Ci dovevamo fermare

di Barbara Toma

Accade qualcosa, viviamo un tempo sospeso, rarefatto, surreale.

Abbiamo oltrepassato la parete e siamo approdati al di là, non guardiamo più, siamo guardati, non succede a qualcun altro, succede a noi, questa volta siamo i protagonisti, e siamo chiusi nelle nostre case, isolati.

Viviamo una realtà apocalittica: strade vuote, città deserte, serrande abbassate, le poche persone in giro si guardano con sospetto e prendono le distanze (i più vestiti come astronauti), si entra uno alla volta nei supermercati.

Ci sono posti di blocco ovunque e bisogna avere con sé un’autocertificazione per giustificare la propria presenza in strada. Non possiamo nemmeno salutare i nostri cari defunti…

Nel giro di una settimana abbiamo perso ogni giorno un pezzo, ogni sera un comunicato ci istruiva su nuovi divieti.

Ora non c’è che restare qui, dentro le nostre case, dentro questa bolla temporale, e aspettare.

Tutto questo è spiazzante e a tratti è terrificante. Incredibilmente singolare.

Mai come oggi viviamo un presente che sarà storia. Che resterà impresso nella memoria di tutti.

Le generazioni a venire conosceranno i nostri racconti di questo assurdo marzo 2020.

E, come ogni evento tragico di grande portata, questa pandemia ha messo in luce i lati peggiori dell’umanità: egoismo, rabbia e panico incontrollati, la voglia di puntare il dito contro qualcuno, di accusare, di giudicare, l’arrogante sfacciataggine dell’ignoranza…

Come giustamente dice Giulio Cavalli nel suo ultimo editoriale su Il Riformista :Il Coronavirus in fondo sta funzionando anche da termometro sulla nostra capacità di prendersi cura degli ultimi del mondo (che siano migranti, carcerati, senzatetto o altri disperati)’.

Ma, tutto questo ha anche qualcosa di bellissimo.

In un mondo in cui tutto corre e nessuno sembra assaporare più la vita, siamo stati costretti prima a rallentare e poi a fermarci del tutto.

Abbiamo finalmente trovato il modo di arrestare la nostra dannata implacabile corsa, o meglio, forse è stato il momento a trovare noi.

Osservo che al momento, dopo le ondate di panico, la rabbia e le reazioni nervose di massa, forse ora ci si sta pian piano calmando, si inizia ad avvertire la quiete… forse si intravedono spiragli di luce in tutta questa oscurità.

Non sappiamo come pagheremo l’affitto e come vivremo nel prossimo futuro, e non sappiamo come reagiremo a questo isolamento tra due, tre, quattro, 15 giorni… ma intanto:

abbiamo smesso di inquinare l’aria che respiriamo, abbiamo smesso di correre, di avere fretta, di dare tutto per scontato, ma sopratutto abbiamo finalmente smesso di sentirci invincibili ed eterni.

Siamo fragili, siamo tutti ugualmente inermi e importanti.

Siamo parte di qualcosa di molto più grande di noi.

Mantenere le distanze, perdere gli abbracci, rinunciare alle carezze, ci ha finalmente ricordato quanto sia importante il contatto fisico e quanto ognuno di noi sia fondamentale perché tutto funzioni.

Questo stop forzato ci regala grandi privilegi: scopriamo sapori, colori, tempi diversi.

I genitori si ingegnano per mantenere i bambini attivi e occupati con attività alternative mentre i bambini riscoprono il piacere di un gioco costruito in casa, di un pomeriggio di esplorazione in giardino, del tempo in famiglia….

Io non sono mai stata così attiva, da quando la vita si è arrestata non mi sono fermata un attimo.

E in questa quarantena collettiva ho ritrovato una nuova spinta creativa, quella particolare vitalità data da un’ inspiegabile quanto irrefrenabile voglia di esprimermi, di comunicare con il mondo attraverso la mia danza.

Le crisi stimolano la creatività. Fu questo, molto tempo fa, il motivo della mia scelta di abbandonare un Paese fortunato e prolifero per la danza contemporanea come l’Olanda per trasferirmi in Italia, dove ai tempi (nel 1999) non c’era molto lavoro per le danzatrici, né molte chance di crescita per i giovani coreografi… e pure, se bene i miei colleghi italiani ( i pochi rimasti in Patria) avessero molte meno possibilità di quante non ne avessi io ad Amsterdam, scoprivo in loro e nei loro lavori un’urgenza e una consapevolezza rara nei privilegiati Paesi Bassi, dove a volte sembrava che gli spettacoli nascessero semplicemente perché finanziati, ma senza nessuna urgenza di esprimere qualcosa…

Quell’urgenza a cui artisti e popolo rispondevano con una modalità tutta italiana mi conquistò e non sono mai più andata via…

Ecco, oggi sono grata di aver ritrovato quella stessa urgenza.

La pandemia globale e la quarantena italiana hanno risvegliato qualcosa. Hanno risvegliato il meglio di me.

Ho iniziato a danzare in salotto e pubblicare piccoli video di danza, come un mio personale diario di bordo danzante della mia quarantena. E non sono certo l’unica.

Come già accennavo sabato scorso, gli artisti di tutta Italia sono più vivi che mai e trovano modi sempre più creativi di raggiungere il pubblico in questo isolamento.

La coreografa Paola Bianchi ha lanciato un appello sul web per poter continuare la sua ricerca avvalendosi dell’aiuto di danzatori a distanza. In 24 ore ben 175 danzatori hanno aderito al suo invito.

La coppia di attori Frosini Timpano , oltre alla rassegna online di spettacoli di compagnie italiane di teatro di ricerca proposti ogni sera alle 21, ha trovato il modo di fare degli interventi teatrali su WhatsApp…

Il poeta milanese Cinaski ha iniziato a mandare poesie in privato su richiesta.

I ballerini della Scala di Milano hanno creato un video in cui mostrano come si stiano tutti continuando ad allenare in casa ( la danza non si ferma).

Il Teatro Pubblico Pugliese ha invitato gli artisti a mandar loro un video ispirandosi ad alcune parole chiave di questo momento.

La compagnia milanese Animanera, così come l’artista leccese Ippolito Chiarello, hanno deciso di rendere pubblici i video dei propri lavori online.

Non si contano i contributi creativi di danzatori, coreografi, attori, poeti in tutto lo stivale…

Mentre i dottori, gli infermieri e i dipendenti degli ospedali in tutto il Paese lavorano incessantemente per noi tutti e per la nostra salute fisica, gli artisti producono, danno il loro contributo lavorando per salvaguardare la loro e la nostra salute mentale.

Siamo il Paese più infetto del mondo. Ricevo telefonate da tutti i miei amici all’estero, consapevoli di assistere a ciò che presto succederà anche a loro…

Il mondo ci guarda con paura e compassione, perfino il Cristo di Rio si è illuminato con il tricolore italiano!

Ecco, in tutto questo, forse, solo la lentezza, solo il silenzio, solo la poesia ci salveranno.

Questo ti voglio dire

ci dovevamo fermare.

Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti

chera troppo furioso

il nostro fare. Stare dentro le cose.

Tutti fuori di noi.

Agitare ogni ora farla fruttare.

Ci dovevamo fermare

e non ci riuscivamo.

Andava fatto insieme.

Rallentare la corsa,

Ma non ci riuscivamo.

Non cera sforzo umano

che ci potesse bloccare.

E poiché questo

era desiderio tacito comune

come un inconscio volere –

forse la specie nostra ha ubbidito

slacciato le catene che tengono blindato

il nostro seme. Aperto

le fessure più segrete

e fatto entrare.

Forse per questo dopo c’è stato un salto

di specie dal pipistrello a noi.

Qualcosa in noi ha voluto spalancare.

Forse, non so.

Adesso siamo a casa.

È portentoso quello che succede.

E c’è delloro, credo, in questo tempo strano.

Forse ci sono doni.

Pepite doro per noi. Se ci aiutiamo.

C’è un molto forte richiamo

della specie ora e come specie adesso

deve pensarsi ognuno. Un comune destino

ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.

O tutti quanti o nessuno.

È potente la terra. Viva per davvero.

Io la sento pensante dun pensiero

che noi non conosciamo.

E quello che succede? Consideriamo

se non sia lei che muove.

Se la legge che tiene ben guidato

luniverso intero, se quanto accade mi chiedo

non sia piena espressione di quella legge

che governa anche noi proprio come

ogni stella ogni particella di cosmo.

Se la materia oscura fosse questo

tenersi insieme di tutto in un ardore

di vita, con la spazzina morte che viene

a equilibrare ogni specie.

Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,ì

guidata. Non siamo noi

che abbiamo fatto il cielo.

Una voce imponente, senza parola

ci dice ora di stare a casa, come bambini

che lhanno fatta grossa, senza sapere cosa,

e non avranno baci, non saranno abbracciati.

Ognuno dentro una frenata

che ci riporta indietro, forse nelle lentezze

delle antiche antenate, delle madri.

Guardare di più il cielo,

tingere docra un morto. Fare per la prima volta

il pane. Guardare bene una faccia. Cantare

piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta

stringere con la mano unaltra mano

sentire forte lintesa. Che siamo insieme.

Un organismo solo. Tutta la specie

la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.

A quella stretta

di un palmo col palmo di qualcuno

a quel semplice atto che ci è interdetto ora –

noi torneremo con una comprensione dilatata.

Saremo qui, più attenti credo. Più delicata

la nostra mano starà dentro il fare della vita.

Adesso lo sappiamo quanto è triste

stare lontani un metro.

Mariangela Gualtieri – nove marzo duemilaventi

( https://www.doppiozero.com/materiali/nove-marzo-duemilaventi )

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