Inizia la chiama del sesto giorno.
Io correggo gli elaborati dei miei studenti del corso di laurea Scopsi di Uniba.
Devono immaginare un piano di comunicazione di un evento immaginario legato alla politica alla cultura, alle imprese. Devono scrivere anche il comunicato stampa e il piano di storytelling social.
Immaginano cose bellissime: aziende in rete per l’ambiente, concorsi canori, feste che riscoprono tradizioni millenarie dimenticare.
I ragazzi e le ragazze sognano, ci credono.
A Roma, a Torino, a Milano, altri ragazzi e ragazze, scendono per strada.
Anche loro sognano.
Sognano una scuola che non li mandi al massacro. Che non li faccia morire schiacciati da una putrella. Sognano una scuola che non li costringa ad essere umiliati e sfruttati a 16, 17, 18 anni.
Sognano una scuola che non sia complice di un sistema malato, cannibale, che mangia la sua carne migliore.
Quei ragazzi sono stati bastonati dalla polizia: teste spaccate, sangue grondante sui visi imberbi e pallidi, con le guance morbide di una fanciullezza ancora dietro l’angolo, ragazzi e ragazze di 15 anni, 16, 17, 18 sono stati picchiati violentemente perché sognavano e sognando, protestavano.
Non lo so voi ma io mi sento disperata. Un’altra Diaz.
Che padre è quello che alza il manganello su suo figlio quindicenne?
I comunicati delle Questure dicono che non erano cortei autorizzati. Come quello ben riuscito dell’assalto di Forza nuova alla sede di Cgil.
Che Paese è quello che fa manganellare gli adolescenti che protestano per un loro compagno morto schiacciato durante l’alternanza scuola-lavoro ma poi consente a Forza nuova e alle sue bestie di assaltare e devastare la sede della CGIL, senza opporre resistenza?
Mentre i rappresentanti riuniti per il più solenne dei riti della nostra Repubblica scrivono sulle schede nomi di porno star, fuori per strada i ragazzi fanno politica, quella vera, e gli insegnano fin da subito a colpi di manganello che quella roba lì, la politica vera, non s’ha da fare.
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