiche del siderurgico». Tuttavia gli effetti dell’ordinanza non furono mai attuati. Il tribunale del riesame confermò il sequestro ma con facoltà d’uso senza fini produttivi.

Da quel momento nulla sarebbe stato come prima. Da quel momento sarebbe cominciata la guerra tra Governo e Magistratura.

A colpi di decreti, ribattezzati ‘Salva-Ilva’, di fatto, vennero annullati, anche gli effetti della decisione del tribunale del riesame. Una lunga serie di decreti, il primo della quale fu fortemente voluto dall’allora Ministro dell’Ambiente Corrado Clini che, in nome della produttività, dell’applicazione dell’AIA, e del lavoro, neutralizzò ogni tentativo di fermare quell’azienda killer.

Ciò che è accaduto dopo è la storia a raccontarlo. A cominciare dal ricorso collettivo alla Cedu (Corte europea dei diritti umani), promosso per la prima volta nel 2013 da un gruppo di cittadini di Taranto, guidati da Legamjonici, quando il Ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, venuto a conoscenza delle continue violazioni da parte dell’Ilva delle prescrizioni contenute nell’AIA, pensò bene che era il caso di bypassare la normativa vigente, che prevedeva la revoca dell’AIA, e quindi la chiusura degli impianti, con la nomina di un commissario straordinario.

Il 24 gennaio 2019 arriva la sentenza della Corte europea che condanna l’Italia per non aver protetto i cittadini di Taranto.

Il 31 maggio 2021 un’altra attesa sentenza della Corte d’Assise di Taranto, presieduta dalla giudice Stefania D’Errico, giudice a latere Fulvia Misserini, commuove un’intera città. Tra applausi e lacrime da parte dei tanti cittadini e cittadine che dinanzi al Tribunale si sono riuniti in un presidio, i nomi dei condannati e le pene inflitte restituiscono un po’ di giustizia a quelle famiglia che hanno perso i propri cari a causa dei veleni. Per i reati alla base del sequestro di dieci anni fa si è quindi concluso il processo ‘Ambiente Svenduto’ con pesanti condanne in primo grado per gli esponenti della proprietà e della dirigenza del gruppo Riva, accusati di disastro ambientale e associazione a delinquere.

Il 26 luglio 2022 ricorre il decimo anniversario del sequestro degli impianti siderurgici Ilva (nel 2012 gestiti dal gruppo privato Riva) da parte della magistratura per reati ambientali. Gli impianti sono a tutt’oggi sotto sequestro anche se l’attuale gestore, Acciaierie d’Italia, ne ha la facoltà d’uso.

Per ricordare i dieci anni dal sequestro, alle 10.30 si è svolta ieri una marcia per depositare in procura una nuova denuncia contro la società Acciaierie d’Italia. Alle 18.30 dello stesso giorno si è tenuta, nell’agorà di piazza Marconi, insieme all’associazione ‘Giustizia per Taranto’ un incontro con i cittadini per spiegare le ragioni dell’ennesima denuncia contro il siderurgico. L’assemblea è stata molto partecipata. Al microfono si sono alternati gli attivisti storici ma anche chi ha voluto dare un parere politico e sociale dell’attuale momento storico di Taranto su cui, ancora una volta, è calato il silenzio, in un ottica di collaborazione tra cittadinanza attiva e rappresentanti istituzionali. Gli attivisti di ‘Giustizia per Taranto’, con Massimo Ruggieri e Leonardo La Porta, di ‘Legamjonici’, con Daniela Spera ed esponenti dell’organizzazione politica ‘Una strada diversa’, con Luca Delton e Stefania Petaro, hanno raccontato i risultati raggiunti dall’attivismo civico, come la sentenza della Corte europea nel 2019 e la sentenza della Corte d’Assise di Taranto nel 2021. Azioni scaturite non solo da denunce ma anche da attenta analisi e studio dei dati scientifici e sanitari disponibili, oltre che da una puntuale visione storica del problema ambientale del territorio tarantino. Ma hanno anche ricordato i momenti di sconforto. Come quelli vissuti dopo la sentenza del Consiglio di Stato del 2021, che ha annullato gli effetti dell’ordinanza sindacale di chiusura dell’area a caldo.

L’attivista Luciano Manna ha spiegato le motivazioni della nuova denuncia depositata in procura nei confronti di Acciaierie d’Italia che continua a emettere emissioni diffuse e fuggitive incontrollate. Il consigliere comunale neo-eletto Luca Contrario (Una strada diversa) ha spiegato che è necessaria una stretta collaborazione tra associazioni e istituzioni e fare pressione politica anche a livello nazionale.

Non sono mancati momenti toccanti al ricordo della morte di Alessandro Morricella il 35enne operaio dell’Ilva morto nel 2015, dopo 4 giorni di agonia, travolto da una violenta fiammata, mista a ghisa liquida ad elevata temperatura che si è sprigionata dall’impianto mentre effettuava le operazione di controllo della temperatura dell’altoforno.

E resta ancora viva la delusione sul caso del bimbo diventato simbolo della lotta contro l’inquinamento, morto per un tumore al cervello. Non ci sarà, infatti, il processo sul caso di Lorenzo Zaratta, il piccolo morto nel 2014, all’età di 5 anni. Secondo il giudice Pompeo Carriere non ci sono gli estremi per il rinvio a giudizio di 9 capi area dell’ex Ilva. Al termine dell’udienza preliminare sono stati prosciolti Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento Ilva fino al 3 luglio 2012, e gli ex responsabili dell’Area Parchi Minerali Giancarlo Quaranta e Marco Andelmi, il capo dell’Area Cokerie Ivan Di Maggio, il responsabile dell’Area Altiforni Salvatore De Felice, i capi delle due Acciaierie Salvatore D’Alò e Giovanni Valentino, e Giuseppe Perrelli ex responsabile dell’area Gestione Rottami Ferrosi. Assolto il responsabile dell’Area Agglomerato Angelo Cavallo, che aveva scelto di essere giudicato con rito abbreviato e per il quale l’accusa aveva chiesto una condanna a 2 anni e 4 mesi. La consulenza della difesa ha convinto il giudice Carriere che ha, di fatto, smentito 4 pareri di esperti di cui uno per conto dei pubblici ministeri. L’avvocato Leonardo La Porta, che assiste la famiglia Zaratta, ha però assicurato: ‘Andremo avanti, non finisce qui’.

Nella stessa serata, al rione Tamburi, a ridosso della fabbrica dell’acciaio, c’è stata anche un’altra iniziativa per ricordare l’ordinanza di sequestro degli impianti Ilva. Un’iniziativa di narrazione collettiva, che ha consentito a tutti gli attori di questi anni di narrare le proprie emozioni e le proprie esperienze di lotta.

Leggi anche:

Sostieni il Tacco d’Italia!

Abbiamo bisogno dei nostri lettori per continuare a pubblicare le inchieste.

Le inchieste giornalistiche costano.
Occorre molto tempo per indagare, per crearsi una rete di fonti autorevoli, per verificare documenti e testimonianze, per scrivere e riscrivere gli articoli.
E quando si pubblica, si perdono inserzionisti invece che acquistarne e, troppo spesso, ci si deve difendere da querele temerarie e intimidazioni di ogni genere.
Per questo, cara lettrice, caro lettore, mi rivolgo a te e ti chiedo di sostenere il Tacco d’Italia!
Vogliamo continuare a offrire un’informazione indipendente che, ora più che mai, è necessaria come l’ossigeno. In questo periodo di crisi globale abbiamo infatti deciso di non retrocedere e di non sospendere la nostra attività di indagine, continuando a svolgere un servizio pubblico sicuramente scomodo ma necessario per il bene comune.

Grazie
Marilù Mastrogiovanni

SOSTIENICI ADESSO CON PAYPAL

------

O TRAMITE L'IBAN

IT43I0526204000CC0021181120

------

Oppure aderisci al nostro crowdfunding

Leave a Comment