PETRUZZELLI – “Cenerentola, inquietante fumetto dark”

di Fernando Greco
(Foto di Clarissa Lapolla)

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Fernando Greco



Pubblico abbondante e applausi convinti per tutti a Bari nella serata del 24 giugno, quando è approdato sul palcoscenico del Petruzzelli il singolare e discusso allestimento de “La Cenerentola” di Gioachino Rossini (1792 – 1868) creato dalla celebre regista Emma Dante nel 2016 per l’Opera di Roma.

LA CHIAVETTA NELLA SCHIENA

Al pari del più popolare “Barbiere di Siviglia”, “La Cenerentola” rappresenta la massima espressione del genio rossiniano nonchè del teatro musicale di tutti i tempi. L’intelligente messa in scena di Emma Dante, ripresa a Bari da Federico Gagliardi, parte dal tangibile realismo della Cenerentola rossiniana il cui libretto, pur attingendo a piene mani dall’omonima fiaba di Perrault, perde la componente favolistica per acquisire la concretezza di una commedia borghese. Pertanto “quella vernice leggera di volgarità che è necessaria”, per dirla con Stendhal, dà modo alla regista di evidenziare la violenza psicofisica subita dalla protagonista, maltrattata e picchiata dai componenti di una famiglia che le è stata imposta e che non le risparmia momenti di profonda solitudine. E che brutti scherzi gioca la solitudine! Si finisce per farsi compagnia da soli, parlando con sè stessi mentre si immagina di confrontarsi con un fittizio alter-ego. Se la Cenerentola di Disney aveva la compagnia di uccellini e topolini, nell’allestimento di Emma Dante ella è circondata da ben cinque sosia (bravissimi i mimi presenti in scena su movimenti coreografici di Manuela Lo Sicco), cinque automi con carica a molla che amplificano le azioni della protagonista e ne delimitano il confine di sicurezza, una personalissima e benefica bolla che la protegge dal contatto con patrigno e sorellastre, personaggi negativi che le vogliono male e la considerano soltanto una sguattera estranea alla famiglia. Allo stesso modo altri cinque automi replicano il principe Ramiro, rappresentando l’infelicità e la solitudine interiore di un uomo costretto a sposarsi soltanto dalla ragion di stato, come spiega la stessa regista: “Per tutto lo spettacolo racconto di un mondo meccanico che circonda Cenerentola. Le metto accanto delle bambole meccaniche con una chiavetta nella schiena, come dei carillon, che lei carica in modo che si animino e la aiutino non solo nei lavori domestici, ma anche a superare la solitudine. Si dimostrano le uniche creature buone che le stiano accanto, che le facciano compagnia. Anche il Principe avrà un suo seguito di bamboli vestiti come lui, come se i personaggi buoni non avessero la possibilità di dialogare, di comunicare con il resto del mondo che invece è cieco e sordo, perfido e cattivo. Per cui questi due personaggi, che sono gli unici buoni di tutta l’opera, sono circondati da animelle meccaniche che li accompagnano nel loro viaggio verso l’amore”.

Un buon matrimonio è ancora visto dalla società come la più alta gratificazione a cui una persona possa aspirare, soprattutto se donna, e la regista sottolinea ciò facendo presentare al ballo del principe tutte le pretendenti già vestite in abito da sposa, già pronte al matrimonio dei loro sogni che verranno puntualmente infranti alla comparsa della dama incognita, e perciò esse finiranno per suicidarsi una dopo l’altra. Al termine dell’opera, patrigno è sorellastre subiranno il giusto contrappasso, ricevendo anch’essi una chiavetta nella schiena, che “è un po’ una punizione – secondo la visione della regista – pur essendo allo stesso tempo un modo per farli diventare buoni. La chiavetta è infatti un emblema di bontà, di ascolto, di amore, di capacità di innamorarsi, ma è anche una punizione poichè è evidente che, in quanto figura meccanica, a un certo punto ti scarichi. E se non c’è qualcuno che ti ricarica sei finito”. Il tutto, nelle scene di Carmine Maringola e nei costumi di Vanessa Sannino, ha le tinte acide di un inquietante fumetto dark, ispirato esplicitamente al Pop Surrealism di Ray Caesar.

IL CAST

La bacchetta di Francesco Quattrocchi a capo dell’Orchestra del Petruzzelli ha accentuato i momenti di particolare trasporto emotivo, come la canzone iniziale “Una volta c’era un re” o il duetto “Un soave nonsoché”, attraverso tempi particolarmente dilatati, che invece nei concertati subivano un’ accelerazione talora eccessiva rispetto al canto, con risultante scollamento fra voci e orchestra.

Di ritorno a Bari dopo essere stata un’elegante Isabella ne “L’Italiana in Algeri” del 2012, Chiara Amarù nei panni di Cenerentola ha confermato le sue imbattibili doti di mezzosoprano rossiniano. Timbro di velluto e ipnotico legato hanno commosso l’ascoltatore fin dal suo ingresso in scena, mentre agilità altrettanto formidabili hanno scatenato l’applauso nel rondò finale, realizzando in maniera esemplare la descrizione del personaggio fatta dallo scrittore Alessandro Baricco, per il quale la protagonista è sempre credibile nel suo realismo fin dal primo apparire in scena, quando il contrasto tra il suo canto dolente e ciò che la circonda la fa sembrare “l’unica persona umana inserita in un cartone animato”. Il finale riconoscimento tra i due innamorati segnerà per la ragazza “la vertigine della felicità”, resa in maniera squisitamente belcantistica dalle colorature del rondò conclusivo.

Molto gradevole il tenore russo Pavel Kolgatin nel ruolo di Don Ramiro grazie a un adeguato phisique-du-role associato a bel timbro lirico-leggero particolarmente duttile nelle agilità, talora con qualche forzatura nelle note acute.

La grande esperienza del baritono Christian Senn in ambito belcantistico gli ha permesso di realizzare un Dandini sempre adeguato, dalla comicità mai sopra le righe e dalla pregevole linea di canto.

Nonostante la giovane età, il basso Davide Giangregorio si è disimpegnato con onore nei panni di Alidoro, interpretando con notevole autorevolezza scenica e suadente timbro vocale colui che è il vero deus-ex-machina della vicenda, al quale è affidata quella che sarebbe diventata la scena più importante scritta da Rossini per voce di basso, ossia “Là del ciel nell’arcano profondo” con cui l’interprete ha ottenuto l’applauso a scena aperta nella serata inaugurale.. 

Il versante grottesco del racconto, sottolineato in maniera ancor più efficace dalla regia di Emma Dante, è prerogativa di patrigno e sorellastre, figure che appaiono più grottesche che comiche tout court a causa della loro insopportabile malvagità, sebbene Rossini riservi al patrigno le pagine più buffe della partitura, qui interpretate con rilevanza drammaturgica e voce baldanzosa dal baritono Pablo Ruiz, il cui aspetto non particolarmente anziano non ha impedito la perfetta identificazione con il personaggio di Don Magnifico. Irresistibili le due sorellastre Clorinda e Tisbe grazie al singolare affiatamento e alla comicità vulcanica di entrambe le interpreti ovvero Michela Guarrera, soprano di riguardevole vocalità, e di Antonella Colaianni, mezzosoprano dal timbro potente e vellutato.

Il Coro del Petruzzelli, istruito da Fabrizio Cassi, come sempre ha dimostrato impeccabile perizia vocale associata a singolare vis scenica.        

La stagione lirica del Petruzzelli proseguirà a settembre con “Roméo et Juliette” di Charles Gounod. Ulteriori informazioni sul sito www.fondazionepetruzzelli.it.

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