Dal traffico di droga agli omicidi, la svolta 2.0: 23 arresti nel Salento

Otto in carcere, gli altri ai domiciliari: l’inchiesta dell’Antimafia di Lecce dopo le uccisioni di Manuele Cesari e Francesco Luigi Fasano, avvenuti nel 2018 a Melissano, a distanza di quattro mesi. “Frattura nel clan capeggiato dai gemelli Antonio e Ferdinando Librando per il controllo degli stupefacenti e creazione di due gruppi contrapposti, quello dei Barbetta e quello di Pietro Bevilacqua e Biagio Manni”

 

di Stefania De Cristofaro

 

MELISSANO – Traffico di droga dietro la scia di sangue a Melissano: due anni fa, nel comune del basso Salento che conta poco più di settemila abitanti, due giovani ammazzati a distanza di quattro mesi. Oggi, la svolta 2.0 con 23 arresti ottenuti dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce, nell’ambito delle indagini sugli omicidi di Manuele Cesari e Francesco Luigi Fasano, maturati per il controllo del business degli stupefacenti.

 

IL BLITZ ALL’ALBA: I NOMI DEGLI ARRESTATI E LE ACCUSE

In carcere sono finiti in otto: Rocco Bevilacqua, alias “Fettina”, 30 anni, di Casarano; Salvatore Caputo detto “U nanu” 43 anni, di Casarano; Paolo Stefanelli, detto “Mangone”, 39 anni, di Tricase; Antonio Bevilacqua, alias “Fettina”,  62 anni, di Casarano; Ferdinando Librando, 54 anni, originario di Borgomanero in provincia di Novara; Luciano Manni, alias “Barbetta”, 68 anni, di Melissano; Maicol Andrea Manni, 29 anni, di Casarano e Angelo Rizzo, 25 anni, di Nardò.

Angelo Rizzo
Maicol Andrea Manni
Luciano Manni

 

Sono agli arresti domiciliari: Diego Antonio Caputo, 25 anni, di Casarano; Paola Caputo, 38 anni, nata a Hilden; Fabio Antonio Causo, 64 anni, di Melissano; Matteo Cazzato, 29 anni, di Gagliano del Capo; Rosario Cazzato, 59 anni, di Melissano; Stefano Ciurlia, 42 anni, di Tricase; Natasha Micaletto, 38 anni, di Casarano; Giuliano Pizzi, alias “Tigna”,  60 anni, di Ugento; Gianluca Pizzolante, 45 anni, di Ugento; Ottavio Salvatore Scorrano,  35 anni, di Casarano; Caterina Spennato,  28 anni, di Casarano; Beniamino Stamerra,  36 anni, nato a Muri; Luca Tarantino, alias “Quartara”, 38 anni, nato in Svizzera; Vito Paolo Vacca,  25 anni, di Casarano, e Tommasa Isabella Venosa,  40 anni, di Gallipoli.  

Sono accusati – a vario titolo di –

“associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, porto e detenzione abusiva di armi, detenzione e spaccio di stupefacenti, estorsione e tentata estorsione”

stando ai capi di imputazione provvisori contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce, Sergio Tosi, su richiesta dei pubblici ministeri Guglielmo Cataldi e Maria Vallefuoco.

I provvedimenti sono stati eseguiti all’alba dai carabinieri del Comando operativo di Lecce. Per il blitz c’è stato il supporto di un elicottero del Sesto Nec di Bari, di due unità cinofile del nucleo di Modugno e dello squadrone eliportato Cacciatori di Puglia. L’operazione, tenuto conto del numero degli indagati destinatari di ordinanza cautelare, ha richiesto l’impiego di 120 uomini e 70 mezzi.

LA GENESI DELL’INCHIESTA: L’OMICIDIO DI FRANCESCO LUIGI FASANO E I DIECI FERMI

“La genesi dell’indagine è da individuarsi in due episodi di sangue che hanno interessato la cittadina di Melissano il 27 marzo 2018 e il 24 luglio dello stesso anno”

Spiegano i carabinieri. Due omicidi tra loro legati. La prima vittima: Manuele Cesari, gambizzato il 21 marzo, muore in ospedale dopo sei giorni, a causa delle gravissime ferite riportate. La seconda vittima: Francesco Luigi Fasano. Due giorni dopo la morte di Fasano, i carabinieri danno esecuzione a dieci decreti di fermo nell’ambito delle indagini per ricostruire movente e autori del fatto di sangue: “Daniele Manni, Angelo Rizzo, Maicol Andrea, Luciano Manni, Biagio Manni, Pietro Bevilacqua, Luca Rimo, Luca Piscopiello, Gianni Vantaggiato e Antonio Librando, accusati di  traffico e spaccio di sostanze stupefacenti”, i primi due accusati dell’omicidio di Fasano e Daniele Manni, in concorso con altri non identificati, del tentato omicidio di Bevilacqua e Fasano. 

 

IL MOVENTE: FRATTURA INTERNA AL CLAN DEI GEMELLI ANTONIO E FERDINANDO LIBRANDO

Antonio Librando

Chiaro, sin da subito, lo scenario nel quale inquadrare gli omicidi: “Episodi segnati in maniera risolutiva dalla frattura interna al clan capeggiato dai gemelli Antonio e Ferdinando Librando, maturata nell’ambito della spartizione per il controllo del traffico illecito degli stupefacenti sul territorio di riferimento”, spiegano gli investigatori. La droga era il core business del sodalizio.

“Le risultanze investigative hanno evidenziato la scissione della compagine melissanese, fino ad allora ancorata a Manuele Cesari che, in seguito alla sua morte, con il tempo ed i contrasti tra i sodali, ha portato alla creazione di due fazioni: da un lato, il gruppo “Barbetta”, costituito da Luciano Manni e dai figli Daniele e Maicol Andrea, dall’altro quello di Pietro Bevilacqua e Biagio Manni”, spiegano i militari. In entrambi i casi, le consorterie sono rimaste legate alla famiglia Librando che, nei fatti, è riuscita a mantenere una posizione di egemonia.

Si è venuta, quindi, a creare una fase delicata nel corso della quale c’è stata una riorganizzazione: “Durante il riassetto, il giovanissimo Francesco Luigi Fasano è rimasto legato alla famiglia Bevilacqua, in virtù di una storica amicizia con quest’ultimo sin dai tempi dell’infanzia”, sottolineano gli investigatori.

LA POSIZIONE DI VERTICE: IL RUOLO DI ANTONIO LIBRANDO

L’indagine attraverso una serie di intercettazioni, sia telefoniche che ambientali, ha consentito di documentare “l’attualità e l’estrema operatività del clan, al cui vertice si pone Antonio Librando, già condannato per associazione per delinquere di tipo mafioso, promotore di un sodalizio criminale operante su Melissano”. Secondo l’impostazione accusatoria, Librando si è “avvalso di Luciano Manni, già condannato per associazione per delinquere di tipo mafioso, Manni Daniele, Manni Maicol Andrea, Rizzo Angelo, Vantaggiato Gianni, quest’ultimo condannato per associazione per delinquere di tipo mafioso e omicidio, nonché di Luca Piscopiello, Luca Rimo. Questo gruppo era “contrapposto alla scissa consorteria criminale, in via di formazione, promossa da Biagio Manni, condannato per omicidio, con Pietro Bevilacqua e Francesco Luigi Fasano” poi ucciso.

LA GUERRA TRA LE FAZIONI: ENTRAMBE DISPOSTE A UCCIDERE

Gli accertamenti posti in essere dai carabinieri hanno evidenziato l’inasprimento dei rapporti tra i due gruppi dell’associazione, sino ad arrivare a un clima di estrema tensione. Una “guerra in cui le vittime designate erano, in maniera indistinta, gli appartenenti all’una o all’altra fazione”, finalizzata alla “conquista di posizioni gerarchiche da rivestire all’interno dell’associazione per il controllo dell’attività di approvvigionamento e distribuzione dello stupefacente e per la spartizione dei relativi compensi”.

Francesco Fasano

Queste contese hanno determinato l’ira tra i gruppi di Luciano Manni “barbetta” e Pietro Bevilacqua/Biagio Manni: erano “entrambi disposti a uccidere, tanto che per raggiungere questo scopo hanno posto in essere un sistema di controllo basato sul pedinamento dell’appartenente al gruppo rivale con veri e propri servizi di osservazione anche notturna e dove, alla prima favorevole occasione, si sarebbe proceduto alla soppressione dell’avversario, se ce ne fosse stata l’occasione”.

 

Il TENTATO OMICIDIO DI PIETRO BEVILACQUA E FRANCESCO LUIGI FASANO

In questo clima, matura il primo fatto di sangue: è il 19 luglio del 2018, quando il gruppo “Barbetta” esplode diversi colpi di arma da fuoco all’indirizzo di Pietro Bevilacqua e Francesco Luigi Fasano, i quali scampano miracolosamente alla morte perché riescono a trovare riparo dietro le proprie auto. Da qui l’ira di Biagio Manni il quale, assieme a Bevilacqua, inizia a pianificare la controffensiva da una località protetta e nota esclusivamente ai sodali di quel gruppo. In questo conteso matura l’agguato mortale ai danni di Fasano, in concorso con Manni Daniele e Rizzo Angelo, divenuto vittima designata poiché facente parte del gruppo antagonista.

Le indagini, quindi, sono andate avanti con l’obiettivo di dare un volto e un nome a tutti i soggetti coinvolti, per azzerare i vertici e scongiurare il pericolo di ulteriori ritorsioni. C’era, infatti, il concreto rischio di nuove gambizzazioni, attentati e omicidi. La svolta 2.0 è arrivata con i 23 arresti per bloccare la continuazione della scia di sangue nel basso Salento.

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