Vite di C’era, un libro sulle risorse dell’empatia e sul suo effetto “nepente”

di Antonio Lupo

Antonio Romano, giovane  infermiere presso l’Ospedale civile di Casarano, è autore del libro intitolato Vite di C’era, Musicaos, 2020. Gli abbiamo rivolto alcune domande.

Nepente, parola di  origini mitologico-letterarie, è il nome dell’infermiere-protagonista, prima regista e poi attore. Che cosa ci può dire a questo proposito ?

Nella mitologia greca il nepente risulta essere un farmaco in grado di lenire le sofferenze e il dolore. Etimologicamente si scompone in due parole: ne (non) e pénthos (dolore o pena), appunto non-dolore. Pochi i passi in cui, il richiamo a tale farmaco, è presente nella letteratura greca. Il più importante si legge all’interno dell’Odissea, quando Elena, dopo la guerra di Troia e il successivo ritorno in Grecia, durante un banchetto nella reggia di Menelao, serve a Telemaco (figlio di Ulisse) e ai suoi ospiti, del vino contenente il nepente, con lo scopo di porre rimedio alla tristezza scaturita dall’assenza di Ulisse.

Nel mio libro Nepente assume proprio questo ruolo: ascolta chi ha bisogno di esprimersi, in modo da lenire il dolore, la tristezza, lo sconforto. Si fa quindi carico di una nobile responsabilità che si riflette su ognuno di noi. Cerca di sbloccare dinamiche mentali cigolanti, innescando un messaggio chiaro e rivolto a tutti: siamo costantemente in balia delle onde del tempo e, proprio per questo, nessuno può fare a meno  di prendersi cura del prossimo. Lo stesso Nepente, durante la stesura del manoscritto, diviene un esempio. Durante il suo percorso, difatti,  rende tangibile e concreto il passaggio improvviso e inaspettato, da ascoltatore a narratore, da regista ad attore, traendone insegnamento .

Tra le mura domestiche, all’interno di una scuola, nel contesto lavorativo, in mezzo ad una strada, in una stanza di degenza, nel pieno della nostra impercettibilità o alla fine della nostra invisibilità… abbiamo l’obbligo di essere e il diritto di ricevere Nepente.

Un libro sul potere lenitivo dell’empatia, sul conforto delle parole nelle diverse situazioni emotive in cui si articola; se la terapia si accompagna al  “raccontare” per “raccontarsi”, si può ottenere  un effetto, che si potrebbe definire “ nepente”. E’ così ?

Effetto Nepente è, in effetti, un concetto che coglie nel segno e che potrebbe essere attuabile solo avendo piena consapevolezza dei nostri mezzi e dei nostri limiti.

Riconoscere lo scorrere del tempo come un tesoro utilizzabile per raccontare ed ascoltare è il primo grande passo.

Siamo pesi della stessa bilancia e solo la nostra mente e i nostri gesti sono in grado di dare un equilibrio alla nostra esistenza.

Comprendere l’altro, attraversando la sua impermeabile corazza; collocare una lente di ingrandimento, focalizzando il bizzarro duello tra impercettibilità e invisibilità (di cui tutti noi siamo parte); far sfogare emozioni, sentimenti, sensazioni; “coscientizzare” sulla transitorietà e repentinità del tempo, valorizzando attimi unici e irripetibili. Essere Nepente nei confronti degli altri e in ogni circostanza della vita,questa la terapia.

Che cosa racconta, in particolare, in questo libro?

Partendo dall’adozione di un approccio metodologico denominato nursing narrativo, racconto le vicende dell’infermiere Nepente che si  ritrova, per motivi terapeutici, ad ascoltare le storie di cinque personaggi affetti da differenti patologie. Un percorso in crescendo che, in principio, lo vede freddo e distaccato ma che, successivamente, durante l’avvicendarsi degli eventi, lo porta di fronte ad una massiccia muraglia eretta da ingarbugliati pensieri ed intense riflessioni. Inconsciamente diventa protagonista e parte integrante dei suoi stessi racconti e soprattutto di una realtà che pensava fosse apparentemente troppo distante da lui. Rapito da un turbinio di sentimenti  e travolto da inaspettate circostanze, ricerca emozioni inespresse e destinate ad essere sepolte dal tempo.

Un gioco instabile e bizzarro tra ricordi passati, scivoloso presente, imprevedibile futuro. Nepente tesse una tela intrecciando emozioni, storie, vissuti. Sicuro regista e ascoltatore ritaglia una dimensione apparentemente estranea a lui che in ogni istante subisce incontrollabili evoluzioni.

Improvvisamente, risucchiato dal suo stesso vortice, si ritrova a ruotare, divenendo attore di una storia che non avrebbe così prematuramente dovuto renderlo protagonista.

Questo il punto cruciale. Nepente che comprende, Nepente che medita, Nepente che risolve, Nepente diverso, ma inspiegabilmente uguale agli altri. Nepente in bilico tra invisibile e impercettibile.

Com’ è nata la sua esperienza di  nursing narrativo e quali sono le  finalità del  lavoro

Il nursing narrativo è un metodo, sviluppatosi alla fine degli anni novanta, che consiste nel prendersi cura del paziente, valutando sia l’aspetto diagnostico che quello psicologico. La persona diviene così un’“unità di senso”, portatore di esperienze, vissuti e proprie emozioni e sensazioni.

Ho avuto modo di conoscere il suddetto metodo presso l’Università degli Studi di Siena. Il modo di operare e di fare didattica e l’attenzione sull’evoluzione e lo sviluppo dell’infermieristica mi ha indirizzato verso un mondo affascinante e fino ad allora praticato in poche realtà. Durante il tirocinio, poi, ho conosciuto il Sig. Luigi (Capitolo 1 – Fermare il tempo) che, con mio grande stupore, ha avuto l’abilità di farmi appassionare a dinamiche comuni, quasi scontate, sulla vita di tutti e soventemente sottovalutate. Spunti di riflessione e sfoghi intensi che mi hanno portato a dare inizio ad uno studio su storie vissute e partecipate dal punto di vista delle emozioni.

Vite di C’era contiene innumerevoli messaggi, interpretazioni e chiavi di lettura.

Uno di questi, ad esempio, è il potere dell’ascolto per lenire sofferenze e dispiaceri facendo esprimere emozioni, sensazioni e sentimenti.

Un’altro fine è quello di sensibilizzare il lettore su ciò che accade, quando un evento improvviso e inaspettato, come una patologia cronica,colpisce la vita di un uomo.

Durante il passaggio da regista ad attore da parte di Nepente pongo l’accento su domande come: quale meccanismo si innesca nella mente del degente? Come potrebbe essere visto dal contesto sociale?

È previsto da parte del SSN, per determinate patologie, un aiuto psicologico? La famiglia riceve adeguate informazioni? Il paziente ha un supporto?

Un ulteriore messaggio avviene inducendo il lettore a riflettere sulla labilità del tempo e sul passaggio da impercettibile ad invisibile.

Infine, credo fermamente che questo libro sia in grado di coinvolgere proprio tutti perché appartiene e si identifica con tutti. Abbraccia indistintamente la vita di ognuno di noi, indipendentemente dalla collocazione geografica, dall’età e dalla professione. Un elogio alla vita vissuta, una riflessione sull’imprevedibilità di  ciò che potrebbe essere.

Il corredo di  immagini e link  musicali rende più originale il testo…

Per immergere interamente il lettore in questa esperienza emozionale mi sono avvalso dell’ausilio di suoni (playlist di Vite di C’era disponibile su Spotify) e immagini (a cura dell’artista Olimpio Maria Concetta). Grazie alla polisensorialità indotta da questi elementi scandisco un ritmo e fornisco  una profondità ai vissuti dei personaggi contestualizzando, nello stesso tempo, lo stato d’animo che mi ha accompagnato durante la scrittura.

One Thought to “Vite di C’era, un libro sulle risorse dell’empatia e sul suo effetto “nepente””

  1. Complimenti Antonio per il vostro libero!

Leave a Comment