Dopo la confessione, disposta la sorveglianza a vista per Antonio De Marco, ristretto nel carcere di Lecce, con l’accusa di duplice omicidio aggravato da crudeltà, efferatezza e futili motivi. Il gip: “Vittime scelte a caso, ha sbudellato un cadavere e appeso i relativi reperti sulla porta di ingresso. Messaggio da scrivere sul muro con il sangue: spietata efferatezza e malvagia e inumana crudeltà”
Di Stefania De Cristofaro
LECCE – Orrore senza fine nei cinque bigliettini che Antonio De Marco, accusato di aver ucciso i fidanzati di Lecce, ha ammesso di aver scritto per organizzare ogni fase del duplice omicidio, covato per rabbia e invidia della felicità di Daniele De Santis ed Eleonora Manta: prima “legare i ragazzi, accendere i fornelli” e “mettere l’acqua a bollire”, poi “scrivere sul muro”, “pulizia con candeggina”, “tortura” e infine “caccia al tesoro”.
LA CONFESSIONE NEL CARCERE DI LECCE: IMPULSI DI VOMITO DAVANTI ALLE FOTO DELL’ABITAZIONE
Fanno rabbrividire i biglietti di De Marco, 21 anni, originario di Casarano, studente del corso di laurea in Scienze infermieristiche. Sono espressione di “spietata efferatezza, malvagia e inumana crudeltà”, per il gip del Tribunale di Lecce, Michele Torello, che ha confermato il carcere. Impossibile pensare che sia stato un ragazzo a meditare tanta mostruosità e compiere un massacro la sera del 21 settembre scorso. Impossibile che sia stato chi stava studiando per dedicarsi agli altri, per curarli, per diventare infermiere professionale. Ma Antonio De Marco, per sua stessa ammissione lo ha fatto. Ha pensato e agito da solo. Ha ucciso due ragazzi, innamorati pazzi, ha pianificato nel dettaglio il duplice omicidio ed è tornato alla sua vita di sempre, senza tradire alcun tipo di reazione. Come se nulla fosse successo. E’ persino andato a una festa la sera dei funerali.
“Sono stato io”
Ha detto davanti al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce, Michele Toriello, che ieri lo ha interrogato, alla presenza degli avvocati Andrea Starace e Giovanni Bellisario del foro salentino e della pm Maria Consolata Moschettini. Tre parole per dare inizio al racconto che fa venire la pelle d’oca e che, a tratti, ha costretto lo studente universitario a fermarsi per impulsi di vomito. Si è bloccato portando la mano alla bocca, quando il gip e la pm titolare dell’inchiesta, gli hanno mostrato le foto della scala della palazzina di via Montello, piena di sangue.
La cronaca della mostruosità è andata avanti per quasi tre ore, alla fine delle quali, il gip ha firmato l’ordinanza di custodia in carcere per il 21enne evidenziato, in aggiunta all’esistenza di chiari ed evidenti “gravi indizi”, di concrete e attuali esigenze cautelari, dal pericolo di fuga, alla reiterazione del reato. Perché De Marco, per il gip, poteva uccidere ancora. Di nuovo. A caso, così come a caso ha scelto di togliere la vita a Daniele ed Eleonora per rabbia e invidia rispetto ai loro sorrisi. Sorrisi che lui non aveva. Felicità che non provava. Futili motivi, per il gip, contestati a titolo di aggravante rispetto a quelle iniziali. In cella, De Marco resta da solo ed è sorvegliato a vista nel timore che possa commettere gesti pericolosi per la sua vita.
IL CONTENUTO DEI BIGLIETTINI: TORTURA E CACCIA AL TESORO, MESSAGGIO DA SCRIVERE SUL MURO
Il contenuto dei bigliettini (come si legge su La Repubblica) è riportato dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, nella parte in cui il gip ha contestato le aggravanti della premeditazione e della crudeltà, già evidenziate dal pm. Sono cinque fogli piegati e macchiati di sangue che il giovane ha perso dopo il massacro, mentre stava percorrendo il cortile della palazzina. Probabilmente li aveva in tasca.
Sul primo bigliettino c’è scritto:
“Appena entrato: – Legare tutti – Accendere tutti i fornelli e mettere l’acqua a bollire. Scrivere sul muro”.
C’è la descrizione delle azioni da compiere subito, una volta entrato nell’appartamento dei fidanzati.
Sul secondo bigliettino:
“Scendi dalla fermata, attraversi e ri-attraversi in diagonale poco prima del bar. In via V. Veneto c’è il condominio a dx. A fine strada attento di fronte. Passare velocemente sul muro alto a sx”.
Doveva essere il percorso da seguire per evitare di essere ripreso dalle telecamere di videosorveglianza.
Sul terzo bigliettino:
“Pulizia: Lei/Lui: Acqua bollente – Candeggina. Poco prima di uscire soda”.
Sul quarto:
“Nastrare le dita – Prendere i guanti – Coprire testa – Cambio maglietta – Vestizione – Prendere coltello e Fascette – Slacciare scarpe”.
L’ultimo bigliettino, il quinto:
“1 ora e mezza. 10/15 min tortura. 1 ora e 15 min. 30 min caccia al tesoro – 30 min pulizia – 15 min di controllo generale”.
Lucida follia nell’organizzazione e poi ferocia inaudita. Più di sessanta coltellate.
IL MOVENTE: “LA MIA RABBIA FORSE DOVUTA ALL’INVIDIA PER LA LORO RELAZIONE”
Perché uccidere? Perché ha pianificato il duplice motivo? Qual è il movente? Quale motivo può aver animato tanto accanimento?
“Sono entrato in casa con le chiavi. Ne avevo una copia che avevo fatto prima di lasciare l’abitazione presa in affitto da novembre fino al lock down… Durante la permanenza nell’abitazione mi aveva dato fastidio qualcosa”, ha detto ai carabinieri. “Ho provato e accumulato tanta rabbia che poi è esplosa. Non sono mai stato trattato male. La mia rabbia, forse, era dovuta all’invidia che provavo per la loro relazione”. Poi ha raccontato la sua vita: “Non avendo molti amici e per il fatto che trascorro molto tempo in casa da solo mi sono sentito molto triste… Altre volte ho sofferto di momenti di rabbia”.
“HO APERTO CON LE CHIAVI: LI HO SORPRESI IN CUCINA, DANIELE MI HA RICONOSCIUTO, DOPO NON AVEVO FIATO”
“Sono andato a trovare Daniele ed Eleonora convinto di trovare entrambi”, ha detto De Marco ai carabinieri, la sera del fermo, nel corso del primo interrogatorio, avvenuto nella sede del Comando provinciale di carabinieri. “Quando sono entrato in casa i due erano seduti in cucina… Ho incontrato Daniele nel corridoio, il quale si è spaventato perché avevo il passamontagna”. In testa aveva una calza da donna in nylon: due buchi in corrispondenza degli occhi, cerchiati di nero, e una bocca disegnata con pennarello dello stesso colore. “Dopo aver avuto una colluttazione con lui li ho uccisi”, ha detto lo studente. “Quando ho colpito lui ha cercato di aprire la porta per scappare. Ho ucciso prima lei e poi ho colpito nuovamente Daniele. Dopo aver lottato con loro sono andato via senza scappare perché non avevo fiato”.
Non ha corso, non ce la faceva. Le telecamere della zona lo hanno ripreso mentre camminava normalmente.
“Il passamontagna mi è stato sfilato da Daniele il quale poi mi ha riconosciuto”. La calza di nylon macchiata di sangue è stata trovata sul pianerottolo. “Ho sentito gridare “Andrea””, ha raccontato Antonio De Marco. Era il nome dell’inquilino del piano di sotto rispetto a quello in cui vivevano i fidanzati. Andrea invocato da Eleonora dopo aver sentito la sua voce gridare: “Ho chiamato la polizia”.
Né lei, né tanto meno Daniele hanno pronunciato il nome del loro assassino: “Loro non hanno mai pronunciato il mio nome. Indossavo dei guanti che poi si sono strappati perdendone forse uno solo o un frammento. Dopo aver compiuto il gesto sono tornato a casa mia sita in via Fleming”.
Cosa ha fatto dopo il massacro, gli è stato chiesto: “Ho dormito fino alla mattina successiva. Mi sono disfatto dei vestiti gettandoli in un bidone del secco di un condominio poco distante dall’abitazione. La fodera faceva parte del coltello che ho comprato… Insieme ai vestiti c’erano le chiavi e il coltello acquistato in contanti”.
De Marco ha poi ammesso di aver portato con sé una bottiglia di Ace, trovata lungo il corridoio dell’appartamento: “La candeggina l’ho acquistata presso un negozio, quella sera portavo al seguito anche uno zainetto di colore grigio con dentro la candeggina, delle fascette ed il coltello nonché della soda”. Il coltello da caccia ha detto di averlo acquistato al negozio “zona militare”. “Del coltello me ne sono disfatto”. Sostiene di averlo gettato in un contenitore della raccolta dei rifiuti. Ad oggi non è stato trovato.
In carcere, parlando con i suoi difensori, ha negato di aver avuto un profilo Facebook e di aver scritto un post sulla vendetta, considerato un grave indizio nel decreto di fermo. Il messaggio risulta essere stato scritto il 3 luglio scorso ed è stato tratto dal blog “Universo psicologia”, con il titolo “desiderio di vendetta”, che era stato commentato con due faccine sorridenti e le frasi: “Un piatto da servire freddo… è vero che la vendetta non risolve il problema ma per pochi istanti ti senti soddisfatto”.“Non è mio quel profilo”, ha detto De Marco. “Sarà di un omonimo”. Una persona completamente estranea ai fatti. L’unico profilo social dell’universitario è su Instagram: un solo post pubblicato e 32 following.
IL GIP: “HA SBUDELLATO UNO E HA APPESO I REPERTI SULLA PORTA D’INGRESSO”
Di fronte alla ricostruzione dei fatti, al contenuto dei biglietti, a quanto hanno raccolto i carabinieri e a quel che i militari hanno visto sul pianerottolo, nel corridoio e nella cucina dell’abitazione, il gip ha descritto in questi termini la personalità di Antonio De Marco: “L’inaudita gravità dei fatti – un duplice efferato omicidio lucidamente pianificato e perpetrato con eccezionale crudeltà, senza peraltro alcuna alcun serio motivo scatenante, con l’uso di un’arma micidiale e con la progettazione di un ulteriore e raggelante corredo di condotte crudeli ed atroci (la preventiva tortura delle vittime; il messaggio da scrivere sul muro, evidentemente con il sangue delle vittime, non avendo De Marco portato con sé alcuna bomboletta di vernice) – è tale da lumeggiare di per sé sola negativamente la personalità del De Marco, rendendo irrilevante il dato formale della sua penale incensuratezza, indice del concreto ed attuale pericolo di recidivanza, ossia della circostanza che il fermato – se lasciato libero – commetterà delitti della stessa specie di quello per il quale si procede avendo mostrato una inquietante capacità di porre in essere con ferocia atti di violenta aggressione alla vita di persone sostanzialmente scelte a caso“.
“L’accanimento di De Marco sui cadaveri, dei quali ne ha sbudellato uno appendendo i relativi reperti sulla porta di ingresso delle vittime, è chiaramente rivelatore di quella spietata efferatezza e di quella malvagia e inumana crudeltà che – certamente – integrano gli estremi della contestata circostanza aggravante”. C’è, inoltre, il pericolo di fuga visto che lo studente sapeva di essere pedinato dagli investigatori.
In carcere resta De Marco, “avendo egli mostrato una inquietante capacità di porre in essere con ferocia atti di violenta aggressione alla vita di persone sostanzialmente scelte a caso”.
BRUZZONE CONSULENTE PER LA FAMIGLIA DI ELEONORA MANTA
Mentre la pm si appresta a chiedere il giudizio immediato, sulla base dell’evidenza della prova e della confessione del ragazzo, la difesa sta valutando se chiedere o meno una perizia psichiatrica per accertare la capacità di intendere e volere e quindi, per stabilire se Antonio De Marco possa o meno stare in giudizio.
I legali che rappresentano la famiglia di Eleonora Manta, i penalisti Luca Luigi Piri e Nicola Neo, intanto, hanno conferito incarico come consulente di parte a Roberta Bruzzone, criminologa di fama nazionale, spesso ospite dei più importanti salotti televisivi di approfondimento dei fatti di cronaca nera.
“Alla luce di quelle che appaiono le dichiarazioni rilasciate dall’indagato ed apprese dagli organi di stampa, abbiamo ritenuto opportuno affidare l’incarico di consulente tecnico di parte a Roberta Bruzzone, stimata professionista che coadiuverà il nostro lavoro per tracciare il profilo caratteriale e psicologico del reo confesso, nella certezza che un approfondimento tecnico scientifico ci aiuterà a conoscere meglio il reale movente dell’efferato duplice omicidio, sgombrando definitivamente il campo da ogni inammissibile, seppur tecnicamente legittimo, tentativo di descrivere l’indagato incapace di gestire le proprie azioni”, si legge nella nota.
“Prendiamo atto della convalida del fermo con applicazione della misura della custodia cautelare carceraria ed esprimiamo ancora una volta, anche a nome del nostro assistito, piena gratitudine per l’eccelso lavoro svolto dal pool inquirente e dai carabinieri”. L’inchiesta è stata chiusa in sette giorni.
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