Scu, parla l’aspirante pentito Romano: “Il parcheggio dell’ospedale di Brindisi nelle mani dei clan”

Dossier6/L’ASPIRANTE PENTITO. Le ultime confessioni dell’aspirante pentito Andrea Romano ai giudici della Dda di Lecce: “Rodolfo Monteforte è subentrato nella gestione illecita dei posteggi, prima c’era Diadoro “cacafave” e successivamente il genero Francesco Lazzaro, dapprima affiliato ad Antonio Centonze ma poi si affiliò a mio carico nel tentativo di continuare”. E poi: ”Parte dei proventi arrivavano anche a Francesco Campana”

BRINDISI – Due ore davanti ai pubblici ministeri della Dda di Lecce per svelare nomi e incassi derivanti dalla gestione dei parcheggi davanti all’ospedale Antonio Perrino di Brindisi. La confessione su questa attività, l’aspirante pentito brindisino, Andrea Romano, già condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Cosimo Tedesco il primo novembre 2014, l’ha fatta il 31 marzo scorso dalle 13,07 sino alle 15,15, dopo aver ricostruito alcune tensioni interne al clan di stampo mafioso di cui ha ammesso di essere stato a capo, legate al traffico di droga.

LA GESTIONE DEI PARCHEGGI NELLO SPIAZZO DELL’OSPEDALE DI BRINDISI

La gestione dei posteggi dell’ospedale è stata al centro dell’inchiesta “Old generation”, sulla cosiddetta vecchia guardia della Sacra corona unita, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce che il 25 settembre 2020 portò a 13 arresti. In carcere finirono- tra gli altri, Giovanni Donatiello, alias Cinquelire, in precedenza tornato a essere uomo libero dopo aver scontato in carcere 30 anni per con l’accusa di essere stato il mandante dell’omicidio di Antonio Antonica, avvenuto nel 1989, in una stanza dell’ospedale di Mesagne (Brindisi); la moglie di Francesco Campana, ritenuto il volto storico del clan, Lucia Monteforte e i figli della donna, Marco e Simone Sperti, e il fratello di lei, Rodolfo Monteforte.

E’ dalla figura di Monteforte che Andrea Romano inizia il suo racconto: “Nel corso degli anni 2016/2017, Rodolfo Monteforte è subentrato nella gestione illecita del parcheggio presso l’ospedale Perrino di Brindisi”, si legge nel verbale che non è più secretato. “In precedenza il controllo era esercitato da Diadoro cacafave, ossia Teodoro Ostuni, e successivamente dal genero Francesco Lazzaro, detto Bellu belli, controllo che esercitava attraverso il suoi affiliati tra cui ricordo tale Marco pisci pisci”.

I PROBLEMI NATI TRA ALCUNI DEGLI AFFILIATI LA CLAN MAFIOSO E I PROVENTI DELLA GESTIONE

Romano ha descritto i legami interni al gruppo: “Lazzaro era dapprima affiliato ad Antonio Centonze, successivamente per problemi sorti tra i due, si affiliò a mio carico nel tentativo di continuare la gestione del parcheggio che Centonze era intenzionato a togliergli e soprattutto per poter compiere un’azione di sangue in danno dello stesso Centonze con cui ormai i rapporti si erano interrotti”.

“Inizialmente lasciai a Lazzaro la gestione del parcheggio, ma dopo che fui portato a conoscenza dei dissidi forti con Centonze, lo parcheggiai nel senso che non poteva più vantarsi della copertura del nostro clan”, ha detto Romano. “In tale contesto, considerato che parte dei proventi derivanti da tale gestione arrivavano anche a Francesco Campana e a Rodolfo Monteforte, quest’ultimo colse l’occasione per avanzare richiesta di assumere egli stesso la gestione diretta del parcheggio, cosa che effettivamente avvenne con il io consenso”.

Nel passaggio successivo, la descrizione del contesto di quegli anni: “In quel periodo -si legge – Monteforte era detenuto, quindi facevano i suoi interessi la moglie Alessandra Di Lauro e il figlio Giuseppe Monteforte, servendosi di alcuni affiliati che stazionavano stabilmente nell’area a parcheggio”. Di Lauro è stata condannata a 10 anni e otto mesi di reclusione, mentre il marito a 18 anni, con le accuse di associazione mafiose ed estorsione aggravata nel processo scaturito dall’inchiesta “Old generation”.

LO STAZIONAMENTO DEGLI AFFILIATI NELL’AREA PARCHEGGIO E IL PAGAMENTO DEL TICKET ABUSIVO

Il fatto che ci fossero affiliati al clan che stazionassero “garantiva – secondo Romano – che nessun danno veniva fatto alle vetture in sosta, in cambio della corresponsione da parte dei proprietari dei mezzi di una somma che si aggirava intorno a uno-due euro”. Questo era il prezzo del ticket abusivo chiesto a chi parcheggiava l’auto per andare in ospedale.

“Considerato che trattasi di una vasta area di parcheggio di un ospedale, la somma rinveniente a fine giornata risultava particolarmente consistente”, ha sottolineato il collaboratore brindisino. “Alessandra Di Lauro e Giuseppe Monteforte avevano la gestione completa del parcheggio, nel senso che indicavano l persone addette alla vigilanza e alla riscossione delle somme che puntualmente dovevano essere consegnate agli stessi”.

Quanto, infine, alla divisione degli incassi, Romano ha precisato: “Parte di questi introiti venivano destinati da Di Lauro agli affiliati di Monteforte in caso di necessità, poiché era lei a tenere la cassa di tutte le somme rinvenienti dalle attività illecite del gruppo, dal traffico degli stupefacenti, alle estorsioni, ai furti negli appartamenti, alle rapine. In sostanza era Di Lauro che, in assenza del marito, manteneva la gestione dell’intero clan, sia dando esecuzione alle disposizioni del marito, sia agendo di propria iniziativa ogni volta che ve ne era necessità”.

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