Traffico di droga dalla Capitanata al Molise e all’Abruzzo: 16 arresti

Inchiesta dell’Antimafia di Bari: “Alcuni degli indagati contigui all’organizzazione mafiosa nota come Società foggiana”. Incastrati da telecamere e intercettazioni. Ruolo di primo piano contestato a Gianfranco Bruno, alias “Il Primitivo”, cognato di Rodolfo Bruno, già ritenuto cassiere del sodalizio ucciso nel 2018. La droga di qualità elevata chiamata Louis Vuitton

 

Di Stefania De Cristofaro

 

FOGGIA – Lì dove pensava di non essere né visto, né sentito, e di godere di un elevato livello di protezione, è caduto in fallo. Intrappolato nella sua stessa abitazione: incastrato da microtelecamere e cimici nascoste. Gianfranco Bruno, detto “Il Primitivo”, è stato arrestato all’alba dai carabinieri assieme a 15 persone con l’accusa di aver gestito il traffico di droga a Foggia e sul Gargano, tra Peschici e Vieste, zona diventata il feudo del gruppo, ritenuto contiguo all’associazione di stampo mafioso “Società foggiana”. Con mire espansionistiche in Molise e in Abruzzo, per effetto di una serie di ramificazioni.

L’INCHIESTA DELLA DDA DI BARI CHIAMATA ARANEO

L’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata eseguita dai militari del Comando provinciale di Foggia, sotto il coordinamento della Distrettuale Antimafia di Bari. Il blitz è il risultato dell’inchiesta chiamata convenzionalmente “Araneo”, partendo dalla “tela invisibile” che gli investigatori sono riusciti a imbastire attorno al sodalizio per raccogliere una serie di elementi, tra video e intercettazioni, che per il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari sono più che gravi indizi di colpevolezza.

Secondo l’accusa, esisteva un “sistema criminale” con “radici a Foggia e nella provincia, ma avente anche significative proiezioni criminali in Abruzzo e Molise”. Nel provvedimento di custodia è contestata l’associazione per delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti. Associazione che poteva contare anche sulla disponibilità di armi e munizioni, come è stato dimostrato dai sequestri avvenuti durante i mesi di indagine.

L’INIZIO DELLE INDAGINI: L’ESTORSIONE A UN IMPRENDITORE FOGGIANO

“L’inchiesta è partita dalla vicenda estorsiva che ha visto coinvolto un noto imprenditore foggiano”

Hanno spiegato i carabinieri nel corso della conferenza che si è svolta questa mattina via Skype. “Il professionista è stato taglieggiato da alcuni esponenti di spicco della cosiddetta “Società foggiana”, riconducibili alla batteria denominata “Mortetti/Lanza/Pellegrino”.

I riscontri hanno riguardato il periodo di tempo compreso fra il 2016 e il 2019 e hanno portato alla contestazione del reato di tentata estorsione e, al tempo stesso, hanno portato in primo piano l’attività di approvvigionamento e rivendita di sostanze stupefacenti, facendo emergere la figura di Gianfranco Bruno, noto negli ambienti con l’alias Il Primitivo: “ E’ il cognato di Rodolfo Bruno, già ritenuto cassiere della “Società foggiana”, assassinato in un agguato in stile mafioso, a Foggia, nel 2018”, hanno sottolineato i carabinieri.

LA COMPOSIZIONE DEL GRUPPO DAUNO E I RAPPORTI CON I CLAN LOCALI

“Gianfranco Bruno, grazie alla spartizione delle zone di influenza in seno alla “Società Foggiana”, era a capo di un proprio sodalizio con base logistica e operativa a Foggia, e con un “raggio d’azione” che abbracciava l’hinterland dauno”. Del gruppo, stando alla ricostruzione dei pm della Dda di Bari, condivisa dal gip che ha firmato l’ordinanza, facevano parte nomi di spicco della “criminalità foggiana come Giuseppe Albanese, Maurizio Lombardi, Luigi Valletta, Giovanni D’Atri e Maurizio Aprile”.

Il sodalizio guardava oltre i confini della regione Puglia, puntando a espandersi in alcune zone dell’Abruzzo e del Molise, dopo essere riuscito a imporsi sul Gargano e in particolare a Vieste e a Peschici. “Tutto grazie ai rapporti privilegiati intrattenuti con i referenti dei clan locali, tra i quali Pasquale Notarangelo, verosimile vittima di “lupara bianca”, nipote del più noto Angelo Notarangelo, detto “Cintaridd”, assassinato in un agguato in stile mafioso avvenuto, nel 2015, a Vieste”, si legge nella nota stampa diffusa a conclusione della conferenza stampa dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari.

LA BASE LOGISTICA DEL SODALIZIO: L’ABITAZIONE DI GIANFRANCO BRUNO, LE TELECAMERE E LE CIMICI

La base logistica del sodalizio era l’abitazione in cui viveva Gianfranco Bruno:

“Era considerata una sorta di baluardo inespugnabile, alla luce della caratura criminale dello stesso Bruno”.

Qui avvenivano gli incontri finalizzati a pianificare le strategie d’azione, dalla scelta dei fornitori ai canali di consegna della droga per la successiva vendita al dettaglio attraverso la rete dei pusher. Praticamente un covo al quale hanno avuto accesso anche alcuni dei maggiori esponenti delle batterie facenti parte della “Società foggiana”. “Tra questi, Roberto Sinesi, Giuseppe Spiritoso e il figlio Lorenzo” si legge nella nota della Procura. “La presenza è stata cristallizzata grazie alle videoriprese registrate da un fitto sistema di telecamere accuratamente predisposto, nonché dalle intercettazioni ambientali che hanno permesso – a loro volta – di acquisire numerosi elementi di colpevolezza sia per ciò che concerne il traffico degli stupefacenti, sia per ciò che riguarda le strategie criminali”.

LA DISPONIBIILITA’ DI ARMI E I SEQUESTRI DI STUPEFACENTE: LA DROGA DI QUALITA’ ELEVATA CHIAMATA LOUIS VUITTON

Nel provvedimento di arresto, il gip ha contestato anche la disponibilità di armi e munizioni. I carabinieri hanno, infatti, sequestrato nel corso delle indagini una pistola modificata, calibro 6.35, marca BBM modello 315, priva di matricola, completa di caricatore e 14 cartucce dello stesso calibro; 100 cartucce per pistola, calibro 40 S&W (170 grs – full metal jacket truncated cone bullet);  100 cartucce per pistola, calibro 380 AUTO (95 grs – full metal jacket bullet) e  100 cartucce per pistola, calibro 9 x 21 IMI (123 grs – full metal jacket bullet).

Nel periodo d’inchiesta, l’ascolto delle conversazioni avvenute nell’abitazione di Bruno hanno permesso di scoprire i nascondigli di alcune partite di droga. Sono stati sequestrati: 730 di hashish; quattro chili e mezzo di marijuana; 130 grammi di cocaina e la somma in contanti di 2.700 euro. Lo stupefacente di qualità elevata, quello che sul mercato avrebbe permesso di realizzare incassi notevoli, veniva chiamato “Louis Vuitton”, prendendo in prestito il nome della nota casa di moda francese. In alcuni casi, il marchio LV veniva impresso sui panetti di hashish.

“Con l’indagine Araneo è stata data un’ennesima importante risposta di legalità al territorio della Capitanata”, sottolineano inquirenti e investigatori.

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