Synedrium, Coffa e Romano il volto nuovo della scu

Andrea Romano e Alessandro Coffa da sei anni avevano fondato un nuovo clan che portava il loro nome. Le donne, ruoli di vertice e reggenti del clan

Di Stefania De Cristofaro

BRINDISI – Under 40 entrambi, tutti e due nati e cresciuti a Brindisi negli stessi anni in cui Pino Rogoli tenne a battesimo la Sacra Corona Unita, la quarta mafia, nel carcere di Trani. Era il 1983. Oggi Andrea Romano, 37 anni, e Alessandro Coffa, 34, sono considerati i volti emergenti della Scu, dopo essere stati ritenuti affiliati all’associazione di stampo mafioso: i loro nomi come esponenti di vertice del sodalizio, compaiono nei verbali resi dai pentiti, dai fratelli Sandro e Antonio Campana (fratelli di Francesco, rimasto invece fedele a quel vincolo in posizione di vertice), sino agli ultimi collaboratori di giustizia, Roberto Leuci e Vito Braccio, le cui dichiarazioni risalgono a meno di un anno fa.

Il blitz

Stando all’ultima inchiesta condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce, chiamata Synedrium, Romano, e Coffa negli ultimi anni avrebbero rivestito il “ruolo di promotori, dirigenti e organizzatori” di “un’associazione mafiosa” che a Brindisi città è “nota come clan Romano-Coffa”, “quale frangia della Scu”. Gruppo che non è mai stato riportato nelle relazioni sull’attività della Direzione distrettuale antimafia che ogni semestre il ministro dell’Interno consegna al Parlamento. Gruppo che, invece, le indagini hanno dimostrato essere “esistente dal novembre 2014” e del quale avrebbero fatto parte anche le donne.

Non più semplicemente complici, ma titolari di ruoli di primo piano nella Scu contemporanea, quella che a dispetto delle comunicazioni via WhatsApp, preferisce far ricorso agli intramontabili “pizzini” nel tentativo, rivelatosi fallimentare, di schivare le intercettazioni. Perché gli uomini dell’Arma hanno scoperto e sequestrato bigliettini scritti a mano e sono riusciti anche ad ascoltare in diretta le conversazioni che dovevano restare segrete.

In oltre mille pagine di ordinanza di custodia cautelare in carcere, eseguita dai carabinieri il 13 febbraio 2020, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce Michele Toriello, ha ritenuto esistente il sodalizio, partendo dai gravi indizi di colpevolezza raccolti nei mesi d’indagine, e ha tratteggiato il ruolo 48 indagati: 16 sono stati arrestati, quattro sono finiti ai domiciliari, gli altri sono rimasti a piede libero.
L’associazione mafiosa è stata contestata anche nei confronti di: Cosimo Andriulo, Marcello Campicelli, Luigi Carparelli, Alessandro Coffa, Angela Coffa, Annarita Coffa, Francesco Coffa classe ’81, Francesco Coffa classe ’83 detto Pacione, Rosaria Lazoi, Lorenza Maggio, Maria Petrachi, Nicola Pierri, Alessandro Polito, Giuseppe Prete, Cosimo Remitri, Vito Simone Ruggiero, Francesco Soliberto, Marika Stasi, Salvatore Mario Volpe e Burim Tatani.

L’omicidio di Cosimo Tedesco e la lite alla festa dei bambini

L’indagine scaturisce dall’omicidio di Cosimo Tedesco, avvenuto a Brindisi, il primo novembre 2014, all’indomani di una lite consumata nel corso di una festa di compleanno per bambini, in occasione di Halloween. Per quel fatto di sangue sono stati condannati all’ergastolo, anche in Appello, Andrea Romano, Alessandro Polito e Francesco Coffa, tutti in attesa della pronuncia della Cassazione.
La condanna al carcere a vita è stata confermata anche in relazione al tentato omicidio di Luca Tedesco, figlio di Cosimo, ferito da colpi di pistola esplosi nella stessa circostanza, nell’appartamento di Romano, in una palazzina popolare che si affaccia in piazza Raffaello, nel rione Sant’Elia.
Secondo i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Lecce, si è trattato di “un’azione omicida maldestra”, maturata nel contesto di una contrapposizione fra “due gruppi, da una parte Cosimo Tedesco e i suoi familiari, dall’altra Andrea Romano con i suoi parenti, culminata nel diverbio avvenuto la sera del 31 ottobre 2014. Nel corso della festa, una bambina, presente assieme alla mamma, “si avvicina più volte al passeggino in cui dorme il figlio neonato” di altri invitati. Iniziano i “rimproveri alla donna e da qui parte una discussione”, hanno scritto i giudici nelle motivazioni della sentenza.

In perfetta coerenza con il particolare contesto socio-culturale emerso dagli atti, è lecito ritenere che da entrambe le parti volarono parole grosse” che diedero il via “a una escalation di tensione fatta di reciproche telefonare notturne tra i vari soggetti a cui era seguito, la mattina dopo un incontro tra due coppie per prendere un caffè e chiarirsi”. In “tale occasione Polito ribadiva la necessità che Cosimo Tedesco si recasse a casa di Romano e Tedesco – prosegue la Corte – quella stessa mattina si reca a casa di Romano”. Prima si sarebbe “presentato a casa di “Polito, senza trovarlo” e poi da “Romano, pregando con voce agitata i figli di raggiungerlo lì”. Tutto questo emerge “dalle testimonianze e dall’analisi del traffico telefonico”. Cosimo Tedesco salì da solo a casa di Andrea Romano e trovò la morte”.

Il sodalizio di stampo mafioso

“Nell’immediatezza dei fatti, le indagini si sono concentrate sui fratelli Alessandro e Francesco Coffa (classe1981, ndr) e sui mariti delle loro sorelle, Angela e Annarita, nonché su Andrea Romano e Alessandro Polito”, ha spiegato il comandante provinciale dei carabinieri nel corso della conferenza stampa. “Le intercettazioni ambientali hanno permesso di acquisire rilevanti elementi a carico di diverse persone appartenenti o comunque gravitanti attorno al nucleo familiare Romano-Coffa, in relazione ad attività illecite poste in essere per favorire la latitanza di Andrea Romano e Alessandro Polito, per gestire il traffico di droga e per consolidare sul territorio il clan mafioso, gestito principalmente da Alessandro Coffa, detenuto agli arresti domiciliari a causa della detenzione in carcere del fratello, Francesco, tratto in arreso il 7 novembre 2014, e della latitanza di Romano e Polito”, si legge nel provvedimento di arresto.
Nessun dubbio, per il gip, che quel vincolo sia coincidente con il 416 bis del Codice penale, perché il legame doveva restare segreto, c’era un “rapporto di comparaggio tra gli associati” che fra loro si chiamavano con termini quali “compa’, ragazzi miei e fratelli”, c’era anche il “controllo del territorio inteso sia come quello degli spostamenti delle forze dell’ordine, sia come quello di pregiudicati locali e delle loro attività”, così come è stato considerato esistente un “patto mutualistico stretto” finalizzato anche “all’assistenza economica dei sodali, all’accollo delle spese di giustizia da parte della cosca”. La raccolta dei proventi era alimentata anche da “pensieri”, vale a dire somme di denaro da pagare, imposte a titolari di attività commerciali e stazioni di servizio.
Infine, sempre secondo il gip, è da ritenere sussistente il “regime della intimidazione con conseguente omertà”, al pari dell’esercizio del potere sanzionatorio da parte dei vertici della struttura, inteso come forme violente di punizione fisica nei confronti di chiunque violi le regole dell’organizzazione”.

I pizzini

Emblematica, infatti, è la vicenda legata alla scoperta di “pizzini”, avvenuta il 13 novembre 2014, nel corso di una perquisizione nei confronti di Giuseppe Prete e Luigi Carparelli, entrambi indagati nell’inchiesta della Dda di Lecce. Due fogli scritti a mano, sui quali erano stati annotati nomi e cifre, “riconducibili all’attività di spaccio e traffico di droga per conto del gruppo Coffa-Romano”. Stando alla lettura che sia il pm che il gip hanno dato delle intercettazioni, un manoscritto “conteneva gli ordini e le indicazioni che Andrea Romano trasmetteva ai suoi sodali sulla raccolta del denaro provento delle attività illecite”. L’altro foglio, invece, conteneva gli “aggiornamenti sull’attuazione delle direttive intraprese in suo nome”. In questo secondo foglio, c’erano anche i nomi di alcune donne.

Il ruolo delle donne, reggenti del clan

Per esteso, stando agli atti d’indagine, sui pizzini c’era il nome di Angela Coffa, poi intercettata proprio mentre commentava la scoperta dei pizzini che, secondo alcuni, avrebbero dovuto essere bruciati per non lasciare alcuna traccia.
Sono proprio le intercettazioni a evidenziare “chiaramente il ruolo svolto dalle donne nell’organizzazione”: emerge – scrive il gip – “non solo lo stabile e continuativo apporto che le stesse forniscono alla vita del sodalizio e allo svolgimento delle attività illecite dello stesso, ma anche la piena consapevolezza e volontà di essere stabilmente a disposizione dell’organizzazione”. I “vincoli familiari che le legano agli uomini del sodalizio rafforzano indubbiamente il vincolo associativo”: “Rosaria Lazoi è la madre di Alessandro Coffa, Annarita Coffa e Angela Coffa, queste ultime compagne rispettivamente di Alessandro Polito e Andrea Romano”. Nel sodalizio, stando all’accusa, ci sono anche “Maria Petrachi, moglie di Alessandro Coffa, Marika Stasi, compagna di Francesco Coffa classe 1981, Lorenza Maggio madre di Francesco Coffa.
“La rilevanza del ruolo delle donne è ancor più evidente, laddove si considerino i compiti che le stesse sono state chiamate a svolgere in mancanza dei mariti o perché detenuti o perché latitanti, come nel caso di Angela Coffa, Annarita Coffa e Marika Stasi”.

I pentiti: i verbali senza omissis

Il primo a consegnare ai pm della Dda i nomi di Romano e Coffa, è stato Ercole Penna, ormai ex Linu u’ biondu della Scu: le sue dichiarazioni hanno ottenuto più volte il sigillo della credibilità dai giudici e alcuni dei verbali sulle affiliazioni continuano a essere imbottiti di omissis. Penna ha parlato dei due giovani di Brindisi l’11 aprile 2011, un anno dopo il suo arresto, dopo il bliz Last Minute. “Massimo Buccolieri, a me affiliato, mi disse che ebbe ad affiliare Luigi Errico detto Pissu, ed entrambi successivamente affiliarono Sandro Coffa e Andrea Romano”. Nomi che, in verità, aveva già fatto Fabio Luperti nel 2006, stando a dichiarazioni de relato apprese da Luigi Errico, nel carcere di Lecce, mentre erano in corso le udienze preliminari del processo Murder.
La fotografia più recente delle affiliazioni è stata consegnata da Sandro Campana nel 2015, secondo il quale “Andrea Romano è stato affiliato a noi dal 2007, per opera di Francesco (il fratello di Sandro Campana, ndr), Giovanni Gagliardi e Ronzino De Nitto”. Campana riferì anche di alcuni canali di approvvigionamento della droga, esistenti in Spagna, a Barcellona”. Tali dichiarazioni sono state confermate da Antonio Campana, diventato anche lui pentito come il fratello Sandro: l’ultimo verbale diventato parzialmente leggibile è quello del 28 maggio 2019.
Di Romano e, per la prima volta, delle donne, Angela Coffa e Annarita Coffa, ha parlato Roberto Leuci, diventato dichiarante da meno di un anno: lui stesso ha ammesso di essere stato “un affiliato di Andrea Romano, con il grado di settima” e di mandargli “200 euro a settimana. In uno dei recenti verbali, si legge: “In particolare il clan Romano è così composto: al vertice c’è Andrea Romano; suo consigliere e finanziatore di tutte le attività illecite è il cognato Sandro Coffa, marito di Maria Petrachi; poi vi sono Francesco Coffa e Sandro Polito”. E ancora: “Sullo stesso livello vi sono altresì la moglie di Andrea Romano, Angela Coffa, sorella di Sandro, e Francesco Coffa. Preciso – si legge – che Angela Coffa attualmente è la reggente del clan poiché gli uomini facenti parte della famiglia sono tutti detenuti. Unitamente ad Angela Coffa, vi è la sorella Annarita Coffa che la coadiuva nelle attività illecite”. Parole del collaboratore Leuci che ha chiesto di essere inserito nel programma di protezione.
Contenuto sovrapponibile, emerge dalle dichiarazioni rese da Vito Braccio, l’ultimo brindisino che ha deciso di chiudere con la Scu per passare dalla parte dello Stato: “Nel 2016 io mi ero messo da parte. Nel frattempo, per conto di Andrea Romano, comandava la moglie Angela Coffa”.
Diversi, invece, sono i nomi che continuano a essere coperti da omissis.

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