”Anch’io ho dei sentimenti”. Le detenute si raccontano sul web.

Detenute, ex-detenute, compagne di detenuti. Le testimonianze di donne che hanno conosciuto l’esperienza del carcere sono al centro di un progetto che, associando le parole alle emozioni, mira a evidenziare sogni e bisogni di chi sconta una pena, a beneficio di un percorso di recupero che deve essere sempre l’obiettivo primario di ogni restrizione.

di Thomas Pistoia

Lo Stato deve perseguire la rieducazione, non la vendetta. E’ un dettato costituzionale, oltre che morale, che da lungo tempo viene ripetuto come un mantra dalle istituzioni e, più in generale, dalla società cosiddetta “sana”. Ma, al netto di fatti di cronaca divenuti tristemente famosi, che ancora non cessano di popolare trasmissioni televisive e tribunali, evidenziando la molta strada che resta da percorrere, il problema fondamentale continua ad essere quello della conoscenza. Quanto conosciamo le persone che vivono l’esperienza carceraria, cosa sappiamo delle loro necessità, dei loro sentimenti, della loro vita quotidiana?

A queste domande ha provato a dare una risposta il seminario online dal titolo “Anch’io ho dei sentimenti – Le donne ex-detenute si raccontano sul web”, che si è svolto mercoledì primo Marzo nell’ambito di “Archiviazioni”, la rassegna di incontri virtuali a cura dell’”Archivio di Genere” (Adg). Il seminario, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della comunicazione, psicologia e formazione dell’Università di Bari (For.Psi.Com) e con il Centro di cultura e documentazione della stessa città, ha avuto come moderatrice e relatrice la Professoressa Rosita Maglie.

La Professoressa Maglie ha introdotto l’argomento illustrando l’attività dell’Archivio di genere (Adg). Si tratta di una delle cinque sezioni da cui è costituita la biblioteca del For.Psi.Com. Si pone l’obiettivo di conservare e condividere il patrimonio documentario relativo alle questioni di genere, riconoscendosi nel pensiero delle donne e mirando a far emergere quei materiali cui la cultura totalizzante occidentale (oppure patriarcale e maschilista?) non dà la giusta importanza.

Rosita Maglie ha fatto esempi pratici del modo in cui l’attività dell’Adg si concretizza nel caso specifico, presentando alcuni volumi concernenti la tematica. Ha poi illustrato il progetto di ricerca sulla realtà carceraria che ha coinvolto il suo dipartimento e ha elencato le attività fin qui intraprese:

Ristretti Orizzonti: una sezione contenente esperienze e racconti vissuti da chi è stato in carcere.

L’Università va in carcere: una sperimentazione che ha visto docenti e studenti frequentare i propri corsi insieme ai detenuti, all’interno delle strutture penitenziarie.

Spazi aperti: un progetto nato a causa del Coronavirus. Uno spazio virtuale nel quale i detenuti condividono i propri pensieri con chi, fuori, non può uscire di casa a causa della pandemia.

Il cortometraggio “Il cielo stellato sopra di me” – progetto “Spazi Aperti” 

– Una delle tappe più importanti si è concretizzata nel panel Carcere, salute mentale e cura delle parole, oltre le sbarre”, tenutosi presso l’ultimo Forum delle Giornaliste del Mediterraneo, ideato e fondato da Marilù Mastrogiovanni, che si svolge ogni anno a novembre (quest’anno sotto forma di webinar a causa dell’emergenza Covid).

Sensibilizzare i giornalisti, farli riflettere sulla necessità deontologica di una resa comunicativa rispettosa e corretta nei confronti dei detenuti, questo è stato il filo conduttore del panel.

– Un altro interessante momento sarà il paper “Women and prison in Italy: Wor(l)ds and (E)motions”, che si svolgerà durante la giornata di studi “Storie di donne in carcere tra sopravvivenza e creazione” presso l’Università di Montréal il 24 e 25 Marzo prossimi.

La Professoressa Maglie è entrata poi nel dettaglio della ricerca “Parole e emozioni”.

Partendo da 678 testi ricavati dalle testimonianze di detenute italiane e straniere, ex-detenute e compagne di detenuti – per un totale di 34.348 lemmi – sono state estrapolate, e analizzate nel contesto, le parole che esprimono le differenti emozioni provate (rabbia, paura, disgusto, gioia, tristezza, ecc.). A ogni emozione è stato assegnato un colore.

Il fiore delle parole e delle emozioni

Tramite uno schema a forma di fiore, alle detenute è stato poi chiesto di associare a una tappa del loro percorso carcerario (entrata – soggiorno – uscita) l’emozione provata e il colore corrispondente.

La ricerca ha evidenziato, ad esempio, delle “linee di concordanza” tra il lemma “tossico” utilizzato nei racconti di donne compagne di detenuti e il dolore causato dal pregiudizio: “per le persone che conosco il mio compagno ha una sola sfaccettatura: è un tossico”. Oppure la speranza disillusa: “come può un uomo reinserirsi nel mondo di fuori, se viene emarginato e visto comunque come uno che è stato dentro perché tossico?”

Le testimonianze dirette di Aurelia, ex-detenuta e Teresa, attualmente ristretta in carcere, hanno confermato le problematiche evidenziate dalla ricerca.

Aurelia, che è stata detenuta per un lasso di tempo maggiore, ha raccontato senza remore la sua esperienza di malasanità carceraria, di piccoli e grandi abusi subiti e ha quindi individuato le emozioni provate nel colore rosso della rabbia. “Posso dire di provare un sentimento di gioia durante i colloqui” ha detto, quando le è stato chiesto di indicare un’emozione positiva “ma in carcere di positivo non c’è nulla, non è un luogo in cui si possano provare emozioni positive. L’unica cosa positiva forse, è che si impara l’importanza della libertà”.

Più serena la testimonianza di Teresa (detenuta da minor tempo), la quale ha esternato anche emozioni positive, sottolineando l’utilità che sta avendo per lei il carcere. La rabbia provata a inizio detenzione è mutata in maggior fiducia nel futuro. Una fiducia che le viene dall’esperienza lavorativa che sta vivendo all’interno della struttura: “nella vita si sbaglia per scelta o per disperazione. In entrambi i casi se ne pagano le conseguenze. Molto dipende da come ti poni. La detenzione può diventare anche speranza nella possibilità di un riscatto. Non dico che sto bene, in carcere non si sta bene. Ma non ho perso la speranza, vedo una luce in fondo al tunnel”.

Entrambe le detenute hanno indicato nel lavoro lo strumento fondamentale in cui trovare questa speranza.

Il seminario si è chiuso con l’intervento del Professor Ignazio Grattagliano, docente di criminologia presso il For.Psi.Com: “stiamo cercando di creare un polo universitario tra Puglia e Basilicata per detenuti” ha detto Grattagliano “Nella nostra società c’è ancora una cattiva percezione del detenuto, che viene emarginato e considerato un elemento di serie B. Il carcere deve essere invece un percorso di cambiamento che consenta il reinserimento. L’investimento nella cultura deve diventare un sistema.”

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