di Fernando Greco
(Foto di Clarissa Lapolla)

In un teatro finalmente fruibile in ogni ordine di posti, il pubblico del Petruzzelli ha tributato applausi convinti e commossi al “Nabucco” di Giuseppe Verdi (20 ottobre), opera la cui comparsa in palcoscenico ha assunto particolare valore simbolico all’indomani delle restrizioni causate dalla pandemia.
Un grido di dolore
Se è vero che il teatro sublima le nostre umane fragilità, il “Va’ pensiero” intonato dal Coro del Petruzzelli durante la prima del “Nabucco” non è stato soltanto il canto degli ebrei fatti schiavi in Babilonia: come l’afflato corale di un popolo privato della libertà divenne simbolo del Risorgimento italiano in quel lontano 9 marzo 1842, data del debutto dell’opera, così dopo quasi centottant’ anni il “Va’ pensiero” barese è diventato il doloroso lamento di ogni spettatore dinanzi al senso di smarrimento indotto dalla recente emergenza sanitaria. “Arpa d’or dei fatidici vati, perchè muta dal salice pendi?” è divenuto dunque il grido di dolore di ognuno di noi sopravvissuti al lockdown, ma troppo lungamente annichiliti in ogni volontà di muoverci, di lavorare, di vivere. E così l’emozione da parte del pubblico si è fatta sempre più palpabile man mano che si è percepita la totale identificazione in quei coristi con il volto coperto da mascherine di protezione, obbligatorie anche per gli spettatori, fino all’applauso liberatorio. Un applauso rivolto in primis all’Orchestra del Petruzzelli diretta da Renato Palumbo, che ha trovato per il “Va’ pensiero” sonorità di insolita mestizia in contrasto con i momenti di più infuocata baldanza. L’intelligente bacchetta di Palumbo ha sempre dato il giusto peso a tutta la partitura, dai momenti più accesi a quelli più evanescenti come l’aria del basso “Tu sul labbro de’ veggenti” contrappuntata da una raffinata trama strumentale ordita dai violoncelli, senza mai sovrastare la linea di canto. Il Coro del Petruzzelli istruito da Fabrizio Cassi si è rivelato il principale protagonista dell’opera, sempre in perfetto accordo con le intenzioni del direttore.
L’allestimento
La regia di Leo Muscato ha avuto i suoi punti forti nel sapiente uso delle pareti e nella credibilità della recitazione. L’allestimento, realizzato per il Teatro Lirico di Cagliari e ripreso a Bari da Alessandra De Santis, si avvale di spazi scenici solitamente cupi e scuri soprattutto quando si riferisce al popolo ebreo. Nel primo quadro, la stanza di pietra grezza in cui si nascondono ha l’aspetto di una catacomba, un rifugio sotterraneo che ricorda più le persecuzioni protocristiane che il tempio di Gerusalemme, complici le scene create da Tiziano Santi: all’irrompere degli assiri, il fondale si lacera lasciando scorgere gli invasori e le fiamme della distruzione. Anche la prigione di Nabucco si presenta come un ambiente claustrofobico senza alcuna via di uscita, salvo poi l’aprirsi delle pareti nel momento della conversione. Un pesante pilastro incombe sul trono di Nabucco, con una crepa centrale in cui si svilupperà il fulmine che colpirà il sovrano alla fine del secondo quadro, complice il disegno luci di Alessandro Verazzi. Molto suggestivo il momento in cui Zaccaria canta “Tu sul labbro de’ veggenti” mentre sul fondale buio si apre un riquadro che mostra il battesimo di Fenena a mo’ di un bassorilievo di Assurbanipal. I costumi disegnati da Silvia Aymonino riprendono in maniera efficace le tradizionali fattezze mediorientali “che conservano ancora oggi lo stesso carattere che avevano 2500 anni fa”, come precisato dallo stesso regista nel programma di sala, sebbene l’utilizzo di archi, frecce, spade e corazze configuri l’epoca dello svolgimento della vicenda.
Il realismo di Nabucco
“…Nel sovrano sconvolto dalla pazzia, dai fantasmi dell’ira celeste, si fa strada una povera umanità smarrita e piangente: allora la musica si fa calda e affettuosa, si gonfia di tenerezza in una melodia singhiozzante, tale da far già presentire il pianto di Rigoletto sul disonore della figlia. Metteremo perciò Nabucco all’origine di una lunga galleria verdiana di padri infelici e commossi…”. La storica descrizione fornita dal musicologo Massimo Mila si è concretizzata appieno nell’ interpretazione di George Petean che, al suo debutto nel teatro barese, ha regalato una performance memorabile. Assodata l’autorevolezza di una voce intatta e di un canto luminoso su tutta l’estensione, il baritono rumeno nei panni di Nabucco ha ipnotizzato lo spettatore per una vis scenica soggiogante al servizio di una completa identificazione con il sovrano assiro che, colpito dal fulmine divino come da un ictus cerebrale, si è mostrato realisticamente emiparetico, in sintonia con le intenzioni del regista. Commuove fino alle lacrime la sua scena madre all’inizio del quarto quadro: il pubblico è reso perfettamente partecipe dell’evoluzione psico-fisica del personaggio che parte dalle convulsioni, dalla zoppia dovuta alla paralisi della parte destra del corpo, dall’instabilità mentale e, attraverso la preghiera, giunge al miracoloso recupero del corpo e della mente.
L’intimo tormento di Abigaille è stato reso magistralmente dal soprano Maria José Siri, di ritorno a Bari dopo la singola rappresentazione di “Adriana Lecouvreur” che precedette il primo lockdown. La celebre cantante ha delineato in maniera credibile la protagonista femminile dell’opera, evidenziandone l’arcigno cinismo con sontuose impennate vocali ben differenziate dal morbido lirismo con cui, soprattutto nel terzetto iniziale e nell’ultimo quadro, ha fatto emergere il cuore infranto di una donna profondamente frustrata nel suo desiderio d’amore e nella sua ambizione sociale.
Il basso Riccardo Zanellato si è imposto ancora una volta quale interprete di riferimento del rodato personaggio di Zaccaria: l’imponente presenza scenica e il timbro sempre accattivante e autorevole hanno trasmesso intatta la monolitica fede del profeta ebreo, esatto contraltare rispetto all’ondivaga psicologia dei protagonisti assiri e anche all’avvilimento della massa corale. Inoltre una duttilità vocale di estrazione belcantistica gli ha permesso di risolvere senza problemi la cabaletta del primo atto, il cui da capo con variazioni si sarebbe forse giovato di tempi un po’ meno veloci da parte dell’orchestra.
Premesso che in quest’opera “… Il contrasto fondamentale dell’azione non è tanto di passioni e d’individui, quanto di popoli e di fedi” (Mila), il sofferto amore tra l’ebreo Ismaele e l’assira Fenena si riduce a poco più di un’appendice da comprimariato. Nondimeno deliziosa si è rivelata la coppia formata dal giovane tenore Giulio Pelligra (giunto all’ultimo momento per sostituire l’indisposto Alessandro Liberatore) e dal mezzosoprano Nino Surguladze, che ha offerto al pubblico un delicato e intenso cameo solistico (“Oh, dischiuso è il firmamento”).
Apprezzabile la prestanza fisico-vocale del basso Andrea Comelli nel ruolo di Gran Sacerdote, puntuali gli interventi del tenore Saverio Pugliese e del soprano Marta Calcaterra nei rispettivi panni di Abdallo e di Anna.
Il “Nabucco” verrà replicato fino al 27 ottobre, mentre a novembre la stagione lirica del Petruzzelli proseguirà con “Il gallo d’oro” di Nicolaj Rimskij-Korsakov. Ulteriori informazioni sul sito www.fondazionepetruzzelli.it
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