Mafia nel Salento da modalità gangsteristiche a imprenditoriali: virus corruzione potente

DOSSIER/6 Nella relazione Dia sul secondo semestre 2019, evidenziate forme di coinvolgimento con esponenti delle Pubbliche amministrazioni. Capitali illeciti reinvestiti nel settore turistico-ricettivo. Cocaina spacciata nella movida. Possibile business anche nella riconversione dei terreni colpiti da Xylella. A Lecce inalterata l’egemonia dei gruppi Pepe e Briganti, scosse di assestamento nei comuni della provincia dopo la morte del boss del clan Caramuscio

 

Di Stefania De Cristofaro

 

LECCE – Nel Salento, la Sacra corona unita ha subìto una evoluzione abbandonando lo stile tipicamente gangsteristico, sino ad assumere forme imprenditoriali nella concezione e gestione delle attività criminali che implicano un più sottile e strategico processo di azione, nel quale c’è il coinvolgimento di esponenti della Pubblica amministrazione. Scenario nel quale, la corruzione appare come un virus potente, come è stato evidenziato nell’ultima relazione sulle attività poste in essere dalla Dia. Tanto da riuscire a penetrare nei settori del turismo e dell’agricoltura, con il rischio di alimentare il business legato alla riconversione dei terreni, i cui ulivi sono stati colpiti dalla Xyella

 

LA SCU A LECCE: I CLAN DOMINANTI INDICATI NELLA RELAZIONE DIA SUL SECONDO SEMESTRE 2019

Il dossier è quello relativo al secondo semestre del 2019 e contiene una fotografia dell’attuale situazione della Scu a Lecce e nella provincia, con indicazione dei gruppi dominanti comune per comune, ricostruiti sulla base dei riscontri giudiziari ottenuti attraverso indagini e, in alcuni casi, verità diventate processuali. Con condanne, nel frattempo, definitive.

Nella città di Lecce, “rimane inalterata l’egemonia dei gruppi criminali Pepe e Briganti”. Il primo estende le sue ramificazioni anche in alcuni territori della provincia, come “Cavallino, Lizzanello, Melendugno, Merine, Vernole, Caprarica, Calimera, Martano e Surbo”. Pepe e Briganti sono entrambi “attivi nel traffico degli stupefacenti e nelle estorsioni”, i cui precari equilibri potrebbero essere messi in discussione a causa della scarcerazione di un boss del clan Briganti. Di rilievo è l’interdittiva del prefetto di Lecce del 5 novembre 2019, nei confronti di “una società addetta alla ristorazione, il cui gestore aveva favorito la latitanza di un soggetto riconducibile alla frangia capeggiata dal clan Briganti, agevolando in tal modo l’associazione di tipo mafioso”.

Pepe e Briganti, nel capoluogo, continuano a convivere. E’ una convivenza forzata dettata dalla necessità di “mantenere uno stato di calma sul territorio, per meglio gestire le attività criminali più redditizie, soprattutto per lo spaccio e le estorsioni. Molti dei comuni limitrofi, “un tempo sotto l’egida di altri storici boss, in particolare Rizzo e Leo-Vernel, come Cavallino, Lizzanello, Melendugno, Merine, Vernole, Caprarica, Calimera, Martano subiscono ormai l’influenza del clan Pepe, così come l’area di Surbo, a seguito del decesso del boss del clan Caramuscio, storico alleato dei Pepe”.

 

LA MAPPA DEI CLAN NELLA PROVINCIA LECCESE E LE ATTIVITA’ ILLECITE

In provincia, resta confermata l’operatività del sodalizio mafioso Tornese di Monteroni stando ai risultati dell’indagine chiamata Armonica della Dda di Lecce, conclusa dai carabinieri il 17 settembre 2019, in particolare a Guagnano, Carmiano, Veglie, Leverano, Arnesano, Porto Cesareo e Sant’Isidoro, anche per il tramite dei clan associati. Questi ultimi, sono attivi

“nel condizionamento della Pubblica amministrazione e nel traffico di sostanze stupefacenti. In questo ambito, gli esiti delle indagini hanno evidenziato il ruolo di un “soggetto referente del clan Tornese sui territori di Carmiano e Arnesano”,

definito “motore di una struttura criminale in grado di gestire gli affari del gruppo anche durante il suo stato di detenzione”. Per il commercio degli stupefacenti, tra i quali cocaina, il gruppo “poteva contare sul fattivo apporto di giovani leve, oltre che di donne particolarmente attive nella gestione del malaffare”. La “moglie del promotore ricopriva, ade esempio, il ruolo di cinghia di trasmissione delle informazioni e delle direttive organizzative del marito” diramate all’esterno tramite “pizzini”.

LE DONNE, UNIVERSO EMANCIPATO E NON PIU’ SUBALTERNO. E I CONDIZIONAMENTI NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Questo, così come si legge nella relazione Dia,

“conferma l’esistenza di un universo femminile mafioso che, anche nel Leccese, si è emancipato da un ruolo subalterno, evolvendosi verso quello più elevato di attiva partecipazione in seno alle organizzazioni criminali”.

La stessa operazione della Procura Antimafia ha confermato anche “la pericolosa vicinanza di alcuni soggetti malavitosi a esponenti istituzionali, tanto che il 2 dicembre 2019, il Comune di Carmiano è stato sciolto per infiltrazioni mafiosi”. E non è stato l’unico. Nella provincia, infatti, sono “caduti” i Comuni di Surbo e Sogliano Cavour.

Nel territorio di Gallipoli, un tempo asfissiato dall’operatività del clan Padovano, c’è stata la “colonizzazione da parte del gruppo Tornese, storici alleati”. A Campi Salentina, Trepuzzi e Squinzano dopo l’influenza dei clan storici della Scu De Tommasi e Pellegrino, costretti a fare i conti con le inchieste “Vortice deja vu”, “Ultimo atto”, “Paco” e “White Butcher”, adesso è percepita quella dei clan del capoluogo. A Noha di Galatina, il clan Coluccia, più volte scompaginato e indebolito dai collaboratori di giustizia, rimane leader nella gestione del narcotraffico e dell’usura e, secondo quanto evidenziato nella relazione Dia, si è mostrato “particolarmente interessato a infiltrare settori della Pubblica amministrazione e dell’economia legale, attraverso l’acquisizione di attività commerciali, estendendo i suoi tentacoli anche verso Galatina, Aradeo, Cutrofiano, Neviano e Sogliano Cavour. I vecchi boss ormai condannati all’ergastolo, espressione della frangia neretina della Scu, continuano ad avere un ruolo di primo piano a Nardò e a Galatone, controllando soprattutto il mercato della droga e il racket delle estorsioni.

A Casarano, invece, al momento si assiste a “un vuoto di potere”: il territorio, dal “2016 sino ad oggi” ha vissuto momenti di tensione e paura per “atti intimidatori e gravi fatto di sangue ad opera di personaggi di piccolo calibro criminale” ritenuti espressione di una conflittualità riconducibile a un “ricambio generazionale”. E’ in questo ambito, secondo gli inquirenti che deve essere inquadrato il tentato omicidio del 25 ottobre 2019, di un uomo vicino all’ex clan Potenza. Movente da trovare nel controllo del traffico e dello spaccio di sostanze stupefacenti. Il clima ha portato alla sigla, il 31 ottobre 2019, di un “Patto per la sicurezza urbana, integrata e per lo sviluppo del territorio e la promozione di un sistema di sicurezza partecipata” tra la Prefettura, il Comune di Carasano e la Regione Puglia, al fine di prevenire e contrastare fenomeni di illegalità” attraverso una serie di servizi e interventi di prossimità.

Proseguendo dell’analisi della mappa dei gruppi di comando sul territorio, in quello di Parabita c’è stata l’influenza del clan Giannelli, nel tempo indebolito per via delle sentenze di condanne scaturite da diverse inchieste, l’ultima delle quali è stata denominata Coltura. Parabita è stato interessato da provvedimento di scioglimento per infiltrazione mafiosa il 17 febbraio 2017. Nelle zone di Otranto, Maglie e Scorrano non emergono- allo stato – segnali di conflittualità, anche in ragione dei recenti sviluppi dell’inchiesta Tornado sfociata nel blitz a giugno2019, a seguito del quale il 20 gennaio 2020 è stato sciolto il Comune di Scorrano (noto per le luminarie in occasione della festa in onore di Santa Domenica).

MALAVITA SENZA SCRUPOLI: DISPONIBILITA’ DI ARMI, DROGA NELLA MOVIDA

Riassumendo alla luce dei dati contenuti nella relazione Dia, si può affermare che, “mentre alcuni sodalizi storici sono stati notevolmente ridimensionati dalle azioni repressive delle forze di polizia e della magistratura, le effervescenze criminali registrate soprattutto a Sud del capoluogo, restituiscono il quadro di una malavita senza scrupoli, disposta a tornare a imbracciare le armi, pur di fare affari d’oro e scalare posizioni di potere”.

La droga resta il settore di maggiore business, attraverso il quale vengono stabiliti contatti con gruppi stranieri e altri sodalizi di stampo mafioso, in primis la ‘Ndrangheta. “Canali per lo spaccio, specie di cocaina” sono “alcuni locali pubblici della movida” salentina, per i quali sono stati disposti provvedimenti amministrativi di chiusura. Anche il fenomeno estorsivo non ha fatto mancare i suoi tipici segnali intimidatori e violenti, in danni di beni mobili e immobili di proprietà di artigiani, commercianti e imprenditori, ma anche funzionari pubblici ed esponenti di Amministrazioni locali.

Le armi, nel corso delle indagini, sono state rinvenute in casolari abbandonati o nelle mura perimetrali delle abitazioni a conferma del fatto che le organizzazioni criminali hanno una “costante e immediata disponibilità di potenza di fuoco, ma che spesso viene utilizzata più come deterrente o come uno status symbol per intimidire i potenziali avversari e assoggettare la comunità, in pieno stile mafioso”. Le forze dell’ordine hanno trovato Kalashnikov Ak47 e armi di fabbricazione sovietica (Zavasta) con matricola abrasa, armi lunghe quali fucili a pompa e a canne mozze.

IL BUSINESS DEL CARO ESTINTO: ATTENTATI INCENDIARI AI DANNI DI AGENZIE FUNEBRI

Nel Leccese, inoltre, va segnalato l’interesse per il business del “caro estinto”: “negli ultimi due anni si sono registrati diversi episodi di attentati incendiari in danni di agenzie funebri che hanno distrutto o danneggiato seriamente le attività”.

Decisamente in calo, invece, nel secondo semestre 2019, il numero delle rapine, “segno di un verosimile mutamento degli obiettivi strategici della criminalità organizzata leccese che cerca altrove i propri canali di illecito arricchimento, elevandone il livello e affinando sempre più la capacità di infiltrarsi nei settori della Pubblica amministrazione e in quelli dell’economia”.

IL GAMING ILLEGALE: POLMONE VITALE PER LA MAFIA SALENTINA

Fra i canali di arricchimento illecito, nella relazione Dia è stato fatto riferimento al comparto del “gaming illegale”: è un “polmone vitale, particolarmente permeabile da parte della criminalità organizzata, da cui anche i sodalizi salentini traggono ampio ossigeno, in termini di guadagni illeciti, quasi paragonabili a quelli derivanti dal traffico di stupefacenti”. La mafia ha dato dimostrazione di avere sofisticate capacità organizzare nella gestione di ogni segmento della filiera del gioco e delle scommesse, inserendosi abilmente nelle falle del sistema normativo internazionale, “alterando le regole di mercato e manomettendo il sistema legale”. Significativo è il sequestro di beni del valore di sette milioni di euro operato dalla Guardia di Finanza di Lecce il 21 ottobre 2019, nell’ambito dell’inchiesta Hydra, nei confronti di indagati ritenuti appartenenti a un gruppo vicino al clan Padovano di Gallipoli.

Le indagini hanno svelato la “contiguità con ambienti della criminalità organizzata salentina, al fine di realizzare un vero e proprio controllo del territorio, nel settore degli apparecchi e dei congegni da intrattenimento, dei cui software e hardware essi opererebbero la sistematica alterazione-manomissione allo scopo di ridimensionare l’effettivo volume delle giocate e, dunque, consentire manovre evasive rilevanti ai fini della connessa imposizione tributaria”. Nonché la “strategia perseguita per allontanare dal mercato altri imprenditore del settore, anche mediante il ricorso a metodi intimidatori, con conseguente assoggettamento degli operatori concorrenti nonché degli esercenti”. Con lo stesso provvedimento, è stato confiscato un patrimonio del valore di quasi cinque milioni di euro, costituito da immobili, quote societarie e conti correnti a “dimostrazione della consolidata strategia del gruppo di ripulitura del denaro, al fine di eludere le normative antimafia”.

PROVVEDIMENTI INTERDITTIVI ANTIMAFIA EMESSI DAI PREFETTI

Sempre in relazione all’economia del territorio, l’ingerenza della longa manus mafiosa si evince dal numero “significativo di provvedimenti interdittivi antimafia emessi dai prefetti che, puntualmente danno conto del radicamento di un’area grigia nel territorio salentino in cui i criminali si confondono con imprese e professionisti”. Vengono a crearsi forme di connivenza e condizionamento finalizzate alla massimizzazione dei profitti, con contestuale limitazione dei rischi. L’operazione chiamata Tornado, nel mese di giugno 2019, ha portato alla disarticolazione dell’associazione mafiosa riconducibile al clan Tornese di Monteroni di Lecce, ha fatto emergere ramificazione in diversi settori dell’economia e nella politica. Da qui l’emissione di interdittive nei confronti di ditte del settore della pulizia e disinfestazione di immobili, pubblici e privati, nel trattamento di materiali pirotecnici e nel settore dell’edilizia.

Con provvedimento del prefetto di Monza c’è stata la cancellazione dalla white list di una società operante nel settore dei rifiuti, in cui alcuni dipendenti, già operai di una ditta con analogo oggetto sociale e già interdetta, sono risultati contigui a un clan leccese.

REATI AMBIENTALI E AGROMAFIE: OLTRE AL CICLO DEI RIFIUTI, BUSINESS NEL DOPO XYLELLA

In linea con i reati ambientali, nelle terre del Salento, non va sottovalutato il tema delle agromafie. “Alcuni fenomeni criminali – che fino a pochi anni fa sembravano soltanto appannaggio di singoli o legati a logiche squisitamente predatorie (come i furti di alberi secolari, di mezzi e prodotti agricoli) – oggi verrebbero collegati all’azione di organizzazione criminali”. Per quanto, allo stato, non ci siano specifiche evidenze giudiziarie, occorre considerare comunque la prospettiva di guadagno che potrebbero offrire alcune emergenze collegate all’agricoltura. Nella relazione Dia, si fa riferimento alle “politiche del territorio, legate al reimpianto o alla riconversione di quei terreni, i cui ulivi sono stati colpiti dal batterio della Xylella che potrebbe rappresentare un business molto remunerativo, anche in considerazione dei relativi finanziamenti percepiti”.

IMMIGRAZIONE CLANDESTINA: GOMMONI E IMBARCAZIONI A VELA NEL CANALE D’OTRANTO

La costa leccese continua a essere interessata dal fenomeno dell’immigrazione clandestina: resta immutato il modus operandi delle organizzazioni criminali transnazionali che si avvalgono di potenti gommoni e imbarcazioni a vela per trasportare, attraverso il canale d’Otranto, migranti dai litorali greci e turchi. Le zone di approdo maggiormente usate dagli scafisti sono quelle della costa del basso Adriatico, da San Cataldo sino a Santa Maria di Leuca.

“L’analisi del fenomeno conferma, pertanto, che la gestione delle attività di trafficking in human beings viene garantita, più che altro, da organizzazioni criminali straniere che hanno comunque una stabile base logistica e operativa dei Paesi dell’Unione europea”. Tale assunto trova conferma nell’inchiesta Sestante conclusa il 12 dicembre 2019 dalla Finanza di Lecce, in collaborazione con Europol e polizia greca:

“gli indagati di nazionalità italiana mettevano a disposizione le imbarcazioni da usare per il trasporto dei clandestini, offrendo supporto logistico ai sodali siriani che si appoggiavano, a loro volta, a soggetti ellenici per il trasferimento via mare”.

All’immigrazione clandestina sono strettamente collegati sia lo sfruttamento della prostituzione, sia il fenomeno del caporalato che, sebbene non ancora accentuato come nelle altre provincie della Puglia, potrebbe assumere nel Salento connotazioni importanti, tenuto conto degli episodi di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di immigranti irregolari.

 

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