Bari, clan Palermiti, operazione Astra, traffico e spaccio di droga per un milione di euro: 35 arresti

Determinanti le dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia: Domenico Milella affiliato al clan di stampo mafioso Palermiti da quando era minorenne, Emanuel Petroni e Vito Antonio Tarullo. L’inchiesta della Dda chiamata Astra è partita dalla richiesta di aiuto ai carabinieri presentata dalla sorella di una tossicodipendente. Documentati 25mila episodi di consegna dello stupefacente: centrale gestita da alcuni componenti della famiglia Martiradonna e realizzata nelle palazzine di via Caldarola, nel rione Japigia. Succursale a Mola. Cinque indagati sono rimasti a piede libero

di Stefania De Cristofaro

BARI – Iniziano a cadere uno dopo l’altro, i segreti del clan di stampo mafioso Palermiti di Bari, attivo nel traffico della droga con un business che, stando alle stime degli investigatori, raggiunge un milione di euro. Si sgretolano per effetto delle dichiarazioni rese ai pm dell’Antimafia dall’ultimo (in ordine di tempo) collaboratore di giustizia, Domenico Milella, aspirante pentito dal 20 febbraio 2020: ha ammesso di essere stato per anni un “imprenditore della droga” e quelle dichiarazioni, assieme alle indagini dei carabinieri hanno portato a 35 arresti per traffico e spaccio di sostanze stupefacenti e per detenzioni di armi, spesso sotterrate in zone di campagna.

L’INCHIESTA ASTRA DELLA DIREZIONE DISTRETTUALE ANTIMAFIA DI BARI

L’ultima inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Bari, si chiama Astra, nome preso in prestito dal modello dell’auto all’interno della quale sono state intercettate diverse conversazioni tra le figure ritenute di primo piano. Cinque indagati sono rimasti a piede libero.

In carcere con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga sono finiti: Giuseppe Martiradonna, 34 anni, detto u Scimmion; Angelo Martiradonna, 26 anni, detto Blott; Emanuele Martiradonna, 24 anni, detto Manuelino; Michele Martiradonna, 29 anni; Andrea Carrassi, 2 anni, detto Mamò; Eugenio Lovergine, 37 anni; Giacomo Cassano, 49 anni; Michele Abbaticchio, 24 anni, detto Auine; Vito Ivan Bottalico, detto Fusc – Fusc; Michele Bellantuono, 26 anni, detto Michi; Giovanni Genco, 26 anni, detto Cebab; Alessandro Nicola Vaccarelli, 30 anni, detto Vaccarid.

L’accusa di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti è stata mossa nei confronti di: Filippo Mariradonna, 56 anni, detto u Scimmion; Nicola Cassano, 23 anni, detto Pappon; Aldo Axhenti, 36 anni; Simone Schingaro, 55 anni, detto Pinuccio u Sghin; Edoardo Caizzi, 47 anni; Giulio Abbaticchio, 43 anni; Renato Pepe, 38 anni; Vito Belviso, 46 anni; Matteo Bellantuono, 32 anni; Gianvito Comes, 30 anni; Massimiliano Soloperto, 47 anni; Nicola Botta, 38 anni; Paolo Lovreglio, 39 anni; Nicola Ciliberti, 40 anni; Tommaso Di Palma, 39 anni; Mauro Balacco, 52 anni; Michele Cirulli, 41 annii; Alessandro De Zio, 39 anni; Alessandro Di Cillo, 38 anni; Francesco Vessio, 45 anni; Francesco Loprino, 58 anni; Ciro Esposito, 44 anni e Gianmarco Florio, 41 anni.

L’INIZIO DELLE INDAGINI: LA RICHIESTA DI AIUTO DELLA SORELLA DI UNA TOSSICODIPENDENTE

L’input alle indagini arriva il 14 ottobre 2016, giorno in cui una donna di Bari si reca negli uffici della stazione dei carabinieri della città per chiedere aiuto. Aiuto nel disperato tentativo di salvare dal vortice della droga e della cocaina in particolare, sua sorella. Firma un esposto e racconta che la sorella, un’impiegata a tempo indeterminato, dilapidava da circa un decennio, stipendio e risorse economiche della famiglia.

La denuncia finisce assieme alle decine e decine che pervengono in Procura, la legge un sostituto procuratore che capisce che gli orizzonti sono ampi. Che dietro lo spaccio c’è altro.

LA PIAZZA DI SPACCIO TRA LE PALAZZINE A ELLE DEL RIONE JAPIGIA E LA SUCCURSALE A MOLA

Vengono autorizzate una serie di intercettazioni telefoniche, emergono le prime figure e i carabinieri scoprono l’esistenza di una piazza dello spaccio nel rione Japigia, nella zona delle palazzine in via Caldarola, note come “Elle”.

L’ascolto delle conversazioni, sia in ambientale che al telefono, fanno venire a galla l’attività posta in essere da alcuni componenti della famiglia Martiradonna. Si parla di “cosa”, di “lei”, qualche volta di “birre”, altre di “Biancaneve” altre ancora di “pittura” soprattutto per fare riferimento alla cocaina. Per riferirsi all’hashish, invece, parole come campo di calcetto o nomi di uomini,come Bruno o Francesco. Il denaro, invece, diventava “documenti” e nel caso in cui fosse stato necessario assaggiare la droga per assicurarsi della qualità, si parlava di “fotografie”. Per la quantità, il riferimento era al tempo: “minuti”. Infine, per spiegare che non c’era disponibilità di droga, si prendeva in prestito l’espressione “a piedi”.

Giro d’affari importante, sostengono gli investigatori nelle informative di reato trasmesse per competenza alla Dda di Bari, al punto da avviare una succursale a Mola di Bari.

DROGA E ARMI SOTTO TERRA: TROVATA ANCHE UNA MITRAGLIETTA SKORPION

Nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dalla gip del Tribunale di Bari, Anna Perrelli, in 855 pagine sono ricostruiti oltre 25mila episodi di cessione al dettaglio che, assieme al valore della droga sequestrato, portano a stimare il business complessivo in oltre un milione di euro. Emblematico è il sequestro avvenuto nell’ottobre 2017, a Mola di Bari, quando i carabinieri raggiungono una proprietà dei due fratelli Bellantuono e li sorprendono a sotterrare la droga.

Quel giorno vengono sequestrati 30 chili di hashish, 2 chili di marijuana e 78 grammi di cocaina, più 10mila euro in contanti, una mitraglietta Skorpion con relativo munizionamento calibro 7.65 e 2 pistole giocattolo prive del tappo rosso.

LE DICHIARAZIONI DEI COLLABORATORI DI GIUSTIZIA: TRE ASPIRANTI PENTITI BARESI

“Un notevole apporto alla ricostruzione dell’impianto accusatorio è stato fornito dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Emanuel Petroni, Vito Antonio Tarullo e Domenico Milella”, scrive la gip. “In particolare per la struttura del sodalizio, l’organigramma dello stesso e la tipologia di droga oggetto dei traffici”.

Milella, 41 anni, detto “U’gnor” era affiliato al clan Palermiti con il grado di settima e ha ammesso di essere stato ai vertici del gruppo mafioso dal 2002, stando a quanto si legge negli stralci dei verbali riportati nell’ordinanza di custodia. Affiliato da quando era minorenne. Il primo verbale a sua firma è del 4 febbraio dello scorso anno.

E’ lo stesso collaboratore che ha riferito di provvedimenti di scarcerazioni facili, per mano dell’ex gip del tribunale di Bari, Giuseppe De Benedicits, arrestato dai carabinieri il 24 aprile scorso, con l’accusa di corruzione in atti giudiziari.

Secondo la gip Perrelli “proprio in considerazione della sua militanza”, quelle dichiarazioni “appaiono altamente attendibili e risultano riscontrate dagli esiti delle indagini operate in questo e in altri procedimenti penali”.

Milella ha illustrato “con dovizia di particolari le guerre e le dinamiche criminali degli ultimi anni di cui è stato, in ragione del proprio vissuto delinquenziale, testimone diretto”. Non solo. “Si è anche auto accusato di gravi delitti, tra i quali un omicidio per il quale non era stata chiesta alcuna misura cautelare nei suoi confronti”. Quale sia il fatto di sangue, al momento, non è dato saperlo. Certo è che quel velo di protezione sulle attività del clan in atto non solo a Bari nella zona Japiga, “ma anche nell’intera regione”, è caduto per mano di Milella. “Il clan di appartenenza, in ragione della riconosciuta disponibilità di cocaina di buona qualità e a un buon prezzo, ha sempre costituito un punto di riferimento per la maggior parte dei sodalizi criminali della regione”.

Milella – scrive la gip – “era impegnato professionalmente e imprenditorialmente nel commercio delle sostanze stupefacenti, per cui conoscere il profitto era fondamentale per determinare di volta in volta il prezzo da richiedere per la droga ceduta”. E ancora: “Nelle dinamiche criminali non si può mentire a un capo mafia, tanto più se appartiene a un notorio e spietato clan mafioso, quale quello Palermiti-Milella”. Il collaboratore, quindi, rappresenta una fonte privilegiata di conoscenza.

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