DIARIO DI PACE / 5
di Marilù Mastogiovanni
Angelo Moretti, racconta un po’ come è nata questa chiamata, non alle armi, ma agli abbracci: “E’ un progetto che nasce dalla cittadinanza attiva, non nasce da una rete che fa questo per mestiere, siamo tutti cittadini attivi che hanno detto una cosa semplice: non possiamo stare a guardare.
Siamo qui, per due motivi:
perché non abbiamo il “potere” ma la volontà e la possibilità di aumentare il “tuo” potere con la nostra presenza.
E seconda cosa: siamo qui perché è una guerra che accade in Europa, quindi questa guerra ci riguarda e ci riguarda la pace. A chi dice: “ma allora il Libano, allora il Congo, allora il Darfur, e così via”. Io dico: “Abbiamo una responsabilità diretta quando qualcosa ti accade vicino. Questa è una guerra nel nostro salotto di casa. Se guardiamo alla nuova Europa, questa non si ferma a Berlino est e quindi l’Ucraina è centrale.
Quello che stiamo facendo è semplice, non è difficile da vivere. Era difficile da valutare il bilanciamento del rischio: che peso ha l’abbraccio che andiamo a portare rispetto al peso della vita, la nostra vita che stiamo portando lì? Il nostro è un gesto di prudenza: forse possiamo convincere gli europei a non stare sui social a commentare, ma ad esserci e a non pensare solo all’accoglienza, che è iperstrutturata. Non è imprudente essere qui, ma è imprudente lasciare questa guerra svolgersi da sola, senza la nostra presenza. Noi non ci permetteremo mai di giudicare la resistenza armata di un popolo ma se non c’è visione politica, armare una zona del mondo significa che poi quelle armi restano, non scompaiono. Sappiamo cosa è successo in Irak, in Siria: quelle armi sono rimaste e sono state usate dai terrorismi e dalle mafie.
E’ poco prudente essere a casa a commentare la guerra, è molto più prudente essere qui. Oggi siamo noi, ma se fossimo 550 milioni di europei che hanno la guerra in casa, che cosa succederebbe? Dove sono gli europei? Cosa stanno facendo perché si possa dire “Kiev è una città aperta”, perché noi ora siamo qui? E’ un popolo che rischia l’escalation nucleare. Ma il nostro sarà un gesto di grandissima prudenza per il mondo”.
Fra poco incontreremo i pacifisti ucraini del coordinamento “Act4Ukraine”. Molti di loro sono in contatto con i pacifisti dissidenti russi.
L’obiettivo sarà fare rete, “portarsi a casa, ognuno di noi, una decina di contatti, e cominciare a lavorare”, sogna Marianella Sclavi, accademica, sociologa studiosa della progettazione urbanistica partecipata. Ha pubblicato molto sulle esperienze di rigenerazione urbana nel Bronx e sono state queste dinamiche, oggetto del suo studio, a ispirarla. E’ lei ad aver “teorizzato” questa marcia.
La forte valenza simbolica dell’esserci
Marianella dà dei suggerimenti su come gestire i dialoghi, quando saremo lì:
“Il segreto è semplice da dire”. Quando lo dice sorride con gli occhi e con il corpo.
Ogni volta che stai parlando con una persona che ti interessa, quando questa persona sta sostenendo qualcosa con cui non sei d’accordo, devi essere contento e comunicarlo col corpo. Con il corpo e gli occhi dovete dire: “sei importante per me” e deve essere vero, sennò se ne accorgono. Quando ascolti qualcosa con cui non sei d’accordo, devi dire: “finalmente il mondo è più interessante”. Siccome a me interessa il rapporto umano trasformativo, mi ci butto con entusiasmo e così il risultato è trasformativo sia di me stessa sia del rapporto con gli altri.”.
Poi Marianella Sclavi parla della sua idea sui “corpi civili di pace”.
“Mi sono occupata di rigenerazione urbana nel Bronx, ricorda, e in altre zone, nelle slam. In Yugoslavia si poteva e si doveva intervenire.
C’è un parallelo tra cose molto complesse tra la rigenerazione urbana di un quartiere e le situazioni di crisi. Quindi ho chiesto a vari volontari: vi sfido a dirmi come dovrebbero operare i corpi civili di pace e la risposta è stata “non lo sappiamo”. Mi sono incazzata: sta gente sono 30 anni che parla di corpi civili di pace e quando chiedo operativamente come fare non mi da niente? Allora ho riguardato al Bronx. E’ una proposta per evitare la guerra e non esiste pacifismo se non hai un know how per evitare la guerra: la risposta non è “non usare le armi e non produrle”, ma serve un piano operativo per agire nelle zone di crisi.
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