Referendum cannabis: Governo concede proroga ai Comuni

Intervista all’avv. Andrea Lisi, uno dei massimi esperti nazionali di diritto digitale sull’affaire che ha costretto il Consiglio dei Ministri presieduto da Draghi ad intervenire last minute per scongiurare un’ingiustizia burocratica tutta italiana

di Mario Maffei

Finora l’unico modo per raccogliere le firme per proporre un referendum abrogativo era di allestire dei banchetti nelle città e utilizzare specifici moduli da autenticare. La procedura è descritta in una legge di oltre 50 anni fa e, nel 2019, l’ONU aveva condannato l’Italia per violazioni del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici a causa degli ostacoli alla raccolta delle firme sugli strumenti di democrazia diretta.

Dopo una lunga attesa, anche in Italia, è stato così istituito un sistema di raccolta delle firme in formato digitale che è già in vigore in quasi tutti i paesi dell’Unione europea.

La norma transitoria consente ai comitati promotori del referendum e delle leggi di iniziativa popolari la raccolta delle firme attraverso una piattaforma predisposta da un ente certificatore convenzionato con l’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID). L’identificazione del firmatario avviene tramite SPID o CIE. L’ente effettuerà quindi l’autenticazione e conserva i documenti firmati, effettuando delle verifiche per evitare firme multiple da parte della stessa persona.


Abbiamo intervistato l’avv. Andrea Lisi per una valutazione tecnica sulla vicenda referendaria che oggi è ad una svolta. Preliminarmente gli abbiamo chiesto un giudizio complessivo sul livello di evoluzione tecnologica della pubblica amministrazione italiana.

Pochi lo ricordano, ma dal 2005 il Codice dell’amministrazione digitale (CAD – D. Lgs. n 82/2005) nell’art. 12 che “Le pubbliche amministrazioni favoriscono ogni forma  di  uso delle nuove tecnologie per promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini, anche residenti all’estero, al processo democratico e  per facilitare l’esercizio dei diritti politici e civili sia  individuali che collettivi”. Direi che abbiamo atteso abbastanza anni per consentire un’ovvietà.

Del resto, l’equipollenza tra documenti cartacei e documenti informatici è stata stabilita nella Bassanini bis alla fine degli anni ’90 ed esistono e sono riconosciuti nel nostro ordinamento diverte tipologie di firme elettroniche e di strumenti di identificazione digitale utili per consentire un processo di digitalizzazione in qualsiasi ambito amministrativo. In realtà, ci sarebbe un obbligo a farlo che deriva proprio dal CAD che è normativa primaria nel nostro ordinamento giuridico.

Dobbiamo solo metterli in pratica finalmente questi importanti principi attraverso tali strumenti, seguendo scrupolosamente le regole tecniche (stabilite da AgID) per garantire corretta formazione, diligente gestione e custodia sicura ai dati informatici prodotti. Serve formazione a tutti i livelli e occorre puntare su competenze interdisciplinari.
Purtroppo su questo siamo ancora molto indietro. Il resto è solo tanto storytelling in materia di digitale.


Per firmare la richiesta di referendum per l’eutanasia legale e per la depenalizzazione della coltivazione della cannabis ciascun comitato ha creato una sua piattaforma Raccolta Firme Online, in attesa che, nel 2022, venga realizzata una piattaforma governativa per referendum e leggi di iniziativa popolare. Come giudica queste situazioni di “interregno”?

Il nostro ordinamento prevede da tempo la possibilità di rapportarsi direttamente on line con le PA, avviando istanze e dichiarazione basate su diversi strumenti. Queste piattaforme in cloud mi sembra di capire che prevedano una raccolta  di firme basata sull’art. 65 comma 1 lett. b) del CAD (Codice dell’amministrazione digitale),  nel quale si afferma appunto che le istanze e le dichiarazioni presentate per via telematica alle pubbliche amministrazioni e ai gestori dei servizi pubblici sono valide quando l’istante o il dichiarante è identificato attraverso il sistema pubblico di identità digitale (SPID), la carta di identità elettronica o la carta nazionale dei servizi. Lo sviluppo di queste “nuove” modalità di firma (erroneamente definite “firme digitali” dalla stampa generalista) che si basano proprio su alcune tipologie di autenticazione forte è portato avanti da una società specializzata e si basa su condizioni di utilizzo non particolarmente dettagliate.

La riforma di cui stiamo parlando, in particolare, si poggia sugli artt. 38-43 del Decreto Semplificazioni (DECRETO-LEGGE 31 maggio 2021, n. 77, come coordinato con la legge di conversione 29 luglio 2021, n. 108), i quali prevedono che – accanto ai nuovi poteri di controllo attribuiti ad AgID – siano previste importanti semplificazioni sia in materia di procedimenti elettorali, attraverso la diffusione delle comunicazioni digitali con le PP.AA. e sia appunto per la raccolta di firme digitali e firme elettroniche tramite piattaforma o strumentazione elettronica ai fini degli adempimenti di cui agli articoli 7 e 8 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (necessaria per i referendum).
Tuttavia, la portata della questione è ben più ampia, risiede nei bit stessi, che per loro natura si avvicinano più alla volatilità della parola, piuttosto che alle certezze dello scritto. Verba volant, scripta manent, riletto in chiave digitale, ci permette di comprendere quanto i bit si avvicinino all’oralità nella rappresentazione di fatti, atti o dati giuridicamente rilevanti. Ma se a questi dati vogliamo garantire forza giuridica e farla resistere nel tempo, non è sufficiente focalizzarsi su uno strumento, ma occorre intrecciare strumenti, regole e risorse in un unico sistema di formazione, gestione e conservazione di documenti di natura informatica. Stiamo parlando di strumenti tecnologici che possono risolvere problemi, snellire procedure, processi e procedimenti, sviluppare innovazione, attribuire identità, solo se con efficacia vengono inseriti in corrette strategie organizzative e ovviamente normative.
Il cloud, ad esempio, è senz’altro un’ottima soluzione tecnologica in grado di abbattere costi e ottimizzare risorse. Ma è un contenitore e, quindi, va anche e soprattutto meditato il suo contenuto per costruirlo e proteggerlo in base ai reali rischi che corre. Su questo si sta riflettendo molto poco.

In ogni caso è singolare che occorra affidarsi oggi a varie piattaforme on line sviluppate da privati, (e da verificare nella loro reale sicurezza e affidabilità), in assenza che lo Stato faccia il suo dovere attraverso i suoi organismi tecnici. Su questo ci sarebbe tanto da riflettere.

A leggere in punto di diritto ci sarebbe persino teoricamente la possibilità tecnico-giuridica, purtroppo, per invalidare questa raccolta (e non ne sono per nulla felice), perché queste firme elettroniche potrebbero risultare poco robuste da un’analisi puntuale. Ma a volte si dovrebbe favorire l’innovazione digitale, non complicarla con tecnicismi o puntigliose discussioni giuridiche, soprattutto se è previsto un ulteriore controllo ex post da parte delle amministrazioni pubbliche su quanto è stato raccolto on line. Quindi spero che si vada avanti e basta, magari concedendo una semplice proroga ai fini di sistemare eventuali contestazioni.

Il referendum cannabis (600mila firme raccolte) ha rischiato di essere affossato perché gli Enti locali devono certificare delle firme ottenute tramite Spid. Anche se, per definizione, lo spid è già essere certificato all’origine, la Legge impone ai comuni di verificare che ciascun firmatario non abbia carichi penali pendenti e che comunque disponga del certificato elettorale. La legge prevede che i comuni abbiano a disposizione 48 ore per associare il nome del firmatario alla tessera elettorale. Ed è stata necessaria una proroga del Governo per non mandare all’aria il lavoro del comitato promotore. Qual è il suo giudizio?

Il problema è che la digitalizzazione è in grado di snellire e rendere più efficienti procedure, processi e procedimenti delle PA, automatizzandoli, solo se c’è stata una reingegnerizzazione in chiave digitale. Qui, si è fatta (finalmente) la norma, senza riflettere sull’impatto organizzativo della stessa in una burocrazia amministrativa peraltro piegata da assenze legate al periodo covid.

SPID e CIE sono strumenti sicuri di identità digitale a cui si è affidato il nostro Sistema Paese e permettono l’invio di istanze e autodichiarazioni. Occorreva meditare di più su questo e avviare un iter esemplificativo e automatizzato in caso di loro corretto utilizzo.

Considero la notizia della proroga un’ottima notizia, davvero opportuna. Sarebbe stato profondamente ingiusto e antidemocratico far saltare la consultazione.


Cosa avrebbero potuto rischiare i Comuni inadempienti? 

Il CAD prevede delle sanzioni verso dirigenti inadempienti in materia di digitalizzazioni e controlli da operare a cura di AgID legati all’applicazione della normativa generale e tecnica in materia. Poche sanzioni effettive sono state ad oggi comminate… eppure le inadempienze sono lampanti.

Mi faccia aggiungere, per concludere, che oggi si attendono (da tanto tempo) risposte sostanziali dallo Stato e dalle PA italiane. Abbiamo atteso con pazienza che terminasse il lungo periodo degli slogan in materia di digitalizzazione. Abbiamo strumenti e regole. Applichiamole, senza se e senza ma.


Chi è L’avv. Andrea Lisi

Perfezionato in diritto amministrativo comunitario, si occupa di diritto applicato all’informatica e alla protezione dei dati da circa 20 anni. È coordinatore del Digital&Law Department dello Studio Legale Lisi, Presidente di ANORC Professioni e Segretario Generale della Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione digitale dei documenti (ANORC), Direttore del Master Universitario “I professionisti della digitalizzazione documentale e della privacy”, Università degli Studi Roma Unitelma Sapienza e del MasterCourse Anorc per i Digital Preservation Officer e i Data Protection Officer.

È blogger su argomenti inerenti al diritto dell’informatica e privacy per Huffington Post, Il Fatto Quotidiano e Key4biz.

Andrea Lisi

Leave a Comment