ESCLUSIVO8/Andrea Romano, 35 anni, ha riferito anche la disponibilità di bombe: “Me le consegnò un abitante nel rione Sant’Elia, mentre la custodia era affidata a Tatani Burin”, ha detto alla pm della Dda di Lecce il 13 gennaio scorso. “Servivano per atti intimidatori ai danni di esercizi commerciali e per risolvere contrasti per la droga”. Il brindisino, inoltre, ha consegnato una cartolina ricevuta da un affiliato, condannato in via definitiva per la rapina dal 300mila euro nella gioielleria Follie d’Oro del centro commerciale Ipercoop
BRINDISI – “Avevo bombe C4”. Non solo armi, tra pistole di diverso calibro e mitragliatori Kalashnikov. Il gruppo di stampo mafioso tutto brindisino, guidato da Andrea Romano, 35 anni, aveva la disponibilità anche di esplosivi plastici di tipo militare ad alto potenziale, da azionare con detonatore. Sono stati usati per compiere atti intimidatori ai danni di esercizi commerciali della città di Brindisi, nel caso in cui non andava a buon fine la richiesta di estorsione. E sono stati usati anche per intimidazioni agli stessi affiliati, colpevoli di creare problemi nella gestione dello spaccio di droga.
IL VERBALE DEL 13 GENNAIO: NOMI DI FORNITORI E CUSTODI DEGLI ESPLOSIVI
Anche questi segreti relativi al più giovane clan mafioso, nato nel 2014, è venuto meno. E’ caduto per bocca di Romano, in uno degli interrogatori che il brindisino ha reso davanti alla pm Giovanna Cannalire della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, dopo aver fatto mettere a verbale la decisione di rispondere a qualsiasi domanda e di collaborare con la giustizia.
L’interrogatorio di rilievo è quello del 13 gennaio scorso, quando a Romano è stato chiesto di disegnare la mappa delle affiliazioni a Brindisi città. Il collaboratore ha consegnato il nome di un “soggetto” e ne ha indicato il soprannome, ma generalità e alias non sono ancora leggibili essendo stati coperti da omissis. Il che conferma che sono in corso una serie di accertamenti sul contenuto delle dichiarazioni rilasciate da Andrea Romano, allo scopo di verificarne la veridicità.
GLI OMISSIS IN ALCUNI PASSAGGI DELL’INTERROGATORIO DEL COLLABORATORE
“Omissis, abitante nel rione Sant’Elia, mi consegnò delle bombe C4 nell’anno 2014”, si legge nel testo che risulta allegato agli altri verbali, depositati dal pm della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, in occasione dell’udienza preliminare davanti al gup del tribunale salentino, nella quale Romano è imputato con l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso, a conclusione dell’inchiesta chiamata convenzionalmente Synedrium.
“La custodia di queste bombe – si legge – era affidata a Tatani Burim”.
Il riferimento è a un ragazzo di origine albanese, ma residente a Brindisi, che Romano ha indicato come uno dei suoi affiliati nel capoluogo dai primi interrogatori.
ESPLOSIVI IMPIEGATI PER ATTI INTIMIDATORI E CONTRASTI INTERNI
“Gli esplosivi servivano per eseguire atti intimidatori ai danni di esercizi commerciali, azioni queste di cui si occupava in particolare Alessandro Coffa”. Altro nome rimasto in chiaro, essendo stato indicato sin dall’inizio come affiliato da Andrea Romano e ristretto in carcere per mafia.
“Ricordo in particolare che una bomba è stata utilizzata da Ivano Cannalire per eseguire un attentato ai danni dell’auto di Walter Lo Cocciolo per questioni riguardanti la gestione dello spaccio di droga”.
L’esplosivo, quindi, veniva impiegato anche nel caso di contrasti interni, stando a quanto emerge dalle dichiarazioni messe nero su bianco. “Nell’occasione, l’azione venne seguita da omissis, affiliato di Cannalire”.
LA CARTOLINA RICEVUTA IN CARCERE E CONSEGNATA ALLA PM DELLA DDA
Una settimana più tardi, il 20 gennaio scorso, Romano, sempre assistito dall’avvocato Giancarlo Raco del foro di Lecce, ha consegnato alla pm una “busta da lettera aperta avente come destinatario Andrea Romano e mittente omissis”, con la scritta “mio amatissimo nipotino” e un “TVB (ti voglio bene, ndr) assai”. All’interno, è “presente una cartolina raffigurante da un lato la cittadina di Vieste”, sul Gargano, e “dall’altro uno scritto a firma di tale Angelo”.
“Preciso – si legge – che la busta con la cartolina che vi ho appena consegnato, l’ho ricevuta mentre ero detenuto presso la casa circondariale di Tolmezzo” (in provincia di Udine). “Il mittente della cartolina è Angelo Sinisi il quale, così come specificato nella stessa cartolina, scriveva a nome di omissis, altro mio affiliato, per eludere i controlli”. La motivazione viene spiegata nel passaggio successivo: “Sinisi risulta coinvolto nel mio medesimo procedimento”.
LA RAPINA DA 300MILA EURO NELLA GIOIELLERIA DELL’IPERCOOP DI BRINDISI
Sinisi, brindisino, è detenuto in carcere per scontare la condanna definitiva a sei anni e venti giorni di reclusione per la rapina avvenuta nella gioielleria Follie d’Oro nel centro commerciale Ipercoop di Brindisi, la mattina del 3 dicembre 2014. Bottino di valore pari a 300mila euro. Mai trovato.
A quella data, era stato già ucciso a colpi di pistola Cosimo Tedesco, nell’appartamento di Romano, in una palazzina del rione Sant’Elia di Brindisi: l’omicidio risale al primo novembre 2014, per futili motivi riconducibili a una lite tra alcuni genitori di bambini in occasione della festa di Halloween, avvenuta la sera precedente.
LE INTERCETTAZIONI DOPO L’OMICIDIO TEDESCO E A RABBIA DI ROMANO
A casa di Romano i militari avevano già nascosto le cimici per intercettare conversazioni nell’ambito dell’inchiesta su quel fatto di sangue. Una settimana dopo la rapina, i militari ascoltano il seguente dialogo:
“Compa’ adesso tutta Brindisi lo sa, è un casino, per bocca di due mocciosi. Non devono parlare, è stato un errore fare quella rapina con tutta la questura addosso per quella cosa di Alessandro e Andrea. Vi scannano, non ne sapevano niente e vogliono i soldi per la mancanza di rispetto. Il pensiero bisogna darlo”.
Alessandro è Alessandro Polito, mentre Andrea è Andrea Romano, entrambi condannati in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio Tedesco.
Romano, in quel periodo è ai domiciliari con braccialetto elettronico, quando ha sentore che è su di lui che si stanno concentrando i sospetti per l’omicidio, si dà alla fuga e inizia la latitanza che lo porta in Spagna, sino a raggiungere Barcellona. Resta in fuga per tre mesi, prima di essere arrestato dai carabinieri, in una casa alla periferia di San Vito dei Normanni, il 25 febbraio 2015. E’ in carcere da quel giorno. E al carcere a vita è stato condannato, in via definitiva.
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