Arsenale in masseria di Andria: arresto per ex gip Bari e caporal maggiore esercito

Nuova accusa per Giuseppe De Benedictis, 59 anni, ristretto a Lecce con l’accusa di corruzione in atti giudiziari dal 24 aprile scorso. Ordinanza di custodia anche per il militare Antonio Serafino, 43, incensurato. Al telefono parlavano di un pozzo. Indagato il proprietario dell’immobile, Antonio Tannoia, imprenditore agricolo, 55 anni, arrestato all’indomani della scoperta delle armi

di Stefania De Cristofaro

BARI – Più di 200 fucili, bombe a mano, una mina anticarro, centomila munizioni. Un arsenale da guerra nascosto nella dependance di una masseria: è stato scoperto dagli agenti della Mobile alla fine dello scorso mese di aprile e messo in relazione con l’ex gip del Tribunale di Bari, Giuseppe De Benedictis, 59 anni, già in carcere con l’accusa di corruzione in atti giudiziari, nell’inchiesta sulle scarcerazioni anche di indagati per mafia. De Benedicits è indagato per traffico di armi ed esplosivi, accusa mossa dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce che ha chiesto e ottenuto il suo arresto. Arresto bis dopo quello eseguito il 24 aprile scorso e che domani sarà al vaglio del tribunale del Riesame.

L’ARSENALE TROVATO NELLA MASSERIA DI ANDRIA

L’ordinanza di custodia cautelare è stata notificata a De Benedictis in carcere nel pomeriggio di oggi dagli agenti della Squadra Mobile di Bari. Custodia, con identica accusa, per il caporal maggiore dell’esercito italiano, Antonio Serafino, 46 anni, incensurato. La detenzione di armi ed esplosivi è stata contestata al proprietario dell’immobile, l’imprenditore agricolo Antonio Tammoia, 55 anni,di Andria, arrestato all’indomani della scoperta dell’arsenale. Gli indagati, al momento sono tre.

Sotto sequestro sono finiti più di 200 pezzi tra fucili mitragliatori, fucili a pompa, mitragliette comunemente usate dalla criminalità organizzata in agguati armati tra cui ci sono 2 Kalashnikov, 2 fucili d’assalto AR15, 6 mitragliatrici pesanti Beretta MG 42, 10 MAB, 3 mitragliette UZI. E ancora armi antiche e storiche, pistole di vario tipo e marca, esplosivi, bombe a mano ed una mina anticarro, oltre a circa 100mila munizioni di vario calibro.

L’INIZIO DELLE INDAGINI DELLA DDA

Le indagini sono partite a novembre 2020 e sono state coordinate dal pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia di Bari. Il primo nome a venire a galla è stato quello del caporal maggiore scelto dell’Esercito italiano. Nella ricostruzione dell’accusa è ritenuto “in collegamento con alcuni trafficanti d’armi dell’area metropolitana barese”.

Il secondo nome è stato quello di De Benedictis, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari che si è dimesso il 9 aprile scorso. Quel giorno i carabinieri del Nucleo investigativo di Bari eseguono una perquisizione nella sua abitazione  e trovano mazzette di denaro per 5.500 euro, nell’ambito dell’inchiesta che ruota attorno a provvedimenti firmati da De Benedictis per riconoscere i domiciliari a indagati accusati di essere affiliati o vicini a clan mafiosi di Bari e della Società Foggiana.

In questo troncone sono indagate 12 persone. L’accordo corruttivo è  contestato all’ex gip in concorso con l’avvocato penalista del foro di Bari, Giancarlo Chiarello, finito in carcere lo stesso giorno dell’ex giudice e attualmente ristretto.

LE INTERCETTAZIONI TELEFONICHE E IL POZZO

Le indagini hanno accertato la “frequentazione abituale del caporal maggiore dell’Esercito con il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bari”. Determinanti sono state le intercettazioni: hanno “rivelato che i due, nel corso dei loro incontri, discutevano sovente di armi, di come procacciarsele e di come occultarle una volta ottenute”.

Tenuto conto del coinvolgimento del magistrato, l’indagine è stata trasferita per competenza funzionale alla Procura della Repubblica di Lecce, che ha proseguito gli accertamenti puntando a scoprire dove fossero le armi, quale luogo era stato scelto come nascondiglio.

Al telefono parlavano spesso di “pozzo”. E di pozzo parlava anche una terza persona, l‘imprenditore andriese Antonio Tannoia, proprietario di una masseria in agro di Andria, dove gli agenti della Mobile sono arrivati il 29 aprile, dando esecuzione a un decreto di perquisizione emesso dalla Procura della Repubblica di Lecce allargato a tutte le proprietà del professionista.

L’arsenale è stato trovato in una dependance attigua al corpo principale dell’immobile, in un pozzo sottostante un deposito degli attrezzi, protetto da una pesante botola di ferro e cemento. La botola era nascosta sotto arredi da cucina.

L’imprenditore è stato arrestato in flagranza di reato per detenzione di armi da guerra e comuni da sparo e relativo munizionamento, detenzione di esplosivi e ricettazione.

Sulle armi sono in corso accertamenti balistici e documentali per accertarne la provenienza. Chi le ha fornite? Per quale motivo? A cosa o a chi erano destinate? L’inchiesta, quindi, prosegue anche per accertare l’eventuale coinvolgimento di altre persone.

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