Tempi stringenti per l’elaborazione del Governo del piano nazionale del Recovery Plan che partirà insieme al progetto di decarbonizzazione dell’ex Ilva. Ma l’Italia è ancora inadempiente sul fronte del rispetto dei Diritti Umani.
Di Daniela Spera
Sono previsti circa 208 miliardi di euro per l’Italia, la quota più cospicua dei 560 miliardi di euro destinati agli Stati membri dal Recovery Fund, per la realizzazione di investimenti e riforme per una ripresa economica sostenibile. Il nostro Paese deve però dotarsi di un dettagliato piano nazionale, per il periodo 2021-2023, che spieghi come il governo italiano intende utilizzare questi soldi. In sostanza, l’Italia avrà a disposizione 81 miliardi di euro a titoli di sussidi e 127 miliardi di euro sotto forma di prestiti. Per decisione dell’autorità europea il 37 per cento delle risorse destinate al nostro Paese devono essere impegnate in opere green.
Come noto, al centro degli obiettivi ambientali europei c’è anche la riduzione delle sostanze responsabili dei cambiamenti climatici con la progressiva decarbonizzazione delle attività industriali. Di questo si occuperà il piano del Just Transition Fund (JTF, 2021-2027), ulteriore fondo europeo per la ‘giusta transizione’, che ammonta a 17,5 miliardi di euro. Di questi, 700 milioni spetteranno all’Italia per la decarbonizzazione di alcuni poli industriali.
Tra questi, come ha anche confermato il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa nell’audizione alla Camera del 10 settembre scorso, prioritario, è quello dell’ex Ilva di Taranto in amministrazione straordinaria ma in gestione ad ArcelorMittal per contratto di affitto. Tuttavia la condotta della multinazionale dell’acciaio, che lascia in ulteriore stato di abbandono impianti ormai fatiscenti, non consente di immaginare un’effettiva realizzazione di un piano di transizione che porti alla decarbonizzazione dell’acciaieria, ammettendo che questa sia nel concreto possibile. Proprio ieri l’amministrazione Melucci, sindaco di Taranto, ha manifestato assoluta contrarietà ad un’ulteriore proroga nell’applicazione dell’A.I.A., così come richiesto da ArcelorMittal, facendo riferimento alla prescrizione n.6 che riguarda la chiusura dei nastri trasportatori.
I tempi sono stringenti. È, infatti, da poco scaduto (27 settembre ndr) il termine entro il quale il Parlamento si era impegnato a pronunciarsi sulle linee guida generali per la predisposizione della NADEF (Nota di Aggiornamento del DEF) e del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), che dovrà essere coerente anche con gli obiettivi del JTF. Inoltre, il 15 ottobre prossimo ci sarà l’avvio delle prime consultazioni con la Commissione europea per la conclusione della redazione del Piano nazionale. Tra gennaio e aprile del 2021 è prevista, infine, la presentazione ufficiale del PNRR italiano.
La situazione però è complicata. Lo Stato Italiano, sulla vertenza Ilva, ha importanti questioni in sospeso sia con la Corte europea dei Diritti Umani sia con gli operai preoccupati per il loro futuro.
Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa attende ancora risposte soddisfacenti in merito all’attuazione della sentenza del 24 gennaio 2019 che ha riconosciuto la violazione del diritto alla salute e a un ricorso effettivo (artt. 8 e 13 della convenzione europea dei diritti umani). E mentre i promotori del ricorso continuano ad informare il comitato europeo (consultare CORDELLA AND OTHERS v. Italy) di una situazione ambientale ancora drammatica, il governo italiano non accenna a proporre soluzioni immediate e concrete.
Evidentemente tutto ciò sfugge al Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, che all’indomani della sua rielezione ha annunciato l’intenzione di far entrare a pieno titolo nella gestione dello stabilimento siderurgico l’ente regionale pugliese. Una posizione, in verità, non recente ma che era emersa già nei primi giorni del mese di gennaio scorso.
Sul fronte lavoro, neanche le organizzazioni sindacali hanno ottenuto risultati nel corso dell’incontro tenutosi ieri pomeriggio negli uffici del Ministero dello Sviluppo Economico a Roma. Il professor Ernesto Somma, Responsabile Incentivi e Innovazione di Invitalia, ha chiaramente detto che non è al momento in grado di dare soluzioni. Usb Taranto, sindacato di base, facendo eco alla posizione del sindaco Melucci, a margine dell’incontro, ha così commentato:
“Gli ultimi due anni hanno prodotto risultati catastrofici con riferimento sia alla situazione dei lavoratori che allo stato degli impianti. Ribadiamo all’infinito i moltissimi motivi per i quali chiediamo l’immediato allontanamento del gruppo franco-indiano da Taranto”
I segnali di insofferenza a livello sociale sono evidenti. Ciò che manca è una decisa spinta dal basso che possa portare ad una svolta verso un reale cambiamento.
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