Il verbale agli atti dell’inchiesta “2.0” dell’Antimafia di Lecce: “Dichiarazioni confermate dalle acquisizioni probatorie”, scrive il gip nell’ordinanza che ha portato all’arresto di 23 persone. In questo troncone in sette sono rimasti a piede libero. Montedoro consegna nomi e ruoli nel business
di Stefania De Cristofaro
MELISSANO (LECCE) – “Sul comune di Melissano operava nel settore della droga, in maniera imponente, Emanuele Cesari, il ragazzo che è stato ucciso”. I primi elementi utili alle indagini dopo l’omicidio del 37enne sono stati forniti dal collaboratore di giustizia Tommaso Montedoro, già boss del clan Montedoro-Potenza, sei mesi dopo il fatto di sangue e tanto per i pm dell’Antimafia, quanto per il gip del Tribunale di Lecce, le dichiarazioni sono credibili perché “risultano pienamente confermate dalle acquisizioni probatorie”. Notizie vere, quelle consegnate dal collaboratore di giustizia.
IL VERBALE INEDITO DEL COLLABORATORE TOMMASO MONTEDORO
Il verbale di Montedoro è del 5 settembre 2018, giorno in cui il collaboratore di giustizia incontra i pm della Dda per rispondere a una serie di domande sull’omicidio e sul traffico di droga, attività che emerge sullo sfondo come possibile contesto in cui matura l’uccisione, stando al contenuto di alcune conversazioni intercettate. Il testo delle dichiarazioni di Montedoro è leggibile in chiaro nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita dai carabinieri nell’ambito dell’inchiesta della Dda chiamata “2.0”, sull’esistenza di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti a Melissano e nella zona del Basso Salento. In 23 sono stati arrestati, in sette sono rimasi a piede libero, nel troncone investigativo relativo al narcotraffico nel quale si inserisce l’omicidio di Emanuele Cesari, detto Manuele, avvenuto la sera del 21 marzo 2018, davanti a una rivendita di panini a Melissano. Ucciso da quattro colpi di pistola.
IL COLLABORATORE DESCRIVE LA VITTIMA DELL’OMICIDIO
Montedoro ha fatto nomi e cognomi e ha indicato i ruoli ricoperti da ciascuna delle persone che ha menzionato. Non ci sono omissis nel verbale che inizia proprio dalla descrizione della vittima: “Cesari – si legge – si riforniva di cocaina da Ivano Ungaro di Alliste (che non è indagato in questa inchiesta, ndr). Sempre in quel comune (Melissano, ndr) operavano i Bevilacqua che acquistavano droga anche dal nostro gruppo, persone non molto affidabili e che ho conoscenza avessero forti contrasti con Ivano Ungaro, già dal 2005-2006”, è scritto nel verbale di Montedoro.
“Il traffico di stupefacenti su Melissano vedeva come referenti i fratelli Antonio e Fernando Librando”, ha precisato il collaboratore di giustizia. “Ricordo un problema nato tra un loro spacciatore, tale Biagio Manni, che si recò da uno spacciatore di Autunno che operava su Melissano e gli sottrasse lo stupefacente facendogli presente che era lui a operare su quel territorio”.
Montedoro prosegue nel racconto:
“La diatriba fu risolta tramite il mio intervento e la consegna di 200 grammi di cocaina per mano di Autunno ai due fratelli Librando”.
Ancora: “Un altro personaggio soprannominato ‘nano’ di Melissano ha attirato la mia attenzione a seguito dell’ingente debito maturato nei confronti di Spennato e Potenza”. Il riferimento di Montedoro è ad Augustino Potenza, tornato in libertà dopo un periodo di detenzione e in carcere, e ucciso il 26 ottobre 2016. Stessa sorte era stata decisa per Luigi Spennato, considerato il braccio destro di Potenza: “Si attentava alla sua vita il 26 novembre 2016”. Spennato scampò per miracolo alla sorte, ma xon gravi conseguenze di salute.
“Specifico – ha tenuto a sottolineare Montedoro – di aver appreso questa notizia dopo il tentato omicidio di Spennato e in particolare sono venuto a conoscenza del sequestro di un foglio in possesso di quest’ultimo in cui erano annotati diversi debiti di droga. Incuriosito poiché ritenevo questo ‘nano’ un buon cliente, incaricai da subito tutti gli associati ad addivenire all’identità del ‘nano’ e dopo alcuni mesi, Luca Del Genio mi disse di averlo rintracciato in un soggetto di Melissano. Concordammo, quindi, di farlo avvicinare da Andrea del Genio per intraprendere con lo stesso una collaborazione che si realizzò con la fornitura di un quantitativo di cocaina che non ricordo”. Fin qui la parte non coperta da omissis. Il resto del racconto, invece, resta secretata in attesa che arrivino a conclusione una serie di verifiche delegate ai carabinieri.
LE DINAMICHE CRIMINALI E LA FIBRILLAZIONE INTERNA
Le indagini hanno permesso di ricostruire le dinamiche criminali dell’associazione e di collocare l’omicidio di Manuele Cesari “in un momento di forte fibrillazione”. In sintesi, stando a quanto è riportato nel provvedimento di arresto, “si poteva registrare la scissione netta all’interno del clan di due fazioni contrapposte: la prima rappresentata da Luciano Manni e dai figli Daniele e Maicol Andrea; la seconda dai Bevilacqua, Antonio e i figli Pietro e Rocco, con i quali si coalizzerà Biagio Manni alla cui vita si attenterà”. A essere ucciso sarà il giovane Francesco Fasano, 22 anni appena.
“Ben presto si comprendeva – si legge ancora nell’ordinanza – che gli associati Luca Piscopiello e Gianni Vantaggiato, verosimilmente riconoscendo ancora un ruolo apicale ai gemelli Librando, assumevano un atteggiamento attendista, senza schierarsi apertamente per una fazione o per un’altra, finalizzato a trarre giovamento dalla confusione del momento storico in cui era calata l’associazione, cercando anche di operare una disperata quanto impossibile mediazione che evitasse il precipitare degli eventi per guadagnarsi un ruolo negli assetti societari in divenire, quelli precedenti messi in crisi dal terribile fatto di sangue”.
Le fazioni “non possono essere altro che la risultante di moti centripeti originati dalla disgregazione di un’originaria associazione unitaria”. E che la “morte di Cesari sia dei nuovi eventi la causa, piuttosto che l’effetto, poco importa, presupponendosi in entrambi i casi la necessaria esistenza di una organizzazione unitaria che si sfalda al suo interno, per l’atteggiamento tenuto dai singoli adepti, tra gli autori ovvero mediati (in ogni caso, non individuati) del delitto, o semplici spettatoci, magari compiaciuti e coloro che temono il pericolo imminente sentendosi quali prossime vittime sacrificali”.
I CLAN ATTIVI E LE ZONE D’INFLUENZA
Nel corso degli anni, le attività investigative e le inchieste giudiziarie condotte con il coordinamento della Dda sono state molteplici ma nonostante questo
“i massimi esponenti mafiosi di Melissano sono sempre riusciti a riorganizzarsi e ricostruire le fila dei propri sodali, sia attraverso nuove affiliazioni, sia per mezzo di storici referenti territoriali impegnati in attività di traffico e spaccio di ingenti quantitativi di droga”.
A nulla o a poco è valsa la lunga detenzione in carcere dei principali esponenti, tra i quali ci sono condannati con l’accusa di omicidi di stampo mafioso, come quelli di Vittorio De Luca, Luciano Stefanelli e Musarò-Cortese.
Stando agli elementi raccolti dalla pg, “è attivo il clan Troisi, riconducibile a Vito Paolo Troisi di Racale e al cognato Angelo Salvatore Vacca, entrambi condannati all’ergastolo per l’omicidio di Luciano Stefanelli avvenuto a Taviano nel 1995”. Clan che per l’accusa è “ancora operativo sul territorio di Racale, confinante con quello di Melissano, attraverso Davide Fabio Troisi, fratello di Vito Paolo, nonché Vito Paolo Vacca, nipote di Vito Paolo Troisi e il figlio di Angelo Salvatore Vacca, nonché nipote di Tomas Manni, a sua volta cognato di entrambi gli ergastolani”.
Vito Paolo Vacca, nella ricostruzione accusatoria, partecipa alle riunioni operative degli appartenenti al clan finalizzate a disegnare i nuovi assetti criminali, essendo andati in crisi quelli originali. Riunioni che “vedevano la partecipazione, oltre a Vacca, di elementi di spicco di altri clan con base operativa in territori contermini a quello di Melissano, allo scopo di concordare nuovi assetti e zone di influenza”. Vacca ha “tramato per estendere la sua influenza scontrandosi con le ire dei Manni, detti Barbetta, specie del capostipite Luciano, soprattutto nel momento storico segnato dalla sua ascesa ai danni dei Librando. Vacca è riuscito a perseguire questo disegno grazie all’ascendente esercitato da un lato su Vantaggiato, dall’altro su Salvatore Caputo, avendo sposato una nipote di Caputo”.
La conclusione del gip: “La puntuale attività investigativa ha dimostrato la presenza su Melissano e comuni vicini della frangia capeggiata dai fratelli gemelli Antonio e Ferdinando Librando, inserita in un più ampio contesto associativo, per come da ultimo dichiarato Montedoro”.
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