di Marilù Mastrogiovanni
Sono appena tornata da Roma, dove, presso l’ambasciata brasiliana, ho parlato dinanzi ad una platea di procuratori e giudici di vari paesi sudamericani.
Un seminario organizzato dalla sezione “Libertà di stampa” di Unesco.
Unesco e i magistrati (inquirenti e giudicanti) volevano sapere dalla viva voce dei giornalisti investigativi stritolati dal cappio delle querele temerarie, se e come il rapporto tra stampa e magistratura possa essere proficuo e di reciproco rispetto del ruolo differente, ma necessario e vitale di entrambi, nel garantire gli equilibri democratici in uno Stato liberale.
Con me, altri tre colleghi dal Canada, dalla. . .
Dovrebbe essere il Magistrato, se capace, onesto e non colluso, ad archiviare le querele per diffamazione quando esse sono palesemente pretestuose ed intentate per mettere a tacere ed intimidire quei rari giornalisti che pubblicano inchieste documentate sulle corruzioni e sui malaffari cosi diffusi in Italia.
E’ dunque la Magistratura che spesso si fa complice rinviando a giudizio chi pubblica il vero documentato, ma fastidioso ai potentati locali.
Parlo per esperienza diretta e personale per quel che mi è toccato in Molise dove la stessa Procura che più volte aveva rinviato a giudizio per reati corruttivi gli stessi compari, ha poi rinviato a giudizio, su querela per diffamazione, chi quegli stessi fatti e personaggi rendeva pubblici e sulla base degli atti processuali e dei documenti acquisiti.
Io, che sono nato con la Costituzione, vedo che in Italia, mentre la corruzione galoppa, l’ Artico 11 di essa molto zoppica.