Al sud la religione ha ancora un valore sociale e politico forte. Spesso questo genera mostri, come me. Vent’anni di tormenti religiosi raccontati apertamente. Un viaggio a puntate in una mente malata.
Parte 1. L’incongruenza finale.
Se c’è una cosa che amo e che odio sono le incongruenze. Inconsistency le chiamano in inglese. Nel mio lavoro le cerco con ansia: alle volte sono solo casuali, ma ogni tanto possono essere la traccia di qualcosa che ancora non conosciamo, da esplorare, e allora diventano davvero interessanti. Nella vita quotidiana, invece, mi generano tremendo fastidio e nervosismo. Ad esempio, quando vedo politici razzisti baciare il rosario. Oppure quando vedo le scene dei giovani che ballano per strada a Milano alla fine della quarantena e si fanno i selfie con i telefonini. Oh! Maschi! Intorno a voi ci sono decine di donne che dopo essere state per due mesi chiuse in casa non vedono l’ora di incontrare qualcuno e voi vi fate i selfie!? Ridicoli! E senza palle.
Vivendo negli Stati Uniti, poi, le incongruenze sociali sono scene ordinarie che appestano le mie giornate. Ad esempio, non comprendo chi ha paura del coronavirus, ma non dell’obesità che fa molte più vittime. Oppure non riesco a capire chi mi dice che la guerra in Afghanistan salva vite in USA e poi non dice mezza parola contro le strade che sono in condizioni pietose e che annientano vite in USA. Cose di questo tipo. Ma sto imparando a conviverci. E cresce in me la convinzione di avere una mente sbagliata mentre tutte le altre sono giuste. Me ne frega poco, ma da persona di scienza devo dare conto ai numeri e i numeri dicono che in moltissimi la pensano diversamente da me. Quindi, hanno ragione loro. Perfetto, nessun problema, non posso cancellare le mie idee, ma ci posso convivere. E tengo per me i miei pensieri fino a quando non trovo qualcuno che vuole discuterne apertamente e che dimostra di essere leggermente meno legato alle ideologie diffuse dalla propaganda politica ed economica che negli Stati Uniti è molto simile a quella che fu nell’Albania comunista di Enver Hoxha (e non sto esagerando).
Ma c’è un tipo di incongruenza, mia personale, che non riesco a superare. Da tempo ho raggiunto una specie di equilibrio con la divinità. Lei/lui non mi rompe le palle e io faccio altrettanto. Però, poi, bestemmio. E non è molto razionale come cosa. Perché, quando mi fermo a riflettere, sono convinto che non abbia alcun senso il concetto di divinità. Magari esiste, non lo so, ma se anche esistesse io, piccolo mortale, non potrei nemmeno concepire la sua esistenza. Figuriamoci capirla. Per questo le religioni sono una truffa: vendono concetti che un umano non potrà mai comprendere. E li vendono come reali. Un po’ come i cartomanti. Ma allora, perché invoco invano la divinità se sono convinto che essa non sia un mio problema di essere umano? Grande ipocrisia la mia. Il problema si è poi accentuato quando mi sono trasferito all’estero. Se in Italia non potevo bestemmiare sul luogo di lavoro oppure per strada, perché è considerato di cattivo gusto (e sono d’accordo, è di cattivo gusto), qui nessuno mi capisce e se, ad esempio, la penna cade dalla scrivania, immediatamente sento il bisogno di avvertire dell’accaduto qualche santo o qualche dio. Perché? Non riesco a spiegarmelo razionalmente.
Devo ammettere che la libertà di bestemmia ha un certo valore terapeutico. Sono un po’ più calmo e meno irascibile. Potrebbe essere l’età e potrebbe anche essere che semplicemente mi rende più sereno il non sentire l’accento milanese o peggio, l’accento del terrone trasferito a Milano che cerca di passare per lombardo. Ma non riesco a togliermi dalla mente che una importante concausa di tale eccesso di calma sia legata alla imprecazione senza freni inibitori. E questo pensiero mi tormenta. Ci sono tante cose che considero ridicole e false come la religione. Gli oroscopi, per citarne una. Oppure i talent show. Ma dire “mannaggia Maria De Filippi” non mi da la stessa soddisfazione di una madonna. E mi tormento su questi pensieri tanto che sto elaborando teorie mie sull’argomento. Sicuramente sbagliate, ma che ora vi racconterò.
Continua…
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